Liceo occupato, tornano i picchetti: studenti impuniti e difesi dai genitori
Ascolta la versione audio dell'articolo
Al Manzoni di Milano è in corso il rito dell'occupazione (stavolta è per la Palestina), ma quest'anno l'ingresso a docenti e studenti "crumiri" è impedito. Un picchetto in grande stile, sostenuto anche da genitori e qualche prof: una interruzione di pubblico servizio che resterà impunità.
Puntuale come una bolletta della luce anche quest’anno è arrivato per il Liceo Manzoni di Milano il tempo dell’occupazione. È così da molto tempo ormai, tanto che la cosa non dovrebbe nemmeno essere una notizia. Invece quest’anno i ragazzi, vuoi per la guerra in Palestina, vuoi per i disordini e le polemiche di Pisa, hanno pensato di forzare un po’ la mano e si sono lanciati in una operazione di “okkupazione” in grande stile. A differenza degli anni scorsi in cui veniva data la possibilità ai docenti di entrare e svolgere le loro ore di lavoro, ad esempio facendo i colloqui con i genitori o altre attività loro proprie, anche solo mettere assenti gli occupanti, quest’anno il minaccioso Collettivo Manzoni Occupato ha sprangato le porte.
«Non entra nessuno, solo il personale ATA», vale a dire i collaboratori scolastici e il personale amministrativo. Fatto sta che i 90 docenti del prestigioso istituto milanese da mercoledì si sono visti negare il loro diritto di entrare a scuola. E così vale anche per la preside che mercoledì è entrata soltanto per scrivere la circolare con la quale informare i professori che le lezioni sono sospese fino a sabato e riprenderanno lunedì 4 marzo. Quasi una settimana di occupazione, se non è un record poco ci manca. Abbiamo telefonato a scuola e il portiere ci ha risposto che «questa mattina la preside non si è vista».
Per la verità, da quanto ha appreso la Bussola, una possibilità per i docenti di entrare nell’istituto c’è e sarebbe stata comunicata loro proprio dalla Digos: quella di assistere ai numerosi collettivi che i ragazzi stanno facendo. Insomma, dovrebbero passare da docenti a discenti. Da una rapida carrellata delle proposte per la giornata di ieri che abbiamo potuto consultare, ieri si è parlato di questo: in 5°D parità di genere e consenso, in 5°L la mafia ieri e oggi, in 4°A aneddoti manzoniani, in 3°A Il sesso è (quasi) tutto, in 4°D il post porno, in 2°D Armata pirata, in 2°A maschilismo smontato pezzo per pezzo, in 1°A il jazz e la riscossa degli afroamericani e in 2°H il G8 e le pratiche di piazza. Insomma, sai che coraggio? Si tratta del solito caravanserraglio di temi che definire consuetudinari e scontati è poco. Buoni un po’ per tutto e sicuramente non urticanti, vista la cappa di conformismo nella quale gli stessi studenti stanno crescendo.
A questo si aggiunga il fatto che nel comunicato diramato dagli studenti con il quale hanno spiegato le ragioni della protesta compaiono le solite e scontate motivazioni che si vedono più o meno in occupazioni simili: «Di fronte alla situazione attuale – si legge sulla pagina Instagram del Collettivo - ci siamo trovati costretti a prendere questa decisione, cioè quella di occupare in quanto essa è l’unica risposta alle minacce di Valditara alle misure sempre più repressive del Governo italiano, al ripugnante silenzio complice ed al supporto del blocco occidentale al massacro del popolo Palestinese». Il linguaggio è quello solito barricadero e comunistardo, che conosciamo da tempo e non si tace ovviamente sulle «manganellate educative» (il riferimento ai fatti di Pisa è evidente ndr.).
Quel che non viene spiegato – e che non è stato spiegato nemmeno alla Bussola che ieri si è presentata davanti al portone -, è per quale motivo i docenti, contrariamente al passato non siano stati fatti entrare. Ci siamo presentati in via Orazio proprio mentre un’impiegata amministrativa usciva per tornare a casa: «Siamo ostaggio, chiedete a loro». Il «loro» sono i ragazzi che, non appena ci hanno visto arrivare si sono precipitati all’uscita per vietarci di porre domande: «È tutto scritto nel comunicato», spiega uno di loro con tono minatorio non appena ci ha visto accendere il telefonino per chiedere una ripresa. Poco dopo fa capolino un insegnante in bicicletta che si mette a parlottare con loro. Chiediamo se condivide la protesta, ma se ne va poco distante dove altri ragazzi lo fermano per chiacchierare.
Veniamo a scoprire che il corpo docente è spaccato in due: c’è anche chi condivide e incoraggia i giovani ad occupare, incurante che ancora, a norma di legge, si tratta di un reato, anche se la giurisprudenza è piuttosto ondivaga tra il pugno di ferro e il lasciar passare all’insegna di un più comodo “so ragazzi”. C’è chi ha provato a proporre una più soft co-gestione, ma i giovani guerriglieri con smartphone e scarpe firmate hanno detto no.
Ma a condividere la protesta sono anche i genitori. La preside in passato aveva chiesto loro di venire a scuola a ritirarli (la maggioranza degli studenti è ancora minorenne), ma quest'anno si è trovata di fronte a molte mamme e papà pronti a condividere la protesta dei figli.
Insomma, l’occupazione è ormai un rito di iniziazione con un copione già scritto, ma che la cosa sia piuttosto insolita lo dimostra la presenza di due volanti della polizia che in questi giorni ha presidiato l’uscita quasi a voler proteggere la loro protesta, come se fosse legittima. Che però, proprio legittima non deve essere.
L’art. 340 del Codice penale che disciplina «l’interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità» prevede che «chiunque cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno».
Negli anni, però, una giurisprudenza un po’ lassista ha provveduto a “depenalizzare” il reato se applicato al mondo della scuola e così il diritto dei docenti ad esercitare il loro lavoro di servizio pubblico è andato in cavalleria.
Il reato di “invasione di terreni o edifici” (art. 633 c.p), intanto, applicato alle occupazioni scolastiche è già stato smontato dalla Cassazione nel 2000 perché «l’edificio scolastico pur appartenendo allo Stato, non costituisce una realtà estranea agli studenti, che non sono dei semplici frequentatori, ma soggetti attivi della comunità scolastica».
Per l’interruzione di pubblico servizio, invece le cose sono più complicate per gli studenti, ma solo teoricamente: già una sentenza del tribunale di Siena del 2001 escludeva il reato solo «se la cosiddetta “occupazione” della scuola da parte degli studenti avviene senza modalità invasive, e cioè consentendo lo svolgersi delle lezioni e l’accesso degli addetti».
A questa si è poi aggiunta una sentenza della Cassazione 7084/2016 che sancisce la natura del reato se non si consente agli altri studenti in disaccordo con l’occupazione e ai docenti di poter entrare. È proprio quello che sta succedendo al Manzoni di Milano e che succederà fino a sabato. Ma siamo certi che anche in questo caso per tutti i ragazzi coinvolti avverrà il perdono giudiziale se mai si dovesse andare in aula.
Neppure i media milanesi hanno dato grossa importanza alla protesta, diversamente da altre occupazioni che si sono svolte in questo mese proprio a Milano in altri istituti e che non hanno visto “picchetti” così drastici a danno di docenti e studenti non allineati (QUI) mentre il ministero si è mosso solo per il caso del Liceo Severi Correnti dove sono stati fatti dei danneggiamenti (QUI).
Studenti crumiri e docenti ligi al dovere se ne dovranno fare una ragione. Con i genitori e un contesto istituzionale dalla loro, gli occupanti non avranno cambiato il mondo, ma sanno già di avere vinto la loro rivoluzione.