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GUERRA E MINACCE

Libia, stavolta è Haftar che accusa l'Italia sui migranti

Un raid aereo, attribuito all'aviazione di Haftar ha provocato la morte di 55 emigranti clandestini in un campo libico. Il comandante delle forze aeree di Haftar rilancia l'accusa all'Italia, responsabile, a suo dire, dei rimpatri forzati e del ritorno degli emigranti nelle mani dei trafficanti. C'è da dire che dalla Libia il flusso è in calo.

Esteri 06_07_2019
Tripoli, le vittime del bombardamento

Secondo le Nazioni Unite sono circa 700 mila i migranti presenti in Libia, di cui 12% sono donne e il 9% minori, di 40 nazionalità ma soprattutto provenienti da Niger (19%), Egitto (14%), Ciad (13%) e Sudan (12%).

Come è sempre accaduto per la gran parte di tratta di immigrati che non intendono venire in Europa poiché già impiegati a lavorare nella nostra ex colonia mentre oltre 6 mila sono rinchiusi in 12/18 centri di detenzione (per la Libia l’immigrazione clandestina è un reato) dopo essere stati recuperati in mare dalla Guardia Costiera libica. Secondo gli ultimi numeri forniti dall' Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, 3.800 persone si trovano in centri di detenzione situati vicino alle zone dove le truppe dell’LNA di Khalifa Haftar e quelle del GNA di Fayez al- Sarraj si combattono, come quello di Tajura, a est di Tripoli, bombardato martedì sera e in cui hanno perso la vita almeno 55 persone.

Un raid attribuito ai jet di Haftar o dei suoi alleati sul momento contestato dall’LNA, che accusava gli avversari di usare i migranti detenuti come scudi umani, poi seccamente smentito dal comando di Haftar che ha negato ogni responsabilità. Circa l’attacco al campo il ministero dell’Interno di Tripoli ha accusato aerei F-16 (in dotazione a emiratini ed egiziani, alleati di ferro di Haftar) ma ha poi ammesso che non disponendo di una difesa aerea adeguata non può garantire la sicurezza dei migranti. Meglio aggiungere anche quella dei cittadini di Tripoli mortI in numero ben maggiore negli ultimi tre mesi senza che cancellerie, istituzioni religiose, Ong e altri si mobilitassero con l’intensità che evidentemente meritano solo i migranti illegali. Ancora una volta quindi la strage dei migranti, anche se questa volta in un centro di detenzione e non in mare, viene utilizzata a scopo strumentale contando sul timore soprattutto italiano che nuovi flussi crescano improvvisamente oltre a quelli gestiti dalle Ong.

Haftar potrebbe aver colpito il campo per mettere in difficoltà Roma, unica capitale occidentale che in tre mesi di offensiva su Tripoli non ha mai abbandonato il governo di al-Sarraj pur tenendo aperto il dialogo con Haftar. "Lanciamo un appello al mondo intero e all'Unione Europea a porre fine alla politiche razziste del ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini" che "in collaborazione con l'incostituzionale consiglio presidenziale" di Fayez al-Serraj sono "la ragione principale dell'accumulo di migranti nella regione occidentale della Libia" ha affermato il generale Mohamed al-Manfour, comandante delle forze aeree dell'LNA. Secondo al-Manfour, le politiche di Salvini hanno causato il "rimpatrio forzato di migranti in Libia", facendoli tornare "ancora una volta nelle mani degli stessi trafficanti di esseri umani da cui sono fuggiti" e ricollocandoli "tra carri armati e depositi di munizioni in quello che altro non è che una palese violazione delle regole basilari dei diritti umani e dei valori umani".

La guerra di propaganda in Libia si fa anche con questi mezzi e dal suo canto il governo di al-Sarraj minaccia di chiudere i centri per indurre l’Italia a fare di più per aiutarlo nella guerra in corso. “Se non tacciono le armi la Libia rischia che la guerra civile tracimi su una scala ancora più larga", ha ricordato ieri il presidente russo Vladimir Putin in visita a Roma. "Non sarebbe male ricordare da cosa tutto è cominciato. Chi ha distrutto la stabilità della Libia? E’stata una decisione della Nato. E questo è il risultato", ha osservato Putin scaricando quindi sull' Alleanza la responsabilità di stabilizzare la situazione

L'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) da tempo "auspica che avvenga un rilascio dalla detenzione dei migranti nei centri in Libia". Un'operazione accompagnata però da "una presa di responsabilità dei Paesi europei, affinché supportino dei piani di evacuazione". Per il momento nessuno parla qui di una corsa all’imbarco per l’Italia ma è noto che il nostro governo non può fidarsi né della Ue né dell’Onu. I grandi paesi europei ci sono ostili e puntano da anni ad “azzopparci” trasformando la Penisola un gigantesco hub di clandestini: basti pensare che criticano Roma per lo stop a quelle Ong che non verrebbero accettate nei porti europei. L’Onu non ci perdona di aver rifiutato la firma del Migration Compact, il documento del Palazzo di Vetro con cui si sancisce per chiunque il diritto ad andare dove vuole, e infatti Unhcr e Oim non collaborano seriamente con Roma. Eppure per le agenzie dell’Onu non sarebbe difficile rimpatriare i 6.000 detenuti come ha fatto con un ponte aereo con oltre 40.000 clandestini negli ultimi 18 mesi.

A smontare il rischio di nuovi flussi verso Lampedusa, paventati da tutti i fautori dei “porti aperti” fin dall’inizio dell’offensiva di Haftar su Tripoli (tre mesi fa) ma mai concretizzatisi, contribuiscono anche altre valutazioni. La Guardia Costiera libica sta lavorando bene e ha già soccorso e riportato in Libia oltre 3.500 clandestini da gennaio affidati anche a personale di Onu e Ong. Grazie ai mezzi, all’addestramento e al supporto italiano i flussi sono in calo costante, basti pensare che dei 2.869 migranti sbarcati quest’anno (83% in meno rispetto al 2018) solo 838 vengono dalle coste libiche (meno del 30%), meno dei 901 che giungono dalla Tunisia o i 664 dalla Turchia o i 267 dall’Algeria. E dalla Libia ne giungerebbero ancora meno se non ci fossero le Ong ad aiutare a tenere aperto il business del traffico di esseri umani.