Libia, scacco della Nato in tre mosse
Gianandrea Gaiani, esperto di strategia: «È ipotizzabile un tale logoramento da indurre il ritiro, che però equivarrebbe alla sconfitta».
Quella di Libia, alle nostre porte, è già, di fatto, una guerra dimenticata. Mormora nel sottofondo dei notiziari, ma non ne occupa più le prime pagine. Quando torna, sporadicamente, in cima alle cronache, lo fa più per effetto di chi si lamenta a gran voce delle sue lungaggini e della sua inconcludenza - ennesimo sbugiardamento del mito della "guerra lampo" - o per gli sciagurati casi, come successo sabato, in cui a farne le spese sono coloro che invece dovrebbero trarre giovamento dall’intervento militare “umanitario”, ovvero i civili.
«Siamo allo stallo, sempre più evidente», dice Gianandrea Gaiani, esperto di strategia e studioso dei teatri di guerra, direttore del mensile web Analisi Difesa e collaboratore di diverse testate giornalistiche. Da settimane lo scenario si ripete uguale a se stesso, ma oggi la stagnazione è giunta al livello massimo. Il copione seguito dalla Nato è sempre lo stesso, ma per di più adesso da bombardare per via aerea non resta più nulla. Quel che c’era da distruggere è stato distrutto e il resto sono solo minutaglie che non possono affatto modificare il quadro complessivo. Una svolta decisiva la porterebbe solo un attacco di terra, che però oggi più che mai nessuno vuole...».
Ma la “Coalizione dei volenterosi” anti-Gheddafi tiene?
Di fatto si sta sfilacciando. La Spagna fa dietrofront, la Norvegia annuncia il ritiro dei propri aerei e dovrebbe completarlo in agosto, idem fa la Svezia (la quale peraltro gli aerei li ha messi solo teoricamente a disposizione della Nato senza però mai impiegarli davvero), la Gran Bretagna si lamenta dei costi improponibili, l’Italia dibatte e si dibatte non certo aiutata dalla crisi politica che sta attraversando…
I ribelli, poi, che senza la Nato scomparirebbero come neve al sole, oltre all’appoggio militare domandano adesso denaro. Crollata palesemente ogni scusa “umanitaria”, la guerra in Libia è insomma sempre più insostenibile.
Resta la Francia.
Sì, resta la Francia: l’unico Paese (solo in parte seguita dalla Gran Bretagna) che nel dare appoggio ai ribelli ha ancora e sempre un tornaconto netto, petrolifero. Pur dentro il contesto Nato, infatti, Parigi sta perseguendo una guerra tutta personale. Non ha esitato ad attaccare da sola le truppe di Muhammar Gheddafi all’inizio, ha continuato in solitaria un conflitto condotto sin da subito in maniera molto spregiudicata, ha poi scelto di cedere, pur obtorto collo, il comando delle operazioni alla Nato, ma di fatto continua ancora a effettuare raid aerei del tutto indipendenti. E questo anche negli obiettivi da colpire, come dimostrano le incursioni su obiettivi civili…
E l’Italia?
L’Italia è legata a doppio filo a questa operazione. Di fatto è in guerra né più né meno delle altre potenze. Ho calcolato che nel primo mese di conflitto, dal 25 aprile al 25 maggio, i nostri aerei hanno sganciato 200 fra bombe e missili. A oggi il conto è certamente aumentato di parecchio…
Gli Stati Uniti restano sempre ai margini?
Più o meno. Sul fronte libico, Washington è in difficoltà. Negli stati Uniti la guerra contro Tripoli è impopolare, non interessa ed è considerata inutilmente dispendiosa. Il presidente Barack Obama spesso non sa che pesci pigliare. L’unica nota di differenza è che la paralisi in cui versa la coalizione internazionale viene strumentalmente utilizzata dagli Stati Uniti per sottolineare, una volta in più, l’incapacità della Nato ad agire da sola con successo. Washington mira a trarne grande vantaggio onde cercare di sfilarsi da una Nato verso cui nutre sempre meno trasporto: oggi il baricentro degli interessi geopolitici statunitensi è infatti palesemente l’Asia. Lì vuole concentrarsi Washington e lì sempre più Washington si concentrerà.
Torniamo alle vittime civili causate dagli attacchi Nato. Certamente non aiutano la conduzione della guerra…
Semmai proprio il contrario. L’Occidente si è affrettato a condannare Gheddafi per crimini contro l’umanità, ma è evidente che pure i raid Nato finiscono in crimini di guerra a danno delle popolazioni civili. Quando, circa un mese fa, venne abbattuto il figlio di Gheddafi, Saif al Arab, la bomba che lo colpì era francese… E un’altra cosa ancora. La Nato ha deciso di prolungare i bombardamenti fino a settembre. Nel frattempo auspica - lo fa espressamente per esempio il ministro italiano degli esteri Franco Frattini – una soluzione negoziale. Ma, avendo denunciato al Tribunale de L’Aja Gheddafi per i crimini del suo regime, come si può sperare che il raìs possa accettare una trattativa che lo porterebbe senza scampo sul banco degli imputati e quindi alla condanna?
Una Nato allo sbando, insomma?
Giudichi lei: dal livello raggiunto dalla propaganda, per esempio. La Nato diffonde filmati di obiettivi militari distrutti che sono solo depositi di ferraglie e di tecnologie superate da anni. Oppure snocciola elenchi di quanti carri armati, quante postazioni contraeree e quanti blindati sono stati colpiti concludendo dalla somma che quello di Gheddafi è un pericoloso regime militare meritevole di essere eliminato… Ma la cosa fa sorridere. Se dovessimo metterci a contare gli armamenti di uno dei nostri Paesi, Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, per non parlare degli Stati Uniti, e dalla cifra totale stabilire se i nostri sono regimi militari o no, nessuno si salverebbe. Anzi, figureremmo tutti come peggiori di Gheddafi…
In realtà, per paura di un golpe, Gheddafi ha sempre volutamente mantenuto l’esercito sotto tono. La sua forza è sempre stata costituita dalle milizie popolari, quei comitati che per ragioni tribali o ideologiche gli sono sempre stati, e ancora gli sono, fedelissimi…
Una vera palude. Ma come se nesce?
Francamente non lo so. Posso solo evocare tre scenari possibili.
Il primo è una divisione di fatto del Paese in due tronconi, una controllata dal governo e l’altra dai ribelli tenuti in vita dalla Nato. La guerra si muterebbe così in un limbo indefinito, attraversato da un serie varia ed eterogenea di negoziati di alterno valore allo scopo di comporre una situazione che però rischierebbe di perdurare per un tempo piuttosto lungo, certamente indefinito, dagli esiti più che incerti.
Il secondo è un tale logoramento della Nato da indurre il ritiro, che però equivarrebbe alla sconfitta. Trascorsi un paio di mesi, Gheddafi trionferebbe agevolmente sui ribelli e le cose tornerebbero più o meno quelle di prima, decretando un clamoroso fiasco dell’Occidente.
La terza e ultima possibilità è invece il successo militare della Nato, che, grazie a raid di precisione, riesca finalmente a eliminare il raìs. Il problema qui sarebbe però la gestione del dopo: come conciliare cioè le litigiosissime più di 200 tribù del Paese in uno scenario di divisione e faida costante che, come avverte correttamente l’Unione Africana, trasformerebbe la Libia in un’altra Somalia: tutti perdenti e nessun vincitore.