Libia, nasce un'altra coalizione jihadista Obiettivo: petriolio
Le milizie jihadiste di Derna, in Cirenaica, hanno dato vita a una coalizione ribattezzata "Consiglio della Shura dei Mujahedeen". È la terza coalizione islamista formata in Libia, che ora minaccia la cosiddetta "mezzaluna petrolifera" tra Sirte e Bengasi. Ma le forze governative stanno guadagnando terreno grazie all'Egitto.
Le milizie jihadiste di Derna, in Cirenaica, hanno dato vita a una coalizione ribattezzata "Consiglio della Shura dei Mujahedeen" in vista dell'attesa offensiva da parte delle forze filo-governative che stanno avanzando verso la città da Tobruk. «Tutti hanno visto cosa è successo a Bengasi: un disastro, le istituzioni distrutte, le case demolite, le moschee e le università date alle fiamme dalle mani criminali dei sostenitori di Haftar», si legge nel comunicato diffuso dalla coalizione islamista facendo riferimento alle forze fedeli all'ex generale Khalifa Haftar e ad Abdullah al-Thani, il premier libico riconosciuto dalla comunità internazionale, impegnate in operazioni militari volte a riconquistare il pieno controllo di Tripoli e Bengasi.
La città di Derna, che conta 150.000 abitanti e culla del jihadismo libico fin dagli anni ‘90, è stata trasformata in un "emirato islamico" dai gruppi armati che hanno giurato fedeltà allo Stato islamico di Iraq e Siria. Il mese scorso, Human Rights Watch ha denunciato come questi gruppi terrorizzino la popolazione con esecuzioni sommarie, pubbliche flagellazioni e altre forme violente di abusi dei diritti umani. Nel comunicato diffuso ieri, il Consiglio della Shura dei Mujahedeen ha invitato tutti gli abitanti di Derna ad unirsi alla nuova coalizione, ma si è rivolto anche ai jihadisti di Ansar al-Sharia attivi a Bengasi: «Siamo con voi nella guerra contro il criminale Haftar e i suoi soldati». Prima dell'annuncio ufficiale della creazione della nuova coalizione, gli islamisti hanno tenuto una parata militare nella città con blindati e combattenti che sventolavano le bandiere nere. Quella della “Shura dei Mujahedeen” è la terza coalizione islamista istituita in Libia e si affianca ad Ansar al-Sharia (qaedisti) e ad “Alba della Libia” che riunisce le milizie tribali di Misurata con quelle salafite e dei Fratelli Musulmani in Tripolitania.
Le forze governative libiche sono impegnate da venerdì a respingere gli attacchi delle milizie islamiche di “Alba della Libia” contro la regione di Al-Hilal, tra le città di Bengasi e Sirte, una delle aree petrolifere più importanti nell'est del Paese. Finora i militari hanno respinto gli attacchi contro i terminal di Sidra e Ras Lanouf provocando oltre 50 vittime tra gli attaccanti. «Un attacco a sorpresa - ha spiegato il generale Saqr al Gerushi, comandante delle forze aeree dell'ex generale Khalifa Haftar - è stato lanciato dai militanti di Alba della Libia» che hanno cominciato ad avanzare verso la regione del petrolio. I jet e gli elicotteri delle forze aeree hanno colpito queste milizie mentre avanzavano verso il porto petrolifero di Sidra (il più importante del Paese per l’export di petrolio) attraverso la strada lungo la costa e altre vie laterali, ma anche attraverso il deserto.
Ieri il porto è stato chiuso per sicurezza e la società petrolifera statale Noc ha dichiarato il blocco progressivo delle operazioni di pompaggio ai due terminal per “cause di forza maggiore”. L’offensiva islamista minaccia la cosiddetta "mezzaluna petrolifera" tra Sirte e Bengasi, che il premier Abdullah al Thani aveva definito, solo tre giorni fa, «sicura e sotto il pieno controllo del governo».
Sul fronte dei terminal le truppe dell’esercito sono affiancate dagli ex ribelli 'federalisti' che lo scorso anno bloccarono per mesi l'esportazione di petrolio ricattando di fatto l'allora governo di Ali Zeidan e che oggi sono alleati di al-Thani.
Il Parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto ed eletto nel giugno scorso, ha lanciato l'allarme mettendo in guardia la comunità internazionale: «Lo scopo dell'aggressione ai terminal è di impossessarsi delle risorse per finanziare le loro operazioni terroristiche, così come quelle di altri gruppi terroristici in altre zone del mondo». Il Parlamento precisa in una nota che le milizie filo-islamiche di Fajr Libya, quelle di al-Faruk (attive a Misurata) e i jihadisti di Ansar al Sharia (in Cirenaica) «si sono alleate per impadronirsi del Paese". Da qui l'appello alla comunità internazionale a "sostenere la Libia nella sua lotta al terrorismo".
Caldissima anche la situazione sul campo di battaglia più occidentale lungo il confine tunisino dove i militari hanno ripreso il controllo della frontiera dopo molti raid aerei e aspri combattimenti e grazie ai rinforzi giunti da Zawiya e Sabrata.
Intanto il sito al-Monitor ha confermato come l’appoggio dell’Egitto stia consentendo i successi registrati dalle forze governative libiche. «Ci sono indicazioni forti e rassicuranti sul fatto che possiamo strappare Bengasi alle milizie», ha detto una fonte diplomatica egiziana anonima dichiarando che «Il Cairo sta fornendo informazioni di intelligence che stanno contribuendo alla definizione delle strategie dell'esercito libico nell'ambito dell'operazione “Dignità” del generale Khalifa Haftar nella guerra al terrorismo».
«Stiamo collaborando con l'esercito libico e con gruppi arabi provenienti dai Paesi vicini, soprattutto dall'Algeria, nel rispetto di un piano politico e militare che viene già applicato a Bengasi e che presto sarà applicato a Tripoli», ha aggiunto. Negli ultimi due mesi, ricorda al-Monitor, funzionari della presidenza e del ministero degli Esteri egiziani, così come il personale della sicurezza, hanno accolto decine di politici e parlamentari libici per definire un'azione coordinata contro gli islamisti.
L'Italia invece continua a stare a guardare e ieri in un’intervista al Corriere della Sera il ministro della Difesa Ro0berta Pinotti ha ribadito che Roma «vuole essere protagonista nella soluzione della crisi libica» ed è pronta a «fornire i suoi soldati a una forza di pace delle Nazioni Unite», ma occorre prima chiarire il contesto interno perché «in Libia non c'è un solo interlocutore e anche dal punto di vista della legittimità la situazione rimane confusa».
Dichiarazione che non riconosce il governo islamista di Tripoli ma al tempo stesso mette in discussione la legittimità di quello di Tobruk, sconfessato dalla Corte Suprema di Tripoli che oggi è però in mano agli islamisti. Una sorta di neutralità che, lungi dal promuovere l’Italia come protagonista, la mette al contrario ai margini rifilandole un ruolo irrilevante. Del resto chi si potrebbe fidare di un’Italia incapace di assumere una posizione netta e coerente?
Infatti, nel dubbio di apparire schierata contro gli islamisti, la Pinotti ammette nell’intervista la collaborazione con Emirati Arabi ed Egitto che sostengono il governo di al-Thani e il generale Haftar, “ma anche con Turchia e Qatar” sponsor politici e militari dei gruppi islamisti. Non spiega però perché Roma si mobiliti con aerei e soldati contro gli islamisti in Iraq ma non faccia altrettanto contro quelli in Libia, molto più vicini al territorio italiano.