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MEDITERRANEO

Libia, la crisi che ci riguarda ma continuiamo a ignorare

Tripoli è tornata a vivere giorni di guerra dopo la lunga battaglia del 2019, quando Haftar tentò di conquistarla. Ora ci prova il generale Bashagha, ma le milizie filo-governative hanno respinto anche il suo assalto. La Libia è negli interessi italiani per gas e flusso di immigrati, ma il governo Draghi sta sottovalutando la crisi. 

Esteri 01_09_2022
Tripoli, dopo la battaglia

Tripoli è tornata a vivere giorni di guerra dopo la lunga battaglia del 2019 conclusasi con il fallito tentativo dell’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar di conquistare la capitale libica. Tra il 27 e il 28 agosto si sono affrontate per oltre 24 ore le milizie affiliate al Governo di Unità Nazionale libico (GUN), guidato da Abdulhamid Dbeibeh e quelle vicine al premier designato del Governo di Stabilità Nazionale (GSN), Fathi Bashagha.

Come a suo tempo Haftar, anche Bashafga ha fallito nel tentativo di occupare la città e Tripoli è tornata stabilmente sotto il controllo delle forze affiliate a Dbeibeh composte dalla Forza Rada, guidata da Abdel Raouf Kara, dalla Brigata 444 guidata da Mahmoud Hamza; e dalla Forza di sostegno alla stabilizzazione, guidata da Abdel Ghani al Kikli. Le milizie vicine a Bashagha, incentrate sulla Brigata 777 e il Battaglione 92 guidati da Haitham al Tajouri, si sono ritirate dopo una serie di scontri che secondo il ministero della Sanità hanno provocato 42 morti (tra i quali 17 civili), 159 feriti e 50 famiglie sfollate.

Come ha riferito l’agenzia di stampa Nova, tutte le forze fedeli a Bashagha hanno dovuto ripiegare mentre la comunità internazionale ha condannato gli scontri e l’ONU ha chiesto il riavvio del processo elettorale arenatosi nel dicembre scorso e il cui fallimento avrebbe dovuto decretare le dimissioni di Dbeibeh. Per Bashagha si tratta dell’ennesimo fallito tentativo di prendere Tripoli e dare un solo governo alla Libia. A maggio un tentativo di insediare il suo governo a Tripoli aveva innescato scontri che si conclusero con il suo ritiro dalla capitale. Dbeibeh ha accusato il rivale di avere innescato le violenze a Tripoli dopo avere rifiutato colloqui di pace per tenere nuove elezioni alla fine di quest’anno e di rispondere ad “agende straniere”, definendoli “criminali” e “golpisti” che hanno “fatto la guerra nella capitale con carri armati e armi pesanti”. “Perseguiremo tutti coloro che sono coinvolti” nelle violenze, ha detto, promettendo di trasferire alcune sedi dei gruppi armati fuori dal centro della capitale.

Bashagha ha sottolineato la sua “rinuncia costante alla violenza” e la sua “assoluta adesione all’esercizio dei diritti politici con mezzi pacifici”, accusando il premier rivale di sfruttare “risorse e capacità’ statali” per formare e sostenere gruppi armati per rafforzare il suo governo e stabilire “un regime dittatoriale, uno Stato tirannico che prende di mira chiunque vi si opponga”. Bashagha sembra poter del resto ancora contare sul sostegno della Camera dei rappresentanti basata a Tobruk, che non intende ritirare la fiducia al Governo di Stabilità' Nazionale (GSM) come ha riferito alla Agenzia Nova il deputato libico Al Mabrouk al Khattabi, eletto nella città occidentale di Sabrata.

Le recenti vicende libiche sembrano però rilanciare come “uomo forte” il generale Haftar, dato più volte in decadenza ma vero e proprio arbitro della situazione politica e militare in gran parte della Libia esclusa una importante porzione della Tripolitania. "Non abbiamo costruito l'Esercito Nazionale Libico (LNA) per stare a guardare i bulli che trascinano l'amata Libia nell'abisso. Nessuno salverà la Libia, romperà la sua prigionia e costruirà la sua tabella di marcia, se non il popolo stesso proteggendo il suo esercito" ha detto Haftar a Kufra, dove ha affermato che "il popolo e l'esercito" devono essere incaricati di "correggere la situazione prima che sia troppo tardi".

Ahmed al Mismari, portavoce dell'LNA ha detto all’agenzia di stampa Nova che l’esercito "non ha preso parte agli scontri avvenuti a Tripoli e non appoggia nessuna parte politica nella crisi. Il comando generale delle forze armate prende le distanze da questo conflitto, nonostante il nostro sostegno alla legittimità' rappresentata dal Parlamento libico", ha detto Al Mismari. Haftar sembra quindi volersi riproporre come “salvatore della Patria” scongiurando con il suo esercito una nuova guerra tra milizie. La breve ma cruenta battaglia per Tripoli rischia in effetti di riportare la Libia a una condizione di conflitto aperto, situazione particolarmente sgradita per l’Italia che già deve fare i conti con il nuovo boom dei flussi di immigrati illegali dalle coste della sua ex colonia, che si aggiungono a flussi altrettanto in crescita da Tunisia e Turchia, per un totale di oltre 57 mila clandestini sbarcati da gennaio a ieri mattina.

Meglio poi non dimenticare che sui flussi dalla Libia, questa volta di gas, l’Italia punta in modo particolare per compensare il taglio delle forniture dalla Russia: un tracollo anche di questa fonte di approvvigionamento aggraverebbe i già drammatici effetti della crisi energetica in Italia ed Europa. Ciò nonostante il quasi totale disinteresse di Roma per quanto avviene a Tripoli conferma come il governo Draghi abbia fallito anche nello sviluppare rapporti con Tripoli che tenessero conto delle diverse emergenze che giungono in Italia da quelle coste. Tirare in ballo le responsabilità del ministro degli Esteri Luigi Di Maio nella gestione del dossier libico sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, tuttavia il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) nella relazione approvata il 19 agosto aveva segnalato una “permanente conflittualità”  ma, complice lo strabismo che pervade Italia ed Europa da sei mesi a questa parte, aveva sottolineato “l’impegno della Russia in Libia” che “ rimane molto intenso, in forza della presenza delle milizie del Gruppo Wagner nella Cirenaica controllata dal generale Haftar”.

Come abbiamo visto è vero che la crisi determinata dagli scontri delle ultime ore potrebbe rafforzare ulteriormente Haftar (e “i signori della guerra” di Tripoli e Misurata) ma l’enfasi posta a Roma e in Europa sul ruolo di Mosca in Libia come in Africa sembra legata soprattutto al contesto determinato dal conflitto in Ucraina e dalle sue conseguenze. Il risultato è che viene così’ trascurato il fatto che le tensioni in Libia dipendono in questa fase forse più da rivalità interne che dal ruolo delle potenze che esercitano maggiore influenza sulla nostra ex colonia (Turchia, Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti). Del resto i contractors russi del Gruppo Wagner sono impegnati al fianco delle truppe di Haftar con compiti di addestramento e presidio militare, curando anche la difesa aerea della Cirenaica e presidiando terminal e pozzi petroliferi.

Benché in Italia la campagna elettorale veda la sinistra accusare “i russi” di inviare immigrati illegali sulle nostre coste dalla Cirenaica, nessun rapporto ha mai messo in relazione il Gruppo Wagner con il traffico di esseri umani. Semmai assistiamo a un boom dei flussi migratori clandestini provenienti da tutto il Mediterraneo (Algeria, Libia, Tunisia, Egitto e Turchia) per la semplice ragione che il nostro è l’unico Paese che accoglie chiunque paghi criminali per superare i suoi confini.