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Libia, i veri numeri di una guerra assurda

Diffuse da Tripoli le cifre del conflitto libico del 2011: poco più di 6mila morti. Stando ai numeri, i caduti sono quasi tutti soldati di Gheddafi. È la prova dell'assurdità di un intervento lanciato per fermare un "genocidio" che non c'era.

Esteri 04_11_2013
Tomahawk

Non ci sarebbe bisogno di nuove rivelazioni per ricordarci l’assurdità del conflitto libico che nel 2011 portò all’uccisione di Muammar Gheddafi e alla caduta del suo regime. Fomentato dagli emirati del Golfo, Qatar in testa, con il supporto di Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, quel conflitto ha determinato il caos in Libia, paese ormai “somalizzato” in mano a milizie tribali, terroristi islamici e bande criminali, come aveva ammonito l’Unione Africana. La stessa guerra ha provocato danni ingentissimi all’Italia, obbligata dagli “alleati” della Nato a intervenire contro un governo con il quale aveva stretto un Trattato di Amicizia e contro il suo primo fornitore di petrolio: caso unico nella storia delle guerre.

La guerra libica, lo ricordiamo tutti, segnò inoltre il punto minimo di credibilità del governo Berlusconi e l’azzeramento della sovranità nazionale italiana poi suggellata dal governo di Mario Monti impostoci dalle “potenze occupanti” euro-statunitensi.

Anche la retorica dell’insurrezione di popolo contro il tiranno di Tripoli è stata ampiamente spazzata via da quanto emerso già durante la guerra. Sappiamo che a sobillare la rivolta in Cirenaica furono agenti del Qatar che si appoggiavano sui gruppi islamisti anti-regime che in quella regione affiancavano i gruppi autonomisti che si richiamano al regime monarchico di re Idris.

Sappiamo anche che la ribellione non avrebbe avuto successo senza il robusto intervento prima di una coalizione a guida statunitense poi della forza della Nato dell’operazione Unified Protector che affiancherà i ribelli ma impiegherà ben sette mesi per avere ragione delle forze lealiste. Impossibile dimenticare che le forze alleate non avrebbero mai potuto gestire un’azione militare prolungata senza la disponibilità delle basi italiane e abbiamo avuto prove certe che la conquista di Tripoli non è stata opera dell’armata brancaleone dei ribelli ma di qualche migliaio di soldati del Qatar privi di uniformi per apparire come miliziani.

Nei due anni trascorsi dalla fine di quel conflitto abbiamo avuto molte occasioni per rimpiangere Gheddafi, dittatore spietato e astuto che dal 2004 aveva aperto le porte all’Occidente collaborando nel business e nella lotta al terrorismo islamico. Senza di lui le forniture petrolifere libiche all’Italia sono calate e rischiano di interrompersi poiché ogni terminal e ogni pozzo sono in balìa delle singole milizie tribali. Senza il Colonnello la Libia è il “nuovo Afghanistan” di al Qaeda ed è ripreso massiccio il traffico di esseri umani verso Lampedusa con oltre 100 mila arrivi negli ultimi due anni. Anche i francesi si sono pentiti amaramente dell’avventura libica che ha permesso ai qaedisti di armarsi nelle caserme libiche per occupare mezzo Malì e minacciare l’Algeria e tutto il Sahel.

Insomma, non c’era bisogno di nuove rivelazioni per incrementare il senso di frustrazione dell’Italia e dell’Occidente per una guerra suicida che ha fatto solo gli interessi dei nostri nemici. Per questo le notizie diffuse a Tripoli dall'Ufficio di statistica e censimento il 31 ottobre, che rivedono ulteriormente al ribasso il numero di vittime del conflitto 2011 suonano come ennesima beffa nei confronti degli occidentali. Le nostre leadership e opinioni pubbliche si sono ampiamente abbeverate durante la guerra dalle fonti propagandistiche di al-Jazeera e al-Arabya che fin dai primi giorni della rivolta a Bengasi ingigantirono, grazie a fonti improbabili e pilotate, i dati su morti e feriti.

Le cifre diffuse nei giorni scorsi riferiscono di 6.048 i morti e 831 feriti nella “rivoluzione” del 2011 contro i 50 mila morti tra civili e combattenti annunciati dai ribelli il 30 agosto 2011, cifra poi dimezzata in ottobre, a conflitto concluso. Ricordiamo un paio di perle della propaganda bellica. Il 23 febbraio, una settimana dopo l’inizio degli scontri al-Arabiya riferì di 10 mila morti e 50mila feriti, dato definito “credibile” dalla Farnesina. Il 25 marzo, poco più di un mese dopo l’inizio della rivolta, gli insorti di Bengasi, riferivano ad al-Jazeera, che tra ottomila e diecimila persone avevano perso la vita nelle rivolte contro il regime.

Le statistiche poi non specificano le quote di vittime civili e perdite tra miliziani e soldati regolari, ma molti elementi sembrano indicare che la gran parte delle perdite siano costituite da soldati uccisi dai raid aerei. I circa 260 jet alleati (la metà da combattimento) e 21 navi da guerra hanno lanciato circa 10 mila ordigni sulla Libia, in 26.500 missioni aeree di cui 9.700 da attacco al suolo. I bersagli colpiti sono stati ben 5.900 inclusi 600 carri armati e veicoli blindati e 400 pezzi d’artiglieria.

Una mole di fuoco che ha provocato un numero imprecisato di vittime (anche civili) ma se si tiene conto che ogni veicolo militare blindato o corazzato imbarca solitamente non meno di 4 o 5 militari non è difficile valutare che la gran parte dei 6 mila morti “certificati” dall'Ufficio di statistica e censimento di Tripoli sono soldati di Gheddafi uccisi dalle armi della Nato.

Una vera beffa per l’Italia e l’Occidente che aveva creduto (o voluto credere) alle notizie di sanguinose repressioni governative nelle città della Cirenaica, alle “fosse comuni” di regime, ai bombardamenti senza quartiere su Misurata, la “città martire” le cui milizie si sono distinte nel dopoguerra per violenze e saccheggi a sfondo razziale sulle popolazioni libiche di colore e che oggi si arricchiscono con il traffico di esseri umani verso le coste italiane.