Libertà religiosa. Barlumi di speranza nel buio
“La maggior parte della popolazione mondiale è privata del suo diritto alla libertà di religione, credo, pensiero o coscienza", si legge nel rapporto Forb, dell'Ue, sulla libertà religiosa e di credo nel mondo. L'intergruppo ha ritenuto importante concentrarsi anche sui segnali di speranza.
SINICIZZAZIONE di Stefano Magni
L’Intergruppo del Parlamento Europeo sulla libertà di religione o di credo e sulla tolleranza religiosa (Forb & RT, nell’acronimo inglese) ha presentato il 4 settembre il suo quarto rapporto. Come negli anni precedenti, il documento ha individuato i paesi in cui si verificano più violazioni della libertà di religione e credo (inclusa la libertà di non credere nell’esistenza di un Dio ed essere atei). Per il 2017, l’anno di riferimento, sono stati considerati 34 paesi e una regione, l’Asia Centrale. Vi figurano gli stati segnalati in tutti i rapporti sulla libertà di religione, dalla Corea del Nord all’Afghanistan, dalla Nigeria all’India, e alcuni altri: ad esempio, l’Armenia, la Guinea e la Bieolorussia. Per ognuno un colore – verde, giallo e rosso – e un simbolo (ripetuto da una a cinque volte) indicano il livello di persecuzione, da moderato a estremo.
“La maggior parte della popolazione mondiale – si legge nell’introduzione al rapporto – è privata del suo diritto alla libertà di religione, credo, pensiero o coscienza. I musulmani Rohingya continuano a essere perseguitati in Myanmar, i cristiani continuano a essere condannati a morte per blasfemia in Pakistan, gli atei continuano a essere demonizzati e i non Indu sistematicamente privati dei loro diritti in India, e questi sono solo alcuni dei molti esempi di persecuzione di comunità di religione e di credo nel mondo. Poiché ciò in cui crediamo costituisce il nucleo profondo della nostra umanità, noi membri del Forb ci impegniamo a fare tutto ciò che è in nostro potere per mettere fine alle continue violazioni della libertà di religione e di credo, nella convinzione che dobbiamo porre le persone e i loro diritti, ovunque nel mondo, prima dei nostri interessi finanziari e politici”.
Il rapporto intende essere uno strumento operativo per l’Unione Europea e per i paesi membri e a tal fine ha adottato quest’anno una nuova impostazione: la scheda di ogni stato descrive i rapporti tra l’UE e il governo in carica al momento della rilevazione, le iniziative raccomandate dal Forb, gli interventi diplomatici e di sostegno che l’UE può intraprendere.
Ad esempio, l’Eritrea, di interesse attuale perché molti eritrei raggiungono l’Europa e chiedono asilo sostenendo di essere perseguitati in patria. La sua scheda informa che UE ed Eritrea nel 2016 hanno firmato un “Programma nazionale indicativo” per la realizzazione del quale l’UE ha stanziato 200 milioni di euro, in aggiunta ai fondi assegnati ad altri programmi già avviati. Forb raccomanda all’UE di condizionare l’assistenza allo sviluppo, in particolare l’erogazione della seconda parte dei fondi del “Programma nazionale indicativo”, all’accettazione da parte del governo eritreo che una delegazione UE visiti il paese per verificare la situazione dei diritti umani e che i funzionari eritrei seguano corsi di formazione su come realizzare gli obiettivi del Programma. Forb inoltre raccomanda all’UE di chiedere al governo eritreo di dare libero accesso ai funzionari dell’Onu incaricati di monitorare il rispetto dei diritti umani. Infine suggerisce all’UE di impegnarsi insieme al governo eritreo al riconoscimento dei diritti di tutte le religioni e credenze oltre alle quattro attualmente ufficiali e alla revisione delle leggi che limitano la libertà di religione e di credo.
L’intergruppo Forb quest’anno ha ritenuto importante concentrarsi non soltanto sulle persecuzioni, ma anche sui segni di speranza, le aperture, i passi avanti. Nel caso dell’Eritrea un segno di speranza è considerato il fatto che il governo abbia permesso a diplomatici, parlamentari e inviati di vari paesi di visitare la capitale Asmara, indicativo della volontà di interagire con la comunità internazionale. Altro segno di speranza è la pace siglata con l’Etiopia nel luglio 2018 e il successivo ripristino dei rapporti diplomatici, delle comunicazioni e degli scambi tra i due paesi.
Sono segni di speranza, non atti concreti di cambiamento. In altri paesi i segni sono ancora più labili: in Cina, ad esempio, dove il Forb indica come unica speranza solo l’audacia della popolazione che sfida il governo nonostante la crescente repressione; o in Iran, dove il solo segno di speranza è lo svolgimento nel novembre del 2017 del primo incontro con l’UE sui diritti umani dopo l’interruzione del dialogo nel 2004.
Sembrano e sono segni di speranza talmente tenui, eppure aprono degli spiragli che invece mancano in tanti stati: nella Corea del Nord, ad esempio, malgrado gli accordi sul nucleare, perché ancora il governo non accenna a mettere fine alle gravissime violazioni dei diritti umani inflitte alla popolazione; nel Brunei, che si proclama Stato Islamico e continua a negare i diritti di chi professa altre religioni; o nelle Maldive, dove anzi si assiste al deterioramento di una situazione già critica.
I segni di speranza – scrivono gli autori del rapporto – illuminano appena luoghi in cui regna il buio”. Le raccomandazioni operative del Forb – iniziative marginali, in fin dei conti poco incisive, né potrebbe essere diversamente – tolgono l’illusione che l’UE riesca davvero con i suoi interventi a promuovere e proteggere il diritto alla libertà di religione e di credo.