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il libro

Libertà di religione: una precisazione fondamentale

Dottrina sociale 18_12_2020

Il Vescovo Athanasius Schneider nel suo libro “Christus vincit” appena uscito in libreria (Fede & Cultura, Verona 2020) fa una importante precisazione sul modo di intendere la libertà di religione,  Nella Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae si sostiene che il diritto a scegliere la religione si fonda sulla natura umana (nn. 2 e 4). Tale diritto riguarderebbe la scelta per ogni religione, pur nei limiti del rispetto del bene pubblico. Mons. Schneider contesta questo punto, sostenendo che l’adesione alla religione naturale è una cosa, mentre l’adesione ad una falsa religione, come per esempio una religione idolatrica, è un’altra cosa. La religione naturale non è contraria a Dio, ma è semmai prodroma alla religione vera, le altre religioni invece sono contrarie a Dio. Per questo, secondo lui, l’affermazione conciliare in questione è sbagliata e il magistero dovrebbe rivederla.

Il numero 4 della Dignitatis humanae dice che la libertà religiosa si fonda “nella natura stessa della persona”. Con ciò si esclude che la natura della persona sia ordinata a Dio (al Dio della religio vera) come suo fine ultimo. Si pensa invece che essa sia ordinata ad un generico “essere supremo” che può essere dato dalle varie religioni, qualsiasi esse siano. La libertà di religione si fonda sul diritto naturale, ma il diritto naturale è ordinato a Dio. Togliendo questo ordinamento o pensandolo come rivolto ad ogni divinità del pantheon religioso, si cade nel naturalismo, considerando il piano del diritto naturale come indipendente. In questo modo, però, si perde la continuità tra la natura e la sopra-natura.

Questa continuità risulta chiara da questa semplice constatazione. Le religioni idolatriche e false alla fine demoliscono anche il diritto naturale. Da un lato il loro grado di verità è dato dai contenuti di legge naturale che esse contendono, dall’altro i loro riti e le loro credenze positive corrodono e impediscono l’osservanza della stessa legge naturale. Solo nella religio vera ciò non avviene, il che dimostra che il diritto naturale è ordinato alla vera religione cattolica e non ad ogni religione.

La natura umana fonda la libertà di religione, ma nello stesso tempo anche la ordina e la qualifica, in modo tale da escludere, come sue esito, le false religioni, le quali pubblicamente non possono essere promosse, ma semmai tollerate entro certi limiti. Se, viceversa, la natura umana viene intesa solo come fondativa ma non anche come ordinatrice e qualificante (cosa equivalente però a negarla perché una natura non normativa non sarebbe nemmeno natura), si rischia di cadere in una concezione della libertà di tipo modernista. La tesi di una natura che fonda un indistinto diritto alla libertà di religione è quindi contraddittoria.

Nella Dichiarazione di Abu Dhabi, Francesco ha affermato che la pluralità delle religioni è voluta da Dio. In questo modo egli ha inteso sviluppare la Dignitatis humanae nel senso che sopra si è visto essere sbagliato. Ad Abu Dhabi si è presupposto che ci sia una natura umana che fonda il dovere/diritto di cercare Dio in generale. Non è chiaro come la religione musulmana possa accettare questa idea, ma la religione cattolica non può accettarla, perché si fonderebbe su una natura umana come fondamento di un diritto alla libertà religiosa generico e imprecisato, mentre l’esigenza del Dio vero della religione cattolica è già presente nel diritto naturale radicato nella natura umana.   

Fino a qui Mons. Schneider. Il ragionamento può essere continuato (confermato e supportato) con riferimento alla dottrina della “virtù di religione” esposta da San Tommaso nella Summa. Quella di religione è una virtù – dice il Santo Dottore – e l’incredulità, di cui è un esempio anche l’idolatria, è una colpa. Perché quella di religione è una virtù? Perché è espressione della natura umana e quando l’uomo opera in conformità ai fini che derivano dalla sua natura opera il bene ed è virtuoso, in caso contrario è reprobo. Ora, la natura umana non esprime un generico invito a credere per cui sia da considerarsi virtuoso qualsiasi credente in qualsiasi religione. La natura umana spinge naturalmente a credere in modo umano, in modo naturale, in modo razionale, ossia in modo ordinato al Vero Dio e non in qualsiasi modo disordinato.

L’incredulità è una colpa (non ci si riferisce qui ad un giudizio sul soggetto agente ma sull’azione) perché non corrisponde alle esigenze di verità che la natura umana pone alla libertà di religione. Se la natura umana fondasse una generica libertà di religione, quella di religione non sarebbe più una virtù e l’incredulità non sarebbe più una colpa, la religione vera sarebbe equiparata alle altre religioni e le scelte per l’una o per le altre sarebbero equivalenti e ugualmente da proteggere da parte dell’autorità politica, la quale non avrebbe nessun dovere verso la verità delle religioni come accade nell’indifferentismo di oggi.