Libano, una nuova guerra dietro l'angolo
Mentre la tensione si alza pericolosamente, è iniziato all'Aia il processo ai presunti assassini dell'ex premier libanese Rafiq Hariri. Roger Bou Chahine (Ogmo) ci spiega l'importanza del processo in corso, fra paure di guerra e sete di giustizia.
«Il processo iniziato all’Aia è l’unica speranza, per il popolo libanese, per non perdere lo spirito di Rafiq Hariri, che con la sua morte ha potuto almeno scacciare il dominio siriano sul Libano». A parlare in questi termini è Roger Bou Chahine, cristiano libanese, analista di politica internazionale, direttore dell'Osservatorio Geopolitico Mediorientale (Ogmo). All’Aia, giovedì, è iniziato il processo del secolo, il più importante nella storia recente del Medio Oriente. Il movimento Hezbollah è sul banco degli imputati. Giudice e giuria sono internazionali, nominati dall’Onu. Oggetto del processo: l’attentato di Beirut che costò la vita a Rafiq Hariri e altre 21 persone, provocando anche più di 200 feriti. Una gigantesca autobomba che distrusse un intero isolato della capitale e cambiò in modo definitivo il volto del Libano contemporaneo. Per 15 anni il Paese dei Cedri era rimasto in pace. Nemmeno l’11 settembre, la guerra in Iraq e l’inizio della guerra al terrorismo lo avevano intaccato. Posto sotto la “protezione” militare siriana e guidato dal pragmatico sunnita Rafiq Hariri, il Paese era rimasto neutrale. Finché, appunto, il grande equilibrista libanese non venne assassinato.
A quasi nove anni da quell’attentato, il tribunale internazionale dovrà giudicare dei fantasmi: gli imputati, quattro membri del partito armato sciita Hezbollah, sono assenti. Il processo Hariri è l’ultimo sviluppo della lunga crisi che coinvolge sia Libano che Siria. Ma è l’origine di tutto quello che stiamo vedendo accadere nel Levante. Dall’omicidio dell’ex premier sunnita, avvenuto il 14 febbraio 2005, sorse il primo movimento di massa. Era la prima “Primavera”. La piazza dei democratici arabi scendeva in campo in quell’inverno del 2005 per chiedere il ritiro dell’esercito siriano, che occupava il Paese sin dal 1990, dalla fine della lunghissima guerra civile libanese. Il regime di Damasco venne accusato dai sunniti libanesi di aver ordinato l’omicidio. Il dittatore Bashar al Assad cedette e ritirò le sue truppe dal Paese dei Cedri. Fu il primo colpo subito dal suo regime, “l’antipasto” della rivoluzione e guerra civile siriana. Ora la situazione è molto degenerata. Lo stesso conflitto siriano sta esondando in Libano, dove si affrontano milizie estremiste sunnite ed Hezbollah in scontri sempre più sanguinosi. E nel frattempo la commissione internazionale di inchiesta sull’omicidio Hariri, è giunta alle sue prime conclusioni. Si alza il sipario sul processo del secolo.
«Questo tribunale internazionale – commenta Bou Chahine - partendo dal caso Hariri, e poi, si spera, giudicando anche tutti gli altri casi di omicidi politici, contro tutti i colleghi di Hariri (da ultimo anche l’ex ministro delle Finanza Mohammed Chatah, il 27 dicembre scorso, ndr) può ridare un senso al governo libanese».
Ma adesso, cosa ci si attende dal processo? «L’indagine si basa su elementi accusatori che riguardano cinque persone. Oggi si pensa che due differenti identità siano la stessa persona, dunque si parla di quattro imputati. Gli elementi nelle mani degli inquirenti sono fragili. Fino al 2009 (l’inchiesta è iniziata nel 2007, ndr) ci si era basati esclusivamente su testimonianze che poi si rivelarono false. Negli anni successivi, dal 2010 in poi, l’indagine si è spostata sulle intercettazioni e sull’esame del traffico telefonico. È su questi elementi che si basa l’accusa ai quattro membri di Hezbollah». Trovare prove schiaccianti risulta difficile, proprio perché gran parte dei documenti e degli indizi sono stati «distrutti dai diretti interessati, anche sotto il naso del governo libanese e dell’Onu».
Ma una volta riaperta questa vecchia ferita, che sarà del Libano, che è già sull’orlo della guerra civile? «Basta sentire il discorso che ha fatto ieri Saad Hariri, ex premier e figlio di Rafiq, per capire dove tira il vento: vuole riaprire le porte a un accordo di compromesso con Hezbollah, per evitare che il Paese si spacchi. Una parte del suo Movimento 14 Marzo rifiuta questa strategia. Certo tutti dimenticano di dire che Hezbollah non è solo un movimento armato che attualmente partecipa alla guerra in Siria al fianco di Assad: Hezbollah domina la politica libanese. Il tribunale internazionale può fare esplodere il Libano. Non a caso, da ieri, sono ricominciati combattimenti a Tripoli, anche con uso di armi pesanti. E anche al regime siriano interessa destabilizzare il Paese. È nell’interesse di Assad mantenere la pressione ed evitare un governo che escluda o riduca la presenza di Hezbollah». Oltre a Hezbollah, dalla Siria stanno arrivando anche le milizie jihadiste sunnite come Al Nusrah. Quanto è forte il rischio dello scoppio di una guerra civile? «È già in atto. È ancora una guerra fredda, tutti la vogliono evitare, ma i gruppi estremisti affluiti in Libano, che hanno le basi in Libano, che vanno a combattere in Nord Africa, in Siria e in Iraq, hanno tutto l’interesse a importarla. Finora il governo di Beirut è riuscita a tenerli a bada, nel migliore di modi. Nella maggior parte dei casi, trattando. In alcuni casi, mandando l’esercito e ammazzando i miliziani. Sono metodi duri, purtroppo, ma tutti i politici sono consapevoli che il Libano non reggerebbe una seconda guerra civile».
Si parla sempre delle fazioni sunnita e sciita.
Ma i cristiani, che erano maggioranza in Libano, ora che fine hanno fatto? «La debolezza dei cristiani risiede nella loro spaccatura interna, iniziata prima della fine della Guerra Civile, nel 1990 e culminata quando il generale Aoun ha stretto un patto con i siriani e con Hezbollah. Oggi i cristiani che entrano in politica lo fanno per affari, non tanto per condizionare o cambiare la politica. i cristiani pagheranno un prezzo molto caro, comunque si concluda questa vicenda. Chi segue Aoun, sostenendo Hezbollah, subirebbe una vera caccia alle streghe, nel momento in cui i quattro imputati dovessero essere condannati all’Aia. Chi sta dall’altra parte, con i sunniti, rischia di diventare la prima vittima di Hezbollah, nel caso dovesse scoppiare la guerra civile. Prima o poi, qualcuno di loro pagherà un prezzo molto alto». Non a caso i cristiani libanesi iniziano a fuggire. Anche l’Egitto, dove pure rischiano grosso (a causa dell’estremismo sunnita locale), è una meta della loro nuova diaspora. Sempre meglio del rischio di una nuova guerra civile che li vedrebbe presi fra due fuochi.
Quanto agli effetti politici del processo: «per quanto la politica libanese sia provinciale e la sua diventata sempre di più, si sta cercando di fare pressione su Hezbollah e ottenere da esso sempre di più. Fino a pochi mesi fa, il partito sciita aveva rovesciato il governo di Hariri (figlio) eletto dalla maggioranza. Hezbollah ha controllato il potere, succhiato il sangue al Paese, fatto tutto quel che c’era nella sua agenda. Da quando si è avvicinato il processo ed è diventato evidente il salasso di uomini che il movimento sciita sta subendo nella guerra siriana (prima i suoi caduti erano “morti di infarto”, solo da poco li dichiarano “martiri”), Hezbollah si sente minacciato da vicino. E sta iniziando a cedere su molti punti, cosa che sta permettendo di costituire un governo di unità nazionale proprio in questi giorni, rinunciando al controllo di maggioranza». Considerando il pericolo di destabilizzazione, il processo Hariri è realmente “una speranza” per il popolo libanese? «È l’unico modo per salvare la situazione politica, ormai. Non dimentichiamoci che appena due settimane fa è stato ucciso Mohammed Chatah, che era consigliere di Rafiq Hariri. Gli omicidi di Hezbollah sono iniziati nel 2005 e continuano ad andare avanti. Solo un’eventuale condanna al movimento sciita può fermarlo, prima o poi. La guerra civile sarebbe ancor più probabile se non lo si fermasse».