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L'ATTENTATO

Libano in fiamme, travolto dalla vicina Siria

Una potente bomba devasta il centro di Beirut e uccide l'ex ministro Mohamed Chatah. Il mandante pare scontato:Hezbollah. Si tratta di una vendetta locale, ma non solo: l'attentato è parte di un conflitto generale fra musulmani sciiti e sunniti.

Esteri 28_12_2013
La bomba a Beirut

Libano, così piccolo e così turbolento. Un territorio grande quanto quello della regione Marche ha conosciuto 25 anni di guerra civile, due guerre con Israele, otto anni di instabilità e violenza settaria. Ed ora rischia, dal 2012, di essere trascinato nello stesso conflitto che dilania la Siria. “La guerra civile cristiana, detta Guerra dei Trent’anni (1618-1648, ndr) ha lasciato 8 milioni di morti e l’Europa centrale devastata. Noi, nel nostro piccolo, fra guerre civili, autobombe e agguati stiamo raggiungendo lo stesso risultato”. Lo scriveva, sulla sua pagina Twitter, Mohamed Chatah, leader sunnita, uno dei politici più moderati. L’ultima autobomba, in ordine di tempo, ha ucciso proprio lui, ieri mattina, devastando un intero isolato nel centro di Beirut, a due passi dal parlamento libanese. Chatah era stato ministro delle finanze sotto il governo sunnita e anti-siriano di Saad Hariri. Prima ancora era stato ambasciatore del Libano negli Usa. Una figura di spicco, una personalità tranquilla, estranea alle milizie che tornano a insanguinare il Paese dei Cedri.

Nel suo ultimo messaggio su Twitter, poco prima di morire, aveva indicato il suo futuro assassino: “(Il Partito) Hezbollah sta premendo forte, per cercare di garantirsi poteri nella sicurezza e nella politica estera tale da essere paragonati a quelli esercitati dalla Siria sul Libano”, prima del ritiro siriano nel 2005. E ci sono pochi dubbi sul mandante: Hezbollah aveva tutto l’interesse a colpire l’establishment sunnita del Libano. C’è anche un chiaro movente: il 19 novembre due attentatori suicidi si erano fatti esplodere di fronte all’ambasciata dell’Iran, protettore degli Hezbollah; il 4 dicembre, terroristi sunniti libanesi avevano ucciso Hassan Lakkis, uno dei principali leader terroristi di Hezbollah; infine, fra tre settimane, inizia il processo (al Tribunale Speciale dell'Onu, all'Aia) di cinque esponenti del partito Hezbollah per l’attentato del febbraio 2005 che uccise l’allora premier sunnita Rafiq Hariri, il padre di Saad e uno dei più influenti politici del Libano. Chatah non era una personalità di primo piano, ma la sua uccisione potrebbe costituire un avvertimento violento contro Saad Hariri e in generale contro la Coalizione 14 Marzo, che riunisce i partiti sunniti e democratici del Libano. Hezbollah mostra periodicamente i muscoli, per mostrare al resto del Libano chi comanda. Padrone militare del Sud del Paese dei Cedri, dove le sue milizie irregolari controllano tutto il territorio, dotato di armi pesanti e di un proprio servizio segreto parallelo, Hezbollah ha costruito negli ultimi 13 anni un vero stato nello stato. Protagonista della guerra contro Israele nel 2006, Hezbollah si è ricostituito come principale movimento armato del Libano, nonostante la presenza (militarmente irrilevante, anche se molto cospicua) dei caschi blu della missione Unifil2. Periodicamente minaccia un golpe non appena il governo di Beirut minaccia di disarmarlo (cosa impossibile, visti i rapporti di forza), o di processare i suoi membri per l’omicidio di Hariri del 2005. L’attentato di ieri si inquadra in questo contesto. Ma c’è un tassello in più nel già confuso quadro del piccolo e caotico Libano. Ed è la guerra civile siriana.

Fino al 2011, infatti, l’equilibrio instabile del Libano si reggeva sulla pace armata fra governo e Hezbollah. Poi, dal 2011, sono iniziati, a Tripoli, nel Nord, i primi scontri fra nuove milizie sciite e alawite (fedeli all’alleanza con Bashar al Assad, il dittatore siriano) con manifestanti sunniti, vicini alla causa dei rivoluzionari. Nel 2012 gli scontri si sono intensificati, con attentati, guerriglia urbana e numerosi rapimenti, soprattutto ai danni di sciiti filo-Assad. Nel 2013 si registravano scontri maggiori praticamente tutti i mesi. Due episodi, in particolar modo, hanno fatto temere lo scoppio di una guerra civile: il lancio di razzi contro un quartiere controllato da Hezbollah, a Beirut, alla fine di maggio 2013 (ad opera di milizie sunnite siriane) e la battaglia di Sidone, con un centinaio di morti, combattuta nel giugno scorso fra l’esercito regolare ed Hezbollah da una parte e milizie sunnite libanesi e siriane (fra cui Al Nusrah, legata ad Al Qaeda) dall’altra. Queste ultime erano guidate dal carismatico imam Ahmad al Assir, ex alleato di Hezbollah e attualmente suo più acerrimo nemico.

La guerra civile siriana sta coinvolgendo il Libano e, come tutti i precedenti conflitti mediorientali, rischia di distruggerne definitivamente l’equilibrio. Nel 1975 furono tre successive ondate di profughi palestinesi (quelli del 1948, del 1967 e del 1970) a ribaltare i rapporti di forze, che allora erano favorevoli ai cristiani, e a far scoppiare la guerra civile. Durò 25 anni e si concluse solo con l’occupazione “de facto” del Libano da parte della Siria, che ne fece un suo protettorato. Adesso la situazione si è invertita. E’ la Siria ad essere esplosa ed è il Libano che rischia di essere travolto. A ribaltare i rapporti di forza, questa volta, non sono più i palestinesi, ma i profughi sunniti siriani, spesso armati e già addestrati, che affluiscono in Libano e ingrossano le file delle locali milizie sunnite, fedeli ad Al Assir, o direttamente collegate ad Al Qaeda. Queste truppe si addestrano in Libano e vanno a combattere in Siria. Oppure, come nel caso della battaglia di Sidone, ingaggiano le milizie pro-Assad direttamente in territorio libanese. In questa situazione, Hezbollah, che è già un grande fattore di instabilità, non fa che armarsi ancor di più e alzare il tiro delle sue azioni aggressive, contro gli elementi sunniti del governo.

Se allarghiamo ulteriormente l’orizzonte vediamo che Siria e Libano non sono gli unici Paesi coinvolti. L’Iran appoggia Hezbollah, addestra i suoi volontari che vanno a combattere dalla parte di Assad e arma le sue milizie. L’Arabia Saudita appoggia, con armi e finanze, i sunniti del Libano e della Siria. L’Iraq, completamente destabilizzato, funge da enorme deposito di armi e volontari jihadisti per i sunniti siriani e libanesi.

In tutto questo caos, fra poche settimane dovrebbero iniziare i colloqui di Ginevra (i “Ginevra 2”) per la pace in Siria, già contestati dall’Arabia Saudita. La bomba a Beirut è la dimostrazione della loro estrema fragilità. Milizie sunnite e sciite si confrontano senza esclusione di colpi, ormai il conflitto è diventato transnazionale. E’ una guerra religiosa, uno scontro fra due islam, i confini e i governi nazionali sfumano nello sfondo. Fra i due litiganti, i cristiani soccombono. Erano maggioranza in Libano, fino a 40 anni fa e costituivano la principale minoranza religiosa in Siria fino allo scoppio della guerra civile. Ora rischiano di estinguersi. Politicamente sono già diventati irrilevanti. In Libano sono anche divisi fra l'allineamento alla Coalizione 14 Marzo e l’alleanza con Hezbollah. In Siria pregano che il regime di Assad, loro unico protettore, regga il più possibile. E intanto fuggono, come possono e dove possono. Benché non se ne parli mai, saranno loro le principali vittime di un eventuale fallimento di “Ginevra 2”.