Libano, Aoun lascia un Paese politicamente paralizzato
Michel Aoun, presidente della Repubblica del Libano, cristiano maronita, lascia l'incarico e non ha un successore. Nessun partito, nemmeno Hezbollah, ha la forza per imporre un proprio candidato. Il Paese è in preda alla sua più grave crisi istituzionale, oltre che alla più grave crisi economica. E al colera.
Michel Aoun, attuale presidente della Repubblica del Libano, si è dimesso dalla sua carica. La decisione era attesa, in vista del termine del suo mandato di sei anni che scadeva alla mezzanotte di lunedì 31 ottobre, senza che però i deputati fossero riusciti a eleggere il suo successore, a causa delle divisioni politiche. Aoun, cristiano-maronita, con un passato rilevante nell’esercito e fondatore di un partito denominato Movimento Patriottico Libero, lascia la carica in un momento tra i più difficili per il Libano.
Abbandona senza un successore designato, accrescendo la situazione di inattività politica del Paese in pieno collasso economico. Aoun ha firmato anche un decreto che si oppone al diritto del Primo ministro dimissionario di guidare il Paese in caso di vuoto presidenziale, accentuando così la paralisi delle istituzioni. Una crisi che porta il Paese dei cedri in un blocco istituzionale che rischia di provocarne il disfacimento costituzionale. Nonostante ciò, sono stati numerosi i cittadini che hanno inneggiato ed applaudito Aoun all'uscita del palazzo presidenziale di Baabdat, nella zona orientale di Beirut. L'ex presidente è oggi considerato, infatti, uno tra i politici libanesi di maggior esperienza; protagonista degli ultimi anni della guerra civile, assume il ruolo di capo dello Stato nell’ottobre del 2016, dopo un periodo di sede vacante durato ben due anni.
Nell'ultimo mese, il Parlamento è stato convocato quattro volte per eleggere un presidente, ma invano. Né il partito musulmano sciita Hezbollah, il potente movimento armato che domina la vita politica del Libano, né i suoi oppositori hanno una chiara maggioranza per imporre un candidato. «Se non saremo disposti a fare sforzi, anche penalizzanti, non potremo porre fine alle nostre sofferenze e rimettere in piedi il nostro Paese, e non potremo salvare il Libano», con queste parole l'ormai ex presidente Aoun si è rivolto al popolo libanese, uscendo dalla sede presidenziale. E rivolgendosi, con una lettera, a tutti i parlamentari ha sottolineato: «Abbiamo atteso fino all'ultimo momento disponibile prima di rivolgere questo messaggio al vostro onorevole Consiglio attraverso il suo presidente. La consapevolezza, il senso e la coscienza nazionale ritornano a coloro che devono averli in questi tempi per evitare che si accumuli un vuoto istituzionale che potrebbe portare il paese nel barato. Una grave responsabilità ricade sul presidente designato che si rifiuta di formare il governo in modo che questo nostro amato Paese possa avere una guida».
Durante la sua presidenza sono stati numerosi i fatti politici che hanno lasciato il segno. Tra questi, nel 2017, un'operazione dell'esercito volta a cacciare, con l'aiuto delle milizie degli Hezbollah i jihadisti presenti nelle vicinanze del confine siriano e lo svilupparsi di una grave crisi economica che si è inasprita dopo la tremenda esplosione avvenuta nel porto di Beirut, nell’estate del 2020. Una delle più gravi esplosioni non nucleari della storia, che ha ucciso oltre 220 persone, ferendone migliaia e distruggendo una vasta zona della capitale libanese.
È stato, inoltre, Michel Aoun a firmare, di recente, con Yair Lapid, presidente ad interim del governo israeliano, lo storico accordo sulla delimitazione del confine marittimo con Israele, ponendo fine a una disputa di lunga data sullo sfruttamento delle significative riserve di gas presenti a ridosso dei due Paesi mediorientali. Il territorio conteso copre circa 860 chilometri quadrati di mare e comprende due giacimenti di gas. Israele ne sfrutterà uno, mentre il Libano potrà esplorare, ed eventualmente, sfruttare il secondo. I due Paesi sono formalmente in guerra, sebbene dal 2020 stiano tentando faticosamente di risolvere le loro numerose controversie.
Sfortunatamente, il popolo libanese è ora costretto a vivere un'altra gravissima situazione: un'epidemia di colera che, dopo la Siria, sta interessando il Paese dei cedri. Il Ministero della sanità ha reso noto che fino a questo momento i morti sono dieci, mentre i contagiati ammontano a 239, per la maggior parte emigrati siriani che vivono, da oltre dieci anni, nel Nordest del Libano, in precarie condizioni igienico-sanitarie. In questi ultimi giorni, però, sono stati rilevati contagi anche tra la popolazione libanese. L’Organizzazione mondiale della sanità, ha stabilito nelle acque reflue contaminate l’origine della malattia e principalmente nell’area di Beirut. Il primo caso di colera, registrato nel Paese dopo un trentennio, è stato reso pubblico dalle autorità libanesi all’inizio di questo mese, dopo che a settembre l’epidemia era giunta dalla Siria, dove aveva fatto registrare sessanta morti e 13mila infezioni.