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L'ex ministro dice sì al burqa: accusato di islamofobia

La follia di un paese che si scaglia contro l'ex ministro degli Esteri, Boris Johnson, che pur avendo definito le donne con il velo integrale somiglianti a delle "cassette postali" ha difeso la libertà di indossarlo. La reazione è frutto del crescente potere islamico e della debolezza occidentale: se la carriera del ministro sarà bloccata potremo parlare di capitolazione all’islam.

Libertà religiosa 14_08_2018

Richiesta di una indagine per islamofobia per l’ex ministro degli Esteri e di scuse alla comunità musulmana, Partito conservatore spaccato e governo in subbuglio. Quel che sta accadendo in Gran Bretagna ha del paradossale: da una settimana ormai le prime pagine dei giornali sono piene di reazioni all’articolo scritto il 5 agosto sul Daily Telegraph dall’ex ministro degli Esteri Boris Johnson a proposito di burqa e niqab (velo integrale che lascia scoperti soltanto gli occhi).

Johnson, campione del politicamente scorretto nel Regno Unito, è sotto accusa per aver paragonato le donne con il burqa alle “letter boxes” (le tipiche cassette postali inglesi) e ai ladri in banca. Il paradosso sta nel fatto che l’articolo di Johnson aveva in realtà lo scopo di criticare la decisione della Danimarca di mettere fuori legge il niqab e il burqa. Il titolo era chiarissimo: “La Danimarca sbaglia. Sì, il burqa è oppressivo e ridicolo, ma non c’è motivo di metterlo al bando”. Johnson riconosce che il burqa indica una realtà di oppressione dell’uomo sulla donna, che non è una indicazione del Corano, che è anche un indumento “bizzarro” («è ridicolo che delle persone scelgano di andare in giro somigliando a delle cassette postali», è la frase incriminata), ma tutto ciò non è un motivo per vietarlo, anche se ci sono circostanze (soprattutto nei rapporti pubblici ufficiali: «Se una studentessa si presenta a scuola o a una lezione in università vestita come un ladro in banca, ebbene all’insegnante deve essere permesso di parlare apertamente con chi chiede di essere istruito») in cui è giusto richiedere di scoprire il volto.

Johnson motiva la contrarietà al divieto totale proprio con la necessità di evitare: una critica – lo si voglia o meno – all’islam; di dare argomenti a chi vuole esasperare lo scontro di civiltà o a chi soffia sulla ribellione; di “costruire” dei martiri; di arrivare a un generale bando dei segni di appartenenza religiosa. Si può tranquillamente ammettere che sarebbe meglio che un politico usasse paragoni meno suscettibili di creare risentimento – soprattutto in una cultura “formale” come quella britannica – ma quello che sta avvenendo sembra ormai fuori controllo e, sicuramente, fuori proporzione.

Il primo ministro Theresa May ha chiesto scuse ufficiali a Johnson – con probabilità di successo pari a zero -, il Partito conservatore ha annunciato un’inchiesta contro l’ex ministro degli Esteri per violazione del codice di condotta e islamofobia, e il Consiglio islamico britannico sta cavalcando la protesta alzando sempre di più la posta (l’ultima è che non basta neanche una inchiesta seria per censurare l’islamofobia di Johnson). Niente male per un articolo che si schierava contro il divieto di niqab e burqa all’insegna del “vivi e lascia vivere”.
Certo, nell’escalation della polemica non è estranea una battaglia tutta interna al Partito conservatore, dato che Johnson in autunno è dato come probabile antagonista della May per la guida del partito e la premier potrebbe così metterlo fuori gioco, ma è chiaro che il caso investe questioni ben più ampie e che riguardano tutti i paesi occidentali.

C’è un crescente potere e una crescente arroganza delle comunità islamiche organizzate (per la maggior parte legate alla Fratellanza musulmana) che è alimentata dalla debolezza culturale e politica dei nostri governanti e degli intellettuali che vanno per la maggiore, così desiderosi di cancellare ogni traccia di cristianesimo (e soprattutto cattolicesimo) dall’Europa da stendere il tappeto rosso a ogni rivendicazione islamica. Da questo punto di vista la vicenda di Boris Johnson sarà importante: perché se la sua carriera politica sarà bloccata da questo caso (e malgrado la maggioranza dei cittadini britannici stia con lui), potremo parlare di un passo decisivo nel cammino di capitolazione all’islam, nei confronti di una minoranza che intende l’integrazione soltanto come una conquista dell’Europa al proprio credo.

È da questo punto di vista che la posizione espressa da Boris Johnson è criticabile, essa va purtroppo nella stessa direzione. Perché se davvero, come anche egli riconosce, burqa e niqab non sono segni di identità religiosa ma di violenza e sopraffazione degli uomini sulle donne, perché devono essere permessi? Se un qualsiasi cittadino europeo andasse in giro con un marchio riconoscibile di schiavitù subito partirebbe una denuncia e un’inchiesta nei confronti del violento e sopraffattore. Perché la comunità islamica come tale deve godere del privilegio di non sottostare a leggi che hanno a che fare direttamente con la tutela della dignità della persona?

È una forma di discriminazione che introduce una contraddizione insanabile nei nostri ordinamenti giuridici. Lo stesso vale riguardo alla sicurezza: le nostre leggi puniscono chiunque vada in giro a volto coperto, perché questo non dovrebbe valere anche per i musulmani? Non è islamofobia chiedere che le leggi siano uguali per tutti. Al contrario sono proprio questi privilegi e discriminazioni contro i comuni cittadini che provocano reazioni sociali.