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GUERRA IN EUROPA

L'Europarlamento dà il via libera a Kiev, voto solo simbolico

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Il Parlamento europeo, con risoluzione non vincolante, rinnova l'impegno per Kiev e autorizza (col voto contrario degli italiani) l'uso delle armi a lungo raggio anche sul suolo russo. Ma l'Europa non ha più armi.

Politica 21_09_2024
Storm Shadow, uno dei missili a lungo raggio forniti all'Ucraina (La Presse)

La sintesi più efficace e realistica del voto dell’Europarlamento sul via libera all’Ucraina per impiegare contro la Russia le armi donate dagli alleati europei l’ha espressa il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani affermando che «ognuno è libero di trattare con l'Ucraina l'utilizzo delle armi che invia. Non c'è nessuna decisione a livello europeo di obbligare i paesi dell'Unione a liberare l'utilizzo delle armi sul territorio russo. Ogni paese decide per sé. Anche gli Stati Uniti sono molto prudenti. La difesa dell'Ucraina non deve portare ad una guerra mondiale. Dobbiamo essere sempre molto prudenti, chi ha buonsenso deve utilizzarlo».

Il 18 settembre a Strasburgo l’Europarlamento ha approvato una risoluzione “non vincolante” sul sostegno dell'Ue a Kiev con un controverso paragrafo che chiede la rimozione delle restrizioni all'uso delle armi inviate gli ucraini. Di fatto con la risoluzione adottata con 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni, il Parlamento chiede alla UE di eliminare le restrizioni che impediscono all'Ucraina di utilizzare le armi occidentali contro obiettivi militari in Russia.

Il Parlamento sottolinea che «le forniture insufficienti di munizioni e le restrizioni sul loro uso rischiano di annullare l'impatto degli sforzi compiuti finora e deplora la diminuzione del volume degli aiuti militari bilaterali all'Ucraina da parte dei Paesi dell'UE». I deputati ribadiscono l'invito agli Stati membri a rispettare l'impegno assunto nel marzo 2023 di consegnare un milione di munizioni a Kiev (in ritardo ormai di sei mesi) e ad accelerare la consegna di armi, sistemi di difesa aerea e munizioni.

Privo di effetti concreti, il voto al Parlamento di Strasburgo ha suscitato polemiche soprattutto per le spaccature che ha provocato in diverse nazioni europee inclusa l’Italia. La maggioranza si è divisa, FdI e Forza Italia hanno votato a favore della risoluzione mentre la Lega ha votato contro anche se i tre partiti si sono ritrovati uniti nella contrarietà alla rimozione esplicita delle restrizioni all'uso delle armi inviate dall'Europa in territorio russo, chiesta nel paragrafo 8 del testo. Divisioni anche nell’opposizione italiana: contro la risoluzione hanno votato Cinquestelle, i Verdi e Sinistra Italiana mentre il PD ha votato in grande maggioranza a favore, pur votando contro l'articolo ottavo.

Insomma, un voto più utile a registrare gli umori interni alle coalizioni negli stati membri dell’Unione che a influire sul conflitto in Ucraina in cui per ora neppure Usa, Gran Bretagna e Francia hanno autorizzato Kiev a colpire la Russia con i loro missili balistici ATACMS e quelli da crociera Storm Shadow/SCALP EG, già impiegati contro obiettivi russi in Crimea e nei territori ucraini occupati.

Nonostante da sinistra giungano critiche di “scarso bellicismo” al governo italiano, viene da chiedersi quale sia nei fatti la differenza tra Roma che dice no perché “non siamo in guerra con la Russia” e lo stesso no di Washington o Londra motivato con li rischio di rappresaglie che la Russia ha già promesso. Prima con le dichiarazioni di Vladimir Putin, poi con quelle di altri esponenti delle istituzioni incluso il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, per il quale il voto dell’Europarlamento «apre la strada a una guerra mondiale nucleare. Nessuno dovrebbe farsi illusioni su questo».

A rendere ancora più sterile il dibattito contribuiscono anche le voci, emerse da fonti militari anonime, ma riprese dai media anglo-sassoni, che nessuna delle tre potenze occidentali dispone più di scorte significative dei missili citati da fornire a Kiev. Molti sono già stati forniti e impiegati con successo o abbattuti dalla difesa aerea russa e ne restano troppo pochi nei depositi. O le ammissioni del capo del Pentagono, Lloyd Austin, che ha detto che l’impiego di queste armi sul territorio russo non cambierebbe le sorti della guerra.

La Germania inoltre continua a rifiutare a Kiev la fornitura dei suoi missili da crociera Taurus perché, lo ha detto il cancelliere Olaf Scholz, queste armi richiederebbero la presenza in Ucraina di tecnici militari tedeschi. Una conferma indiretta che Usa, Gran Bretagna, Francia e altre nazioni Nato/Ue hanno propri uomini sul suolo ucraino. 

Rimane paradossale il bellicismo ostentato anche dalla nuova Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen, simile a quella precedente per obiettivi e programmi, ma molto meno autorevole nei commissari che ne fanno parte, in buona parte figure di limitato rilievo politico. Un bellicismo che stona rispetto alle difficoltà militari in cui versa l’Europa, molto più debole e disarmata oggi rispetto al febbraio 2022, con poche truppe, armi e munizioni per far fronte a un conflitto convenzionale, in condizioni economiche recessive e con l’energia più cara rispetto alle altre aree industrializzate del mondo.

Eppure ieri la Commissione ha reso noto che dall'inizio della guerra, l'UE e i suoi Stati membri hanno mobilitato 118,3 miliardi di euro in assistenza umanitaria, finanziaria e militare all'Ucraina:

  • 45,6 miliardi di euro stanziati dal bilancio dell'Ue in sostegno al bilancio, risposta alla crisi, assistenza economica, di ripresa e umanitaria, nonché prestiti e garanzie di bilancio.
  • 12,2 miliardi di euro in assistenza bilaterale dai 27 Stati membri dell'Ue.
  • 43,5 miliardi di euro in assistenza militare, compresi i finanziamenti del Fondo europeo per la pace.
  • 17 miliardi di euro per sostenere le persone in fuga dall'Ucraina.

Nonostante il pessimo andamento del conflitto per le forze ucraine anche la suddivisione dei ruoli all’interno della nuova Commissione sembra indicare che la Ue punta al braccio di ferro militare con Mosca. Come spiegare diversamente il rilievo attribuito alle tre repubbliche baltiche, acerrime nemiche di Mosca al punto da discriminare i loro stessi cittadini di etnia russa e di praticare una furiosa cancellazione culturale non dissimile da quella in atto in Ucraina.

Il lettone Valdis Dombrovskis è stato riconfermato commissario economico mentre la politica estera, di sicurezza e di difesa sono in mano ad altri due baltici: l’Alto commissario ed ex premier estone Kaja Kallas (che auspica il tracollo della Russia e la sua suddivisione in 16 repubbliche in guerra tra loro) e il commissario alla Difesa (nuovo incarico voluto dalla von der Leyen) Andrius Kubilius, ex premier lituano e “un noto falco sia nei confronti di Mosca che di Pechino” come scrive l’AGI.

Di fatto la UE è rappresentata su temi strategici quali politica estera, di sicurezza e difesa da tre esponenti di spicco della russofobia che domina, certo non senza ragioni storiche, la regione baltica ma l’aspetto preoccupante è che incarichi così delicati, specie in tempo di guerra alle porte dell’Europa, vengano affidati a esponenti di nazioni europee da un lato così sbilanciate contro la Russia e dall’altro così ininfluenti e marginali nel contesto dell’Unione.

Senza voler mancare di rispetto a nessuno vale la pena ricordare che il peso delle economie di Estonia, Lettonia e Lituania è irrilevante nel PIL della UE, che la loro superficie complessiva è pari a 175mila chilometri quadrati, cioè 1/24 della UE e la loro popolazione complessiva raggiunge i 6 milioni, cioè 1/75 di quella dell’Unione.

Certo i baltici, come i polacchi, sono stretti alleati degli Stati Uniti alle cui pressioni Ursula von der Leyen è sempre stata molto sensibile al punto che l’anno scorso l’amministrazione Biden valutò di sostenere la sua candidatura per sostituire Jens Stoltenberg al vertice della Nato.