PRISMA
L'Europa tecnocratica
L'accordo firmato il 9 dicembre, con la clamorosa eccezione del Regno Unito, esautora i Parlamenti, trasforma la UE in un gigantesco organo di potere tecnocratico, e rischia di farci entrare ancora di più nella crisi.
Prisma
10_12_2011
Con l’accordo (testo in lingua italiana, clicca qui) firmato all’alba del 9 dicembre a Bruxelles da 26 capi di governo su 27, l’Unione Europea ha fatto un ulteriore passo avanti verso la sua trasformazione in un gigantesco organo di potere tecnocratico che la Germania s’illude di poter telecomandare a suo vantaggio ma che invece finirà di sfuggire al controllo politico di chiunque.
Fa molto notizia che il Regno Unito non abbia firmato tale accordo, ma sarebbe anche il caso di precisare che fra gli Stati membri che hanno aderito tre -- la Finlandia, la Svezia e la Repubblica Ceca – l’hanno fatto con riserva di un voto favorevole dei loro rispettivi parlamenti. Ad ogni modo sta di fatto che l’hanno firmato senza riserva tutti i maggiori Paesi dell’Eurozona e, salvo appunto il Regno Unito, tutti i maggiori Paesi dell’Unione.
C’è da discutere sul contenuto tecnico dell’accordo, ma prima ancora vale la pena di mettere l’accento sulla sua sostanza politica. In primo luogo, almeno nel caso del nostro Paese (ma, crediamo, anche in quello di moltissimi altri, se non di tutti), è stata violata la Costituzione. Benché pudicamente lo si sia definito “patto di bilancio”, questo cosiddetto accordo è un trattato internazionale, che quindi può entrare in vigore per quanto ci concerne solo dopo l’eventuale ratifica del Parlamento italiano.
Quindi anche Monti avrebbe dovuto firmare con riserva, mentre invece a quanto pare non l’ha fatto. E soprattutto le clausole del “patto” si risolvono in una totale esautorazione del Parlamento proprio in quella che è la sua prerogativa fondamentale: le decisioni in materia di fiscalità e di bilancio dello Stato. Non solo: al punto 4 del documento, laddove si definiscono i lineamenti del nuovo patto, i governi firmatari si impegnano a riconoscere “la competenza della Corte di Giustizia e a verificare il recepimento di questa regola a livello nazionale”. Non soltanto quindi ai Parlamenti (che per bene o male che funzionino sono comunque espressione democratica della sovranità popolare) si ordina di votare a comando in tema di bilancio e di fiscalità, ma al di sopra di essi viene posto un organo di potere giudiziario.
Insomma quello che in Italia resta ancora, malgrado tutto, il (nefasto) sogno di certi ambienti della magistratura ieri in sede europea con un tratto di penna è stato sancito de jure. Viceversa la Banca centrale europea continua a non essere prestatore di ultima istanza e non si parla di titoli di debito pubblico europeo, i cosiddetti Eurobond. Continuiamo insomma ad avere una valuta europea priva di quei decisivi strumenti che consentono invece al dollaro, che sta peggio dell’euro, di fingere di star bene; e a Obama di fare la parte del grande consigliere occulto pro domo sua della Germania (non a caso martedì e mercoledì scorso il ministro del Tesoro americano è venuto zitto zitto in Europa a incontrarsi con il suo collega tedesco).
Il patto in questione si pone nella prospettiva di un nuovo trattato dell’Unione Europea che, secondo il presidente della Commissione Hermann Van Rompuy, verrà firmato “entro il prossimo marzo, se non prima”. Sono in programma al riguardo “ampie consultazioni, in particolare con il Parlamento Europeo”. Anche qui viene da ridere, se non ci fosse piuttosto da piangere: se da un lato i Parlamenti nazionali sono stati trasformati in “gorilla” delle decisioni della Commissione, dall’altro il Parlamento Europeo viene ridotto a una consulta. Un nuovo trattato dell’Unione è più che auspicabile, ma con le forze in campo in questo frangente è molto facile che finisca per essere non migliore bensì largamente peggiore dell’attuale.
La situazione è quella che è, e senza dubbio esige grandi decisioni. Queste però non sono neutre: le si possono prendere puntando nella direzione della libertà, della responsabilità e della fiducia, oppure in quella del controllo centralizzato dall’altro, della sfiducia generale verso il prossimo e di sistemi che un tempo si sarebbero detti di polizia. Sistemi che oggi hanno mutato pelle, o meglio hanno una pelle più variegata, ma restano tali nella sostanza. Sistemi adottando i quali non usciremo dalla crisi ma anzi rischieremo di entrarci dentro sempre di più.
Fa molto notizia che il Regno Unito non abbia firmato tale accordo, ma sarebbe anche il caso di precisare che fra gli Stati membri che hanno aderito tre -- la Finlandia, la Svezia e la Repubblica Ceca – l’hanno fatto con riserva di un voto favorevole dei loro rispettivi parlamenti. Ad ogni modo sta di fatto che l’hanno firmato senza riserva tutti i maggiori Paesi dell’Eurozona e, salvo appunto il Regno Unito, tutti i maggiori Paesi dell’Unione.
C’è da discutere sul contenuto tecnico dell’accordo, ma prima ancora vale la pena di mettere l’accento sulla sua sostanza politica. In primo luogo, almeno nel caso del nostro Paese (ma, crediamo, anche in quello di moltissimi altri, se non di tutti), è stata violata la Costituzione. Benché pudicamente lo si sia definito “patto di bilancio”, questo cosiddetto accordo è un trattato internazionale, che quindi può entrare in vigore per quanto ci concerne solo dopo l’eventuale ratifica del Parlamento italiano.
Quindi anche Monti avrebbe dovuto firmare con riserva, mentre invece a quanto pare non l’ha fatto. E soprattutto le clausole del “patto” si risolvono in una totale esautorazione del Parlamento proprio in quella che è la sua prerogativa fondamentale: le decisioni in materia di fiscalità e di bilancio dello Stato. Non solo: al punto 4 del documento, laddove si definiscono i lineamenti del nuovo patto, i governi firmatari si impegnano a riconoscere “la competenza della Corte di Giustizia e a verificare il recepimento di questa regola a livello nazionale”. Non soltanto quindi ai Parlamenti (che per bene o male che funzionino sono comunque espressione democratica della sovranità popolare) si ordina di votare a comando in tema di bilancio e di fiscalità, ma al di sopra di essi viene posto un organo di potere giudiziario.
Insomma quello che in Italia resta ancora, malgrado tutto, il (nefasto) sogno di certi ambienti della magistratura ieri in sede europea con un tratto di penna è stato sancito de jure. Viceversa la Banca centrale europea continua a non essere prestatore di ultima istanza e non si parla di titoli di debito pubblico europeo, i cosiddetti Eurobond. Continuiamo insomma ad avere una valuta europea priva di quei decisivi strumenti che consentono invece al dollaro, che sta peggio dell’euro, di fingere di star bene; e a Obama di fare la parte del grande consigliere occulto pro domo sua della Germania (non a caso martedì e mercoledì scorso il ministro del Tesoro americano è venuto zitto zitto in Europa a incontrarsi con il suo collega tedesco).
Il patto in questione si pone nella prospettiva di un nuovo trattato dell’Unione Europea che, secondo il presidente della Commissione Hermann Van Rompuy, verrà firmato “entro il prossimo marzo, se non prima”. Sono in programma al riguardo “ampie consultazioni, in particolare con il Parlamento Europeo”. Anche qui viene da ridere, se non ci fosse piuttosto da piangere: se da un lato i Parlamenti nazionali sono stati trasformati in “gorilla” delle decisioni della Commissione, dall’altro il Parlamento Europeo viene ridotto a una consulta. Un nuovo trattato dell’Unione è più che auspicabile, ma con le forze in campo in questo frangente è molto facile che finisca per essere non migliore bensì largamente peggiore dell’attuale.
La situazione è quella che è, e senza dubbio esige grandi decisioni. Queste però non sono neutre: le si possono prendere puntando nella direzione della libertà, della responsabilità e della fiducia, oppure in quella del controllo centralizzato dall’altro, della sfiducia generale verso il prossimo e di sistemi che un tempo si sarebbero detti di polizia. Sistemi che oggi hanno mutato pelle, o meglio hanno una pelle più variegata, ma restano tali nella sostanza. Sistemi adottando i quali non usciremo dalla crisi ma anzi rischieremo di entrarci dentro sempre di più.