L'Europa a 70 anni dal D-Day
Intervista al professor Gianpaolo Romanato, docente di Storia Contemporanea all'Università di Padova. Normandia 70 anni dopo il D-Day "un'operazione militare grandiosa, che per l'Europa segnò l'avvio di una fase nuova".
Oggi una ventina di capi di Stato e di governo saranno in Normandia, a celebrare il 70mo anniversario dello storico sbarco degli Alleati, il 6 giugno 1944, che impresse la svolta finale e definitiva della Seconda Guerra Mondiale. Ci saranno i capi di Stato delle principali potenze vincitrici, oggi contrapposte da un nuovo braccio di ferro: Barack Obama, la regina Elisabetta II, François Hollande da una parte e Vladimir Putin dall’altra, erede dell’Unione Sovietica. Dopo mesi di gelo, nel nome del ricordo della vittoria sul nazismo, saranno ancora fianco a fianco. Ci sarà Angela Merkel, cancelliera della Germania non più nazista. E Giorgio Napolitano, a rappresentare un’Italia che in quel 6 giugno 1944 era ancora divisa e occupata: Roma era stata raggiunta dagli Alleati appena il giorno prima. Anche Papa Francesco ha annunciato un suo intervento e una sua preghiera per la pace.
L’importanza storica di un evento che oggi ci sembra così lontano, è difficilmente sottovalutabile. Ne abbiamo parlato con lo storico Gianpaolo Romanato, docente di Storia Contemporanea all’Università di Padova.
Professor Romanato, lo sbarco in Normandia è ricordato come un punto di svolta epocale nella storia europea. Evento sopravvalutato o un momento fondamentale della nostra storia?
Credo sia giusto e doveroso continuare a ricordarlo come un momento fondametale. Fu l'inizio della fine della Seconda guerra mondiale, un'operazione militare grandiosa, che per l'Europa segnò l'avvio di una fase nuova, senza più l'incubo della nazificazione. Oggi sappiamo che per l'Est europeo si stavano preparando altri cinquant'anni di servitù sotto i regimi sovietizzati, ma per l'Occidente europeo fu quello il momento in cui si vide l'uscita dal tunnel.
Putin sarà presente alle celebrazioni. Fino ad ora la storiografia russa ricorda la vittoria della Seconda Guerra Mondiale come un successo prevalentemente sovietico, relegando a un ruolo secondario l'azione degli Alleati. Realismo o esagerazione?
Oggi è tutto in movimento e credo sia meglio rallegrarci per la presenza di Putin in Normandia che soffermarci sulle vecchie interpretazioni. Oggi sappiamo tutto di Katyn (dove vennero fucilati dai sovietici quasi 22mila ufficiali polacchi, nel 1940, ndr), possiamo riflettere liberamente sul passato e il presente dell'Europa, possiamo sperare nel suo futuro dall'Atlantico agli Urali. Lo sbarco in Normandia aprì questa strada, anche se poi fu bloccata per mezzo secolo dalla guerra fredda. Cerchiamo di guardare avanti piuttosto che volgerci indietro.
La Germania è stata esclusa per decenni dalle celebrazioni, ammessa solo in tempi recentissimi. In che misura è stata superata la paura della Germania e del nazismo nell'Europa attuale?
Credo che la paura della Germania appartenga ormai definitivamente al passato e ai libri di storia. E la Chiesa diede un grande contributo a questa svolta quando elesse un tedesco al papato, nel 2005. Era stato proprio l'allora card. Ratzinger, presente alle celebrazioni in Normandia nel 2004, a dire nel suo discorso che «se mai si è verificato nella storia un bellum iustum è qui che lo troviamo, nell'impegno degli Alleati, perché il loro intervento operava nei suoi esiti anche per il bene di coloro contro il cui Paese era condotta la guerra». La Germania di oggi è questa, interpretata al più alto livello dal papa tedesco, al quale la storia riconoscerà la grandezza che merita.
Dopo le elezioni europee si parla sempre più frequentemente di un pericolo di ritorno dei nazionalismi. Quanto è fondato questo timore?
Il nazionalismo è un virus sempre latente. Chi combatte l'Unione Europea temo non se ne renda conto, anche se ciò non significa rinunciare a lottare per un'Europa migliore e più giusta di quella che abbiamo. Ma bisogna cambiarla andando avanti, non tornando indietro.
Dopo 70 anni in Europa non sono più scoppiate guerre, con l'unica eccezione dei conflitti balcanici degli anni '90. Qual è a suo avviso la causa di un così prolungato periodo di pace?
Le ragioni sono tante, a partire dalla volontà della generazione postbellica di chiudere con il passato. Ma proprio i conflitti balcanici dimostrano che l'Europa ha tanti volti e non uno solo. A mio parere non si tratta di ridurre tutto a unità, ciò che sarebbe impossibile, ma di equilibrare le diversità in un disegno capace di farsi carico dei problemi degli altri, con delle leadeship che non abbiano pericolose velleità egemoniche.