L’Eucaristia e san Giuseppe, modello dei sacerdoti
Nel trattare il Corpo e Sangue di Gesù realmente presente nelle specie eucaristiche, il sacerdote deve imitare i sentimenti di pietà e adorazione che san Giuseppe ebbe nel nutrire e allevare il Figlio divino nei Suoi lunghi anni di vita nascosta. E l’esempio dello sposo verginale di Maria ricorda anche la castità perfetta quale dimensione ontologica del sacerdozio.
Parlando della partecipazione all’unica paternità di Dio (Ef 3, 15), il 18 marzo 2009, durante il viaggio apostolico in Camerun, Benedetto XVI esortava i sacerdoti a imitare san Giuseppe nel loro ministero quotidiano, cioè a vivere la loro paternità spirituale servendo in modo saggio e fedele la volontà divina (cfr. Celebrazione dei Vespri, Basilica di Maria Regina degli Apostoli, Yaoundé). Nello stesso discorso, Joseph Ratzinger ricordava il legame profondo che il sacerdozio ha con l’Eucaristia, nella cui celebrazione «non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo». Il sacerdote deve quindi porsi di fronte al mistero eucaristico con gli stessi sentimenti di umiltà e riverenza che san Giuseppe, in ragione del suo ruolo paterno, teneva nel curare, trattare e perfino comandare a Gesù, il Verbo di Dio.
Da secoli la Chiesa riflette sullo speciale rapporto tra san Giuseppe e l’Eucaristia. Noto è in tal senso il parallelo biblico tra l’antico Giuseppe (figlio di Giacobbe), che durante la carestia distribuì al popolo il grano conservato in tempo d’abbondanza (Genesi 41), e il glorioso Custode del Redentore. Al primo il faraone aveva affidato l’amministrazione di tutti i suoi beni, al secondo Dio aveva affidato Suo Figlio. San Leonardo Murialdo, sviluppando un concetto già espresso da san Bernardo e san Bernardino, scriveva che lo sposo di Maria «fece assai più che l’antico Giuseppe: conservò il pane vivo disceso dal cielo; lo conservò non solo all’Egitto e qualche israelita, ma a tutto il mondo. Sì, Giuseppe salvò da Erode il pane vivente disceso dal cielo, affinché dopo 30 anni potesse darsi in cibo agli apostoli e, per essi, a tutti gli affamati della vita e felicità eterna. Giuseppe tiene nascosto questo frumento degli eletti per 30 anni: la casa di Giuseppe fu un misterioso tabernacolo; le sue braccia una pisside; il suo petto una patena su cui Gesù dormiva... E questo corpo santissimo di G.C., che ci nutrisce per la vita eterna, fu nutrito dalle fatiche di Giuseppe».
L’inserimento nel 1962 del nome di san Giuseppe nel Canone Romano, la più antica e importante preghiera eucaristica della Chiesa, ha evidentemente colmato una lacuna a cui da tempo pastori e fedeli chiedevano di rimediare (la prima petizione in tal senso risale al 1815). È degno di nota che questa menzione sia stata introdotta da san Giovanni XXIII, che più volte ha indicato la spiritualità giuseppina come caratteristica fondamentale del sacerdote.
Tra l’altro, il gesto di spezzare il pane è lo stesso che Gesù vide compiere tante volte al suo padre verginale. «Il pane che Giuseppe spezzava era “per” Gesù», annotava padre Tarcisio Stramare, aggiungendo subito dopo: «Gesù era tuttavia ben consapevole che “il pane spezzato” era lui. Anche Giuseppe lo presentiva nel suo intimo, pur ignorando il quando e il come. Lo aveva intuito nelle parole rivolte a Maria in occasione della presentazione di Gesù al tempio: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Lo aveva temuto nella precipitosa fuga verso l’Egitto per evitare i sicari di Erode. Lo aveva sofferto nell’angosciosa (v. 48) ricerca di Gesù rimasto nel tempio […]» (San Giuseppe. Fatto religioso e teologia, Shalom, 2018, p. 512).
Sebbene con una conoscenza minore dei piani divini rispetto a Maria, la Corredentrice, anche Giuseppe fu quindi accompagnato dal dolore per ciò che sarebbe stata la Passione di Gesù e la contemporanea sofferenza della propria sposa. Un apostolo dell’Eucaristia come il francese san Pietro Giuliano Eymard scriveva a questo riguardo: «Egli [san Giuseppe] penetrava, per così dire, il vestito grossolano di Gesù: la sua fede andava fino al Sacro Cuore e, illuminata dalla luce divina, anticipatamente vedeva tutti gli stati per cui Gesù sarebbe passato, e li adorava e si univa alla grazia di quei misteri. Adorò Gesù nella sua vita nascosta; l’adorò nella sua passione e morte; l’adorò fin da allora nel santo Tabernacolo».
Avvicinandoci più ai giorni nostri, il fondatore del Movimento Giuseppino, padre Angelo Rainero, esponeva vividamente la somiglianza tra la missione salvifica di san Giuseppe e quella dei sacerdoti: «Anzitutto Iddio obbedisce al sacerdote, come obbediva a san Giuseppe. Il sacerdote prende l’Ostia Santa, la solleva, la depone sull’altare, la mette nel ciborio, la chiude nel tabernacolo, la porta in processione, la reca agli infermi, la distribuisce ai fedeli… precisamente come san Giuseppe prendeva il Divino Infante, lo portava tra le sue braccia, lo deponeva nella culla, lo dava in braccio ai pastori e ai parenti, lo portava in un luogo o in un altro, gli comandava e l’aveva in tutto sottomesso ai suoi ordini», proprio come insegna il Vangelo. Si intuisce allora quale grandezza e centralità ha l’Eucaristia nel ministero sacerdotale e perché, come spiega il cardinale Robert Sarah, l’odierna crisi di fede sia in larga parte dovuta al declino della fede nella Presenza reale di Gesù nel Santissimo Sacramento.
Un prete devoto all’Eucaristia, invece, produce una serie di altri effetti benefici, che sempre padre Rainero riassumeva così: «Il sacerdote, inoltre, è il protettore nato e, in un certo senso, il salvatore di Gesù. Egli protegge la Sua gloria contro gli attacchi dell’incredulità per mezzo del suo insegnamento; egli rimuove dalla Sua Presenza adorabile nell’Eucaristia le irriverenze e i sacrilegi; egli conserva la vita di Gesù nelle anime lottando contro tutti gli influssi maligni che cospirano ad estinguerla. Non condivide egli, forse, sotto questo aspetto, le prerogative e le funzioni sublimi del nostro Patriarca nel suo nobilissimo compito di custode di Gesù?».
San Giuseppe indica la via ai sacerdoti anche riguardo alla castità perfetta, periodicamente messa in discussione da correnti interne alla stessa Chiesa, malgrado le molteplici testimonianze di Scritture, Tradizione e Magistero (vedi qui). Su tutte richiamiamo la Sacra Virginitas di Pio XII, che tra l’altro cita un dottore della Chiesa come san Pier Damiani: «Se il nostro Redentore ha amato tanto il fiore del pudore intatto che non solo volle nascere dal seno di una Vergine, ma volle essere affidato anche alle cure di un Custode vergine, ciò quando, ancora fanciullo, vagiva nella culla, a chi, dunque, ditemi, vuole Egli confidare il suo Corpo, ora che Egli regna, immenso, nei cieli?».