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Diritti & rovesci

L'eterologa a due donne? Un sì non ci stupirebbe

Una coppia di donne vuole un figlio con l'eterologa in Italia. La legge 40 lo vieta ma è probabile che la Consulta deciderà in loro favore.

Gender Watch 09_07_2018

Chi è causa del suo mal pianga se stesso. E, nel caso che vi stiamo per presentare, a piangere deve essere la legge 40. Il caso è il seguente. Una coppia dello stesso sesso formata da due lei vuole avere un figlio tramite fecondazione artificiale eterologa. La pratica dell’eterologa era vietata dalla legge 40, ma  la Corte costituzionale con la sentenza n. 162 del 2014 eliminò questo divieto.

Però nella legge rimase e rimane pur oggi il divieto d’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale, omologhe o eterologhe che siano, per le coppie dello stesso sesso (art. 5). Nel rispetto di questo divieto l’Azienda sanitaria 5 di Pordenone aveva negato la possibilità alla coppia lesbica di accedere all’eterologa. Ne nacque una vertenza giudiziaria in cui le ricorrenti avevano chiesto, qualora il giudice non avesse dato immediata soddisfazione alle loro doglianze, di sottoporre al vaglio costituzionale il divieto presente nell’art. 5 della legge 40. E così ha fatto il Tribunale di Pordenone. Il giudice Maria Paola Costa ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in merito a questo articolo perché potrebbe aver violato alcuni articoli della Costituzione, soprattutto il 2, il 3, il 31 comma 2 e il 32 comma 1 che concernono i diritti fondamentali e l’uguaglianza tra le persone.

Qualche riflessione. Una prima di carattere politico. La coppia di donne se voleva un figlio con l’eterologa a tutti i costi poteva andare all’estero come hanno fatto altre moltissime coppie e poi ritornare in Italia dove il figlio sarebbe stato riconosciuto. La volontà di intraprendere le vie legali invece appalesa il vero intento di fondo: eliminare dalla legge 40 anche questo divieto. E’ quindi espressione di una militanza ideologica. Una prova indiretta è data dal fatto che Maria Antonia Pili, l’avvocato che assiste la coppia, già in passato si era spesa per la tutela delle rivendicazioni del mondo gay.

Seconda riflessione di natura meramente storica o cronachistica: la legge 40 è nata per essere cambiata dai giudici e non certo per essere applicata, dato che da quando è stata varata è stata sottoposta a tali e tanti interventi giurisprudenziali-chirurgici che è ormai irriconoscibile. Ma questo dato di carattere storico ci aiuta a comprendere un giudizio di carattere giusfilosofico più rilevante. Probabilmente la Consulta deciderà di eliminare il divieto di accesso alle tecniche di fecondazione artificiale alle coppie dello stesso sesso almeno per tre motivi. Il primo motivo si trova nella ratio stessa della legge 40.

Questa legge è nata per soddisfare il desiderio del figlio per quelle coppie che non riescono ad avere un figlio. Ora la coppia di uguale sesso è in pole position tra tutte quelle che non riescono ad avere un figlio. Escludere queste ultime sarebbe dunque irrazionale. La Consulta, decidendo in senso favorevole a questa coppia, non stravolgerà perciò il significato intimo della legge 40, ma lo applicherà con rigore, arriverà coerentemente a quelle conclusioni che germinano spontaneamente dalle premesse contenute nella legge.

Secondo motivo per cui probabilmente dalla Corte costituzionale arriverà il semaforo verde: se le coppie dello stesso sesso hanno dato prova – ovviamente solo nelle aule di giustizia – di essere bravi genitori, se a loro è stata riconosciuta la stepchild adoption e la filiazione legittima, non si vede perché negare loro la possibilità di diventare genitori biologici (possibilità naturalmente predicabile solo per un membro della coppia). Se alla coppia dello stesso sesso è stato riconosciuto il diritto all’educazione, a fortiori deve essere riconosciuto il diritto pieno alla genitorialità, compreso quello generativo tramite le tecniche di fecondazione extracorporea.

Terzo motivo che potrebbe legittimare l’eterologa gay: l’equiparazione sostanziale tra unioni civili e matrimonio. Se la legge Cirinnà ha pressochè equiparato gli uniti civili ai coniugi non si comprende il motivo secondo il quale sarebbe giusto escludere le coppie omosex dalla fecondazione eterologa, permessa invece alle coppie sposate. Anzi, dato che la legge 40 permette l’accesso a queste tecniche anche alle coppie conviventi, sarebbe insostenibile affermare che chi convive e dunque ha posto in essere una relazione giuridicamente inesistente può vantare maggiore diritti di chi ha invece contratto una relazione giuridicamente significativa e addirittura gravata da obblighi davanti alla legge. Perché riconoscere un diritto a chi è un fantasma per il diritto e non si è assunto nessun obbligo e non riconoscere questo stesso diritto a chi ha aderito ad un istituto giuridico come quello dell’unione civile assumendosi alcune responsabilità di carattere pubblico?

In definitiva pensiamo, ma speriamo di sbagliarci, che la Consulta darà ragione alle motivazioni espresse dall’avvocato della coppia: «Sarà ora la Corte costituzionale a pronunciarsi su tale discriminazione basata esclusivamente sull'orientamento sessuale delle persone, ormai intollerabile anche nel nostro Paese dati i precedenti sia legislativi sia giurisprudenziali intervenuti in tale ambito». Il nocciolo del problema quindi sta proprio nel concetto di discriminazione: attribuito con la legge 40 un illecito diritto al figlio tramite la provetta perché negarlo ad alcuni gruppi sociali? Attribuito per via giurisprudenziale e amministrativa il diritto all’educazione alle coppie dello stesso sesso perché negare loro il “diritto” alla procreazione in vitro? Attribuiti a queste coppie con la legge Cirinnà la quasi totalità dei diritti propri dei coniugi perché non attribuire anche a loro il “diritto” all’eterologa? Date alcune premesse erronee le conclusioni sono inevitabili.

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