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tradizioni

L'eterna poesia dei canti di Natale

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Le canzoni legate al Natale hanno questa capacità: si condensano in un angolo del cuore e risvegliano ricordi, immagini della propria memoria. Sono dense di poesia, così come tanti sono i compositori che si sono addentrati nel tema: dal teologo sant’Alfonso Maria de’ Liguori a Irving Berling, da Giovanni Pierluigi da Palestrina a sir John Francis Wade.

Cultura 16_12_2023

«È proprio nei vecchi canti tradizionali di Natale che si ritrova non solo ciò che rende il Natale poetico, rassicurante e grandioso, ma, innanzi e soprattutto, ciò che lo rende emozionante»: parole dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton. E non gli si può dar certo torto perché, in fondo, non può esserci un vero Natale senza musica. Lo scrittore sottolinea un termine, «emozionante»: è proprio vero, la musica emoziona, sempre.

E il viaggio delle note, in fondo, sembra quasi un miracolo: prima, le note scritte su una pagina scritta vengono eseguite da uno o più strumenti; dopo, il loro suono si propaga nell’aria per giungere all’orecchio dell’ascoltatore. E, infine, il momento più importante: la musica entra nel cuore per poi giungere alla mente così da risvegliare immagini indelebili impresse nell’anima.  Le canzoni legate al Natale hanno proprio questa capacità: si condensano in un angolo del cuore e risvegliano ricordi, immagini della propria memoria. Le immagini musicali del Santo Natale sono tante e tutte dense di poesia, così come tanti sono i compositori che si sono addentrati nel tema: dal teologo sant’Alfonso Maria de’ Liguori a Irving Berling, da Giovanni Pierluigi da Palestrina a sir John Francis Wade. La musica del Natale cavalca i secoli perché il senso più profondo del Natale non è mai cambiato: stupirsi davanti alla nascita del Bambino Gesù, davanti alla nascita della Luce del mondo.

Il canto più famoso rimane Tu scendi dalle stelle, traduzione italiana del Quanno nascette Ninno questo il titolo nell’idioma napoletano del ‘700), la composizione più nota di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Questo canto in alcuni spartiti è denominato anche con il termine Pastorale. Anno di composizione, il 1754: questo è un dato certo. Sul dove sia nato rimane invece “un caso ancora aperto” a causa di molte diverse versioni.

Pare che Quanno nascette Ninno fu composta da sant’Alfonso nel periodo di riposo che trascorse nel convento di Santa Maria de’ Monti a Scala, vicino Ravello. Un’altra versione, invece, la vuole composta nei pressi di Nola: «In questo palazzo S. Alfonso Maria de’ Liguori, ospite dei Rev.mi Canonici Giuseppe, Michele e Felice Zamparelli, nel corso della Novena alla Beata Vergine Maria nel dicembre del 1754 compose la celebre pastorale natalizia “Tu scendi dalle stelle”, presentata per la prima volta nella Cattedrale di Nola in occasione del Santo Natale», così recita una targa posta nel 2010 nel palazzo dove – leggenda vuole – abbia soggiornato, per un periodo, il santo redentorista.

I versi del canto affascinano già dall’inizio: «Quanno nascette Ninno a Bettlemme/ Era nott’e pareva miezo juorno/ Maje le Stelle lustre e belle Se vedetteno accossí:/ E a cchiù lucente/ Jett'a chiammà li Magge all'Uriente./ De pressa se scetajeno l’aucielle/ Cantanno de na forma tutta nova:/ Pe ‘nsí agrille - co li strille,/  E zombanno a ccà e a llà;/ È nato, è nato,/ Decevano, lo Dio, che nc’à criato». È tutta la Creazione che rende omaggio alla nascita del Salvatore: gli uccelli con il loro canto, mentre le stelle – mai state così lucenti – per la tanta gioia corrono a chiamare i Re Magi affinché possano assistere anche loro a un evento così bello, la nascita di Gesù Bambino. Sono immagini poetiche che hanno tutta la tenerezza del Presepe: una madre, la Madre, culla il suo Bambino, mentre il mondo fiorisce di profumi e luci, di amore e pace.

«Stille Nacht! Heilige Nacht!/ Alles schläft; einsam wacht/ Nur das traute hochheilige Paar./ Holder Knab´ im lockigen Haar,/ Schlafe in himmlischer Ruh!/ Schlafe in himmlischer Ruh!»: queste parole lette così potrebbero dire ben poco a meno che non si conosca il tedesco dell’800. Eppure questi versi costituiscono l’incipit della famosa canzone Astro del ciel che nella mente di ognuno fa riaffiorare immagini e ricordi, volti cari e scene innevate. Le parole furono scritte da un giovane sacerdote di Salisburgo, Josef Franz Mohr, che si trovava all’epoca in una chiesetta di Mariapfarr (piccolo comune vicino alla capitale austriaca) quando le compose.

La musica, invece, venne scritta da Franz Xaver Gruber, organista nella parrocchia di Oberndorf e maestro di musica. La prima esecuzione assoluta avvenne nella chiesa di St. Nikolaus di Oberndorf (ora non c’è più e in quel luogo sorge una piccola cappella) durante la messa della Vigilia di Natale del dicembre 1818, il giorno stesso in cui Gruber aveva composto la musica. Un episodio particolarmente commovente legato a questo canto avvenne nel ‘900, durante la Prima guerra mondiale. Siamo nel Natale del 1914 sul fronte occidentale: i soldati tedeschi durante il sanguinoso conflitto ad un certo punto interrompono le ostilità.

Un soldato intona le prime parole del canto, «Stille Nacht, heilige Nacht». Lo seguiranno poi i soldati inglesi rispondendo: «Silent night, holy night». Una canzone può cambiare il cuore: era quello l’inizio della cosiddetta “Tregua di Natale”. La versione italiana che cantiamo oggi risale al 1937 (pubblicata dalle edizioni musicali Carrara): si tratta di una traduzione non letterale di quella tedesca, scritta da don Angelo Meli, sacerdote bergamasco di grande cultura.

Il Bambino è nato e i pastori accorrono a contemplare la sua bellezza. È questo, in estrema sintesi, il tema del canto in latino Adeste Fideles, in italiano Venite fedeli:  «Adeste fideles laeti triumphantes,/ venite, venite in Bethlehem./ Natum videte Regem angelorum./  Venite adoremus, venite adoremus,/ venite adoremus Dominum». Rimane tutt’oggi assai complessa l’origine di questo famoso canto natalizio: ancora non è stata data una paternità sicura. Ciò che sappiamo con certezza è che Sir John Francis Wade, compositore e musicista inglese, lo trascrisse intorno al 1744, adattando alcune strofe (la prima, la quinta, la sesta e la settima) molto probabilmente da un canto irlandese. Altre strofe (quali la seconda, la terza e la quarta) vennero aggiunte nel 1794 da monsignor Étienne-Jean-François Borderies, vescovo, teologo e letterato francese. Infine, l’ultima strofa da un autore anonimo.

Di questa composizione ricordiamo, di solito, solamente la prima strofa eppure le altre – oltre alla loro bellezza poetica – conservano un importante significato spirituale: «Lo splendore eterno dell'Eterno Padre/ vedremo celato nella carne: Dio bambino, avvolto in fasce./  Scaldiamo con pii abbracci/ (lui che si è fatto) povero per noi e che giace sul fieno./ Chi non amerebbe a sua volta colui che ama noi in tal modo?». Una domanda che dovremmo porci non solo a Natale.