L'errore del socialismo di guerra per uscire dall'epidemia
Prima dell'imprevisto del Covid-19, a livello globale l'economia era già molto fragile, a causa dell'iper-produzione di moneta delle banche centrale, debito pubblico alle stelle e cicli economici fatti di boom (illusori) e crisi (reali). Con l'epidemia queste tendenze si sono accentuate fino al livello di un socialismo di guerra. È l'unica strada?
Com’era lo stato del sistema economico e finanziario mondiale prima del “cigno nero” del Covid19? Finanziarizzazione dell'economia: dalla precedente Grande Crisi Finanziaria del 2007-2009 le principali Banche Centrali del mondo hanno incrementato i propri Bilanci, raddoppiandoli e portando la liquidità globale da 40 a 80 trilioni di dollari statunitensi. Un fiume di fiat money, creato ex-nihilo, che ha generato la cosiddetta asset inflation, ovvero la risalita contemporanea dei corsi azionari e obbligazionari nel mondo.
Debito mondiale: il livello dell’indebitamento, pubblico e privato, è salito a fine 2019 a circa 250 trilioni di dollari, su livelli e con dinamiche insostenibili rispetto all’andamento dei sistemi economici.
Cicli economici Boom e Bust: quando la crescita economica è gonfiata dalla liquidità e dal ricorso al debito si scoraggiano il risparmio, si incentivano i consumi e l’azzardo morale. I cicli economici vengono spinti artificialmente da consumi finanziati a debito (nel mondo esistono obbligazioni con rendimenti nulli o negativi per circa 16 trilioni di dollari) e da malinvestments, cioè investimenti sia nell’economia reale che nei mercati finanziari apparentemente convenienti per via della “repressione finanziaria” attuata dalle politiche monetarie ultra-espansive delle Banche Centrali. I cicli di boom artificiale sono inevitabilmente seguiti da cicli di bust: i castelli di carte cadono e si assiste ad un violento repricing di tutte le attività finanziarie cresciute in bolla; lato economia reale si rischiano default a catena e disoccupazione crescente.
Il Covid-19, la pandemia in corso è l’ago che ha fatto scoppiare una bolla pre-esistente, col rischio di un avvitamento dei sistemi finanziari come già accadde durante la Grande crisi finanziaria del 2007-2009. Ma non solo. Essa, in più, produce anche un collasso del sistema produttivo e distributivo, reso altamente interconnesso dalla globalizzazione. Interi settori vanno in tilt, con crisi di liquidità, disoccupazione e crollo delle entrate fiscali dei governi e della domanda dei consumatori. Il protrarsi della durata dei lockdown dei sistemi economici in giro per il mondo farà crescere esponenzialmente questi problemi, che sono reali e non solo finanziari.
Quali sono le misure finora adottate? Le Banche Centrali hanno universalmente risposto aumentando ancora di più le politiche che avevano determinato l’asset inflation e la crescita artificiale degli anni passati, nel tentativo di stabilizzare i sistemi finanziari ed evitare una serie di default a catena sui sistemi economici. Un’enorme massa di liquidità creata dal nulla per acquistare sui mercati dei capitali debiti pubblici e privati (nell’area euro la Bce acquista anche i cosiddetti junk bonds, ovvero i titoli “spazzatura”). Si va sempre più verso una “monetizzazione” dei debiti in stile giapponese, col trasferimento di ricchezza dai creditori/risparmiatori ai debitori, per via dei rendimenti schiacciati verso lo zero probabilmente per anni a venire. I debiti vengono così stabilizzati, ma solo una risalita dell’inflazione, al momento prematura, potrebbe sgonfiarli in termini reali. Insomma, per evitare dei default de jure si cerca di spalmare nel tempo una sorta di default de facto, un trasferimento di ricchezza immane ma meno evidente. Il debito pubblico italiano, ad esempio, sarebbe un candidato al default de jure e solo la rete protettiva degli acquisti Bce lo sta tenendo a galla. Effetti collaterali: prosegue l’incentivo all’azzardo morale e ai malinvestments, consolidando strutture socio-economiche scollegate rispetto al risparmio disponibile e alle dinamiche dell’economica reale; sia i privati che i governi sono incentivati a spendere, come se non ci fosse un domani.
Governi: inevitabile il fortissimo rialzo dei deficit e dei debiti pubblici, sia per il collasso delle entrate fiscali a causa del lockdown sia per i piani di intervento che comporteranno un’impennata della spesa pubblica, per assorbire il tracollo di molti settori privati. Il debito privato diviene così debito pubblico, com’era già accaduto negli Usa durante la Grande crisi finanziaria del 2007-2009 e come invoca Mario Draghi per l’area euro. In tal modo, le perdite sono “mutualizzate” su tutti i contribuenti, facendo crescere la pressione fiscale, almeno implicita, connessa all’allargamento della sfera di intervento del settore pubblico. Si va così verso un accentramento della gestione delle risorse e del potere, a detrimento della sussidiarietà del corpo sociale: la società rischia di vedersi impoverita, non solo sul piano economico-finanziario ma anche a causa della deresponsabilizzazione legata all’interventismo pubblico.
La risposta è efficace? Nell’immediato sì, nel senso che la potenza di fuoco messa in atto dalle Banche Centrali e dai Governi dovrebbe consentire una stabilizzazione del sistema finanziario e quindi dare tempo per evitare fallimenti a catena e disoccupazione a due cifre sull’economia reale. Ma siccome tutto ha un prezzo, gli interventi in atto, da “socialismo di guerra”, andranno a far crescere ancora di più quegli squilibri evidenziati e presenti già prima del Covid-19.
Quali sarebbero le risposte corrette? Premesso che forse non abbiamo neppure tutte le domande, la valorizzazione della società, a tutti i livelli, dovrebbe essere la priorità, perché solo un sistema decentrato, “sussidiario”, ha le informazioni, la capacità e il tempismo per intervenire e risolvere i molteplici problemi che i vari shock esogeni possono produrre, in modo differente da un territorio all’altro. La valorizzazione della sussidiarietà è l’opposto della via dirigistica e centralistica che si sta perseguendo, in tutto il mondo. E passa (passerebbe) per una riduzione dell’intervento pubblico nella vita economica e sociale, nella riduzione di spesa pubblica e imposizione fiscale, nella riduzione dell’ipertrofia legislativa e regolamentare, nella sburocratizzazione di una macchina amministrativa tanto inefficiente quanto inefficace. L’evidenza storica ci insegna però che le “emergenze” sono il terreno di cultura ideale perché cresca l’invadenza degli Stati, portando a società deresponsabilizzate e fragili, a detrimento della libertà, della sicurezza e del benessere generale. Un esempio per l’Italia? Una scuola paritaria ancora più marginalizzata e a rischio di collasso, una gestione sanitaria più centralistica, maggior clientelismo dei crony capitalist ancora più dipendenti dalle elargizioni pubbliche, “salvataggi” stile Alitalia che altro non sono che un enorme sperpero della ricchezza del Paese degna di migliori e più redditizie allocazioni.
Più tasse, più debiti, più regole, meno libertà e meno sicurezza. Sì, perché senza la libertà, anche economica, non si genera ricchezza e un paese impoverito perde la capacità di fronteggiare adeguatamente le sfide future, al di là del Covid. I beni a rischio sono molti, non solamente la pur necessaria “minimizzazione dei contagi”.