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ITINERARI DELLA FEDE

L'eremo di Camaldoli. La fede è ospitale

Mille anni fa san Romualdo fondò a Campo di Maldolo, nell’attuale provincia di Arezzo, un eremo e un monastero. Un luogo ospitale, che unisce la dimensione contemplativa e quella attiva e comunitaria della vita monacale.

Cultura 09_03_2013
stemma Camaldoli

Due colombe ai lati di un calice dal quale entrambe si abbeverano e sopra cui, a partire dal XVII secolo, compare anche la stella cometa. Lo stemma della congregazione camaldolese è il simbolo della sua ascesi: la vita contemplativa degli eremiti e quella attiva dei monaci che si dissetano alla stessa fonte, Cristo. Di fatto anche l’architettura coniuga la dimensione solitaria e quella comunitaria della vita monacale, grazie alla presenza, nella stessa struttura, di eremo e monastero.

Camaldoli, casa madre, non fa eccezione. La sua storia ha origini molto lontane: erano gli albori del famoso anno Mille quando San Romualdo, in età ormai avanzata e noto alle cronache per la riforma che aveva coinvolto tutta l’esperienza benedettina, giunse in una radura, detta Campo di Maldolo, nell’attuale provincia di Arezzo, deciso a fondarvi un eremo, erigendovi le prime cinque celle e un oratorio dedicato al Santo Salvatore Trasfigurato.

Nel tempo questo primo nucleo venne ampliato, ma la chiesa, più volte ricostruita e riconsacrata, mantenne sempre la sua posizione centrale, a dimostrazione dell’importanza della preghiera nella vita monastica. Dal piazzale ad essa antistante si accede alla cella di Romualdo, dove il santo visse per due anni, l’unica ad essere sempre visitabile. La sua struttura, modello per le altre costruzioni, è ad un solo piano, a forma di chiocciola, al centro della quale, nella parte più calda, trova spazio la camera dell’eremita. Le venti celle, dette anche lavre nella tradizione orientale, sono disposte su file di cinque. Al termine del viale centrale da esse formato vi è una piccola chiesa, in stile romanico, chiamata Cappella del Papa perché venne fatta costruire dal Cardinale salito al soglio pontificio con il nome di Gregorio IX.

A soli tre chilometri da qui, sulle rive di uno dei rami del fiume Archiano di dantesca memoria, sorgono l’antica Foresteria, che tra tutti gli edifici è quella che conserva più nitide le forme medioevali, la Farmacia, e il Monastero, fondato a metà del XVI secolo, dalle linee sobrie. La sua chiesa è intitolata ai SS. Donato e Ilariano e all’interno è possibile ammirare le sette tavole realizzate da Giorgio Vasari in chiaro stile barocco.

Allora come oggi la strada per accedere all’intero complesso si trova immersa in una vasta foresta, ora Parco Nazionale, della quale i monaci si presero fin da subito cura con estrema competenza, arricchendola, ogni anno, di migliaia di abeti. In questo luogo suggestivo la comunità cenobitica apre le sue porte a chiunque desideri condividere la loro esperienza, sintetizzata dal motto “Ego vobis, vos mihi”, offrendo a tutti ospitalità nelle più diverse forme.