Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
TASSI ZERO

L'era glaciale delle Banche Centrali punisce il risparmio

Stiamo vivendo un paradosso: il risparmio non è più una virtù ma è divenuto un vizio. Chi è riuscito a risparmiare deve pagare per il servizio ricevuto. Chi invece si è pesantemente indebitato si può finanziare restituendo meno di quanto ottenuto in prestito. La cicala è premiata, la formica punita. Chi e perché lo vuole?

Economia 22_10_2019
Ritiro dei contanti

Le obbligazioni con rendimenti nulli o negativi in giro per il mondo continuano a crescere, si stima si aggirino intorno ai 16 mila miliardi di dollari di controvalore. Dal Giappone che è stato pioniere nelle politiche monetarie ultra-espansive, negli ultimi 2 lustri il fenomeno si è dilatato a tutti i Paesi sviluppati, dagli Usa alla Cina all’Europa. Che cosa sta accadendo e perché, chi ci guadagna e chi ci perde.

Stiamo vivendo un paradosso: il risparmio non è più una virtù ma è divenuto un vizio. Chi è riuscito a risparmiare contraendo con sacrificio i propri consumi e vorrebbe ottenere un’equa remunerazione dai propri risparmi dandoli in prestito deve ora pagare il creditore per il servizio che gli fornisce. Chi invece si è pesantemente indebitato, Stato o privato che sia, si può finanziare restituendo meno di quanto ottenuto in prestito. La parca formica cornuta e mazziata, la cicala spendacciona incoraggiata e premiata. Una vera e propria beffa, conseguenza delle politiche eterodosse delle Banche Centrali, che hanno spinto in territorio negativo una mole impressionante di titoli obbligazionari, si stima sui 16 mila miliardi di dollari in giro per il mondo.

Se poi partissero dinamiche inflazionistiche – secondo i desiderata delle Banche Centrali nell’ordine del 2% annuo – si avrebbe una perdita costante di potere d’acquisto, che andrebbe a far dimagrire il valore reale dei propri risparmi di circa un quarto in soli dieci anni. Per non parlare della perdita di potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni, che si adeguerebbero in ritardo e solo parzialmente alla crescita dell’inflazione: una vera e propria “tassa occulta”, di cui la classe media e quella più disagiata non avverte certo il bisogno.

Diamo un’occhiata ad alcuni numeri, utili ad inquadrare la situazione paradossale che stiamo vivendo. Partiamo dall’Europa: in Germania i titoli governativi hanno un “rendimento” inferiore allo zero su tutte le scadenze, addirittura sui titoli a 30 anni. Va un po’ meglio in Francia dove il “fortunato” risparmiatore riesce a lucrare uno zero tondo investendo in titoli dello Stato francese a “soli” 15 anni: al di sotto di tali scadenze deve pagare per dare in prestito i propri risparmi. Investendo sul Paese più indebitato dell’area euro, l’Italia, si ottiene addirittura un “lauto” 0,85% investendo sui Btp decennali; sulla stessa scadenza in Grecia, un Paese reduce da un collasso economico-finanziario, si arriva all’1,50%. Nella virtuosa svizzera si va dal -1% sulle scadenze brevi al -0,30% sui cinquantennali. Va un po’ meglio negli Usa, dove il decennale rende circa l’1,50% (come i titoli greci) e nessuna scadenza ha rendimenti sotto lo zero. In Giappone, il Paese che persegue da anni politiche monetarie ultra-espansive, il debito pubblico vede tutte le scadenze sotto i 15 anni in territorio negativo.

A queste condizioni perché investire? Meglio tenersi i contanti, sempre che non vengano tassati anche questi. È normale che i risparmi non siano remunerati ma anzi penalizzati, che si incentivi chi si indebita, che si spingano in modo artificiale investimenti e consumi, che si incentivi l’azzardo morale e si sposti ricchezza dai risparmiatori/creditori ai debitori? Non si corrono rischi di favorire investimenti economicamente inadeguati e resi convenienti solo grazie alla leva finanziaria, i cosiddetti malinvestment? Gli Stati non vengono così incentivati ad aumentare la spesa pubblica contando sulla “monetizzazione” del debito favorita dalla Banca Centrale? Non si vedono, infine, pericoli di redistribuzione di ricchezza a sfavore delle classi più disagiate, cioè dei piccoli risparmiatori che erano abituati a contare sulle cedole obbligazionarie come una protezione dei propri risparmi e un’integrazione del proprio reddito?

L’immissione nei circuiti finanziari di flussi enormi di liquidità da parte delle principali Banche Centrali del mondo – decine di migliaia di miliardi di dollari a partire dalla Grande Crisi Finanziaria del 2007/08 – ha spinto all’insù corsi azionari ed obbligazionari, la cosiddetta asset inflation, indipendentemente da ogni logica di valore intrinseco. Non vi sono rischi di innescare bolle come l’esperienza degli ultimi 20 anni avrebbe dovuto insegnarci ad abundantiam? Creare denaro dal nulla e alternarne artificialmente il valore – a mo’ di moderni falsari – va a confondere indebitamente i calcoli di convenienza economica che devono essere alla base di consumi, risparmi e investimenti, favorendo scelte sbagliate. E prima o poi, si sa, i nodi vengono al pettine.

Come e perché le Banche Centrali portano avanti da anni in modo ostinato politiche così azzardate? Il come è semplice da spiegare: mentre i rendimenti dei titoli obbligazionari dovrebbero dipendere da fattori quali il merito creditizio del debitore, la scadenza e la valuta del titolo, la quantità di risparmio disponibile e la domanda di investimenti, le Banche Centrali intervengono acquistando pesantemente titoli obbligazionari, in specie governativi, con denaro creato ex-nihilo, facendone così lievitare i corsi e crollare il rendimento, fino a spingere i rendimenti in territorio negativo.

Perché lo fanno? Le economie sviluppate stanno attraversando una fase generazionale di invecchiamento demografico, congiunta ad un’elevata esposizione debitoria degli Stati e/o del settore privato. Per uscire dall’impasse, nell’impossibilità di invertire velocemente tendenza puntando sulla crescita e sul recupero di produttività, la scorciatoia più semplice politicamente è quella di svalutare i debiti in termini “reali”. Non potendo fare dei default de jure si fanno così dei default de facto: il debito non viene più remunerato e, inflazione permettendo, verrà restituito svalutato in termini reali. Il creditore vedrà sì rimborsato il proprio investimento ma, considerando la perdita di potere d’acquisto a causa dell’inflazione, svalutato in termini reali (con tassi negativi anche in termini nominali). Senza fare troppo rumore. Il vero motivo per cui le Banche Centrali sono frustrate dalla mancata partenza dell’inflazione, quindi, sta proprio nella necessità di svalutare velocemente i debiti del sistema, e se l’inflazione non parte i debiti vengono solo stabilizzati, non diminuiscono in termini reali.

In 10 anni, con tassi a zero e un’inflazione al 2%, si attuerebbe un trasferimento del 25% circa della ricchezza dai risparmiatori-creditori ai debitori, in primis gli Stati. Un gioco a somma-zero: è un’ottima notizia per tutti i debitori, in specie per il Tesoro italiano che potrà così finalmente risparmiare sugli interessi sull’enorme debito accumulato e auspicabilmente far scendere il rapporto debito-PIL; il conto verrebbe ovviamente pagato dal popolo dei BOT people.

In tale contesto diventerà sempre più difficile per i risparmiatori proteggere il potere d’acquisto dei propri risparmi e molto arduo per i fondi pensioni e le compagnie assicurative fornire rendimenti senza alzare l’asticella del rischio. Le stesse Banche, nei cui portafogli di proprietà i titoli di Stato rappresentano tradizionalmente la componente maggioritaria, avranno grossi problemi a mantenere una redditività adeguata, per di più in un contesto in cui portano la liquidità dei propri clienti alla BCE subendo una penalizzazione dello 0,5% annuo. A quando tassi negativi anche sui conti correnti della clientela, come proposto da Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit e presidente dell’EFB, l’European Banking Federation?

Insomma le distorsioni innescate dalle politiche monetarie ultra-espansive sono oramai evidenti a tutti gli osservatori: il problema è che nessuno sa come uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati senza fare deflagrare una nuova grande crisi finanziaria come quella del 2007-2008. La strategia adottata dalle Banche Centrali è quindi la solita: kick the can down the road, rinviare ad un futuro indefinito la soluzione continuando ad oltranza con le stesse politiche, sperando in un’uscita inflazionistica dalla crisi. Se la crisi generazionale che stiamo attraversando ha cause “reali”, sia demografiche che culturali, è però illusorio sperare in una soluzione “finanziaria”. Non esistono scorciatoie.