L'energia "pulita" cui punta Obama ha costi proibitivi
La somma tra i posti di lavoro creati nelle rinnovabili e quelli distrutti nelle fonti tradizionali è negativa. - Obama e lo Stato dell'Unione, di M. Respinti
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel discorso dell'altro ieri sullo Stato dell’Unione ha fatto ricorso a un artificio retorico molto abile. «Questo è il momento dello Sputnik per la nostra generazione», ha detto, facendo riferimento a un ampio piano di investimenti in ricerca e sviluppo, in particolare, nelle energie pulite. Ha aggiunto: «i balzi tecnologici nell’energia pulita si tradurrano in posti di lavoro verdi se le imprese sapranno di avere un mercato per quello che vendono. Quindi questa sera vi sfido a unirvi a me nell’affermare un nuovo traguardo: entro il 2035, l’80 per cento dell’elettricità americana verrà da fonti pulite».
È un obiettivo raggiungibile? Ed è un obiettivo utile? Anzitutto, non è un obiettivo originale, se non nel fatto che, in modo sottile, Obama ha riscalato le ambizioni delle amministrazioni precedenti. La domanda di elettricità, infatti, rappresenta circa il 40% del consumo americano di energia: poiché il 30,6% dell’elettricità americana viene già da fonti non fossili (nucleari e rinnovabili), arrivare all’80% significa incrementare la produzione di energia pulita di 20 punti percentuali, rispetto al totale, nei prossimi 24 anni. Uno sforzo importante ma, tutto sommato, contenuto rispetto ai più ambiziosi target del passato. Del resto, come ha ricordato il comico Jon Stewart in un irresistibile servizio per il suo Daily Show, all’indomani della tragedia del Golfo del Messico, l’«indipendenza energetica» è un elemento dei discorsi sullo Stato dell’Unione fin dai tempi di Richard Nixon. Gli Usa, ironizzava Stewart, sono una «unstoppable oil dependency-breaking machine», che sfortunatamente «runs on oil».
Assumendo, comunque, che sia possibile implementare un cambiamento così importante nel sistema elettrico americano, vale la pena chiedersi quali effetti esso avrebbe sull’economia del Paese. In fondo, qualunque obiettivo può essere raggiunto, se si è disposti a pagare abbastanza. Al tempo stesso, occorre grande cautela a progettare il futuro: non solo perché il futuro ha la spiacevole abitudine di progettarsi da sé – come dimostrano i sistematici fallimenti del passato, almeno in questo campo –, ma soprattutto perché, all’indomani della crisi economica e alla luce della precarietà delle finanze pubbliche Usa, sforzi che prima potevano apparire a portata di mano, oggi non lo sono più. Bisogna anche aggiungere che Obama è reduce da una pesante frustrazione politica in questo senso. Dopo aver fatto del “climate bill”, che avrebbe allineato le politiche americane del clima a quelle europee, un elemento importante della sua campagna elettorale e del suo primo biennio di governo, i Democratici sono stati costretti a gettare la spugna per l’incapacità di coagulare la maggioranza necessaria al Congresso. Dopo la vittoria repubblicana alle elezioni di "medio termine", e l’affermazione dei "Tea Party" all’interno del Partito Repubblicano, la battaglia sul clima è, sostanzialmente, persa, sul fronte politico.
L’impasse politico non è frutto delle alchimie di Washington, quanto piuttosto della consapevolezza che tinteggiare di verde l’energia americana non è né gratis, né conveniente. Lo hanno certificato una serie di studi empirici sugli schemi di incentivazione delle fonti rinnovabili in giro per il mondo, ma lo ha soprattutto dimostrato un’analisi del Congressional Budget Office (l’ufficio studi del Congresso) sul “climate bill” di Obama. Secondo il Cbo, la somma tra i posti di lavoro creati nelle fonti rinnovabili e quelli distrutti nelle fonti tradizionali e nel resto dell’economia (a causa dei maggiori costi dell’energia) sarebbe negativa: addirittura, «a causa dell’aumento dei prezzi, i salari reali dei lavoratori (aggiustati per l’inflazione) sarebbero più bassi». Tesi, peraltro, confermata dall’impatto occupazionale prodotto dalla moratoria sulle trivellazioni offshore adottata dall’Amministrazione in risposta all’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon.
Insomma, la promessa di Obama paressebbe essere poco realizzabile. Implica infatti un costo che l’economia americana non può, e non vuole, sostenere.
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