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IL CASO VERGARA

L'embrione a chi lo do? Dove porta la vita Frankenstein

“Questo embrione a chi lo do?” Se lo stanno chiedendo i giudici chiamati a decidere sul divorzio tra l’attrice Sofia Vergara e il milionario Nivck Loeb. Il tipo, vuole che gli embrioni che la coppia aveva congelato, vengano usati per essere impiantati nell’utero della donna, lei invece no. Che fare allora di questi embrioni?

Vita e bioetica 04_05_2015
L'attrice Sofia Vergara

Lei si chiama Sofìa Vergara e fa l’attrice nella serie Tv Modern family. Nella vita reale era fidanzata con il milionario Nick Loeb. I due tentarono di avere un figlio tramite la fecondazione artificiale e poi per mezzo della pratica dell’utero in affitto. Non ci riuscirono e poi arrivò la rottura del fidanzamento. Capita che a volte gli ex si restituiscano i regali che si sono fatti: orologi, videocamere e naturalmente l’anello di fidanzamento. Il problema di Sofìa a e Loeb però stava nel fatto che i due si erano regalati vicendevolmente anche due embrioni che, con termine da ragioniere, i tecnici di laboratorio chiamano soprannumerari. Cioè embrioni prodotti per essere impiantati nell’utero della donna, ma poi abbandonati in azoto liquido. Infatti l’addio della Vergara al suo milionario ha spinto la star a dire addio anche a questi due bambini. Loeb invece voleva che i due embrioni vedessero la luce ed ha trascinato la ex in tribunale. La soluzione della neofilastrocca procreativa “Questo embrione a chi lo do?” è quindi ora in mano ai giudici.

Dal punto di vista legale sia negli Usa – dove solo nove Stati hanno una legislazione che indica cosa fare nelle controversie di questo genere -  che in giro per il mondo, i tribunali nella maggior parte dei casi danno ragione a chi, padre o madre che sia, vuole che gli embrioni rimangano crioconservati. Il principio è il seguente: se facciamo nascere questi embrioni congelati, anche per il tramite di una donna che presta il suo utero e quindi senza scomodare la madre che non li vuole più, il lui o la lei della coppia che non desiderava diventare genitore si ritrova contro la sua volontà a essere padre o madre biologica di un figlio che non voleva. Poco importa che esiste la possibilità di non riconoscere il bebè. Il solo pensiero che da qualche parte nel mondo ci sia un bimbo sangue del suo sangue configura una violenza contro la persona. In buona sostanza tra la volontà di diventare genitore e la volontà di non diventarlo, i giudici in genere preferiscono questa seconda opzione (negli Usa su dieci casi giudiziali, otto volte il tribunale ha deciso in tal modo). La maternità o la paternità non può essere imposta – così si afferma - dimenticando – appuntiamo noi – che nel momento in cui viene a esistenza tuo figlio, seppur piccolo come una manciata di cellule, tu sei già madre e padre.

Questo in punta di diritto. Ma la questione più interessante si pone sotto il profilo morale: che fare di questi embrioni crioconservati? I media, nel commentare la vicenda, hanno preso quasi tutti delle strade sbagliate. C’è chi ha detto che bisogna tenere conto del legame genetico: se l’embrione, prodotto tramite eterologa, è figlio biologico solo di uno dei due membri della coppia, starà solo a quest’ultimo decidere la sua sorte. Altri hanno preso a modello il principio che soggiace all’aborto: come sta alla donna la decisione di portare a termine una gravidanza oppure no, così deve essere lasciato anche al maschio uguale scelta. Altri ancora affermano che la situazione della donna e dell’uomo è simmetrica perché entrambi hanno il diritto di diventare genitori così come hanno pari diritto a non diventarlo: privilegiare una parte significherebbe fare un torto all’altra. 

Lo stallo sarebbe irrisolvibile. C’è inoltre chi dice che bisogna far riferimento al portafogli: gli embrioni sono di chi ha sborsato i soldi per la fecondazione artificiale. Sono tutte soluzioni erronee perché partono dal presupposto gravemente iniquo che si abbia un diritto sul figlio e che quindi esista un diritto alla genitorialità. Mai si può predicare un diritto su una persona (semmai può esserci un diritto su una prestazione della persona), altrimenti questa diventerebbe “cosa”, oggetto di proprio possesso. La prospettiva deve essere rovesciata. Il punto di vista privilegiato non deve essere quello di Miss Vergare o di Mr. Loeb, bensì dei loro due figli la cui esistenza è sospesa in un freezer. Loro, al pari di moltissimi altri compagni di sventura, hanno il diritto sia a vivere – questa loro condizione di congelamento infatti attenta fortemente al loro diritto alla vita – sia di nascere, dato che non è consono alla dignità della persona umana continuare a vivere in un congelatore. Il problema etico sta nel modo in cui soddisfare questo loro diritto. Espresso nei termini propri della morale naturale, occorre che il fine buono di far nascere questi bambini sia realizzato per il tramite di un’azione il cui oggetto sia altrettanto buono. Mai, infatti, si può compiere il male anche per un fine buono.

Il Magistero, al numero 19 dell’istruzione Dignitas Personae della Congregazione per la Dottrina della Fede, si occupa di questo caso. Il documento esclude ovviamente che si possano usare per fini sperimentali questi embrioni, perché pratica non consona alla dignità del nascituro e poi perché in tal modo si provocherebbe la loro morte. Farli nascere allora? Qui in linea teorica ci potrebbero essere due soluzioni. La prima: la donna che riceve questi embrioni nel proprio utero non è la loro madre biologica. Il Magistero esclude la liceità di questa ipotesi perché sarebbe acconsentire alla maternità surrogata. É solo la madre naturale che può lecitamente portare alla luce il proprio figlio. Seconda ipotesi: scongelare gli embrioni e impiantarli nell’utero della propria madre biologica. Tra gli studiosi ci sono due posizioni a riguardo. C’è chi accetta questa ipotesi perché la pratica della fecondazione artificiale – tecnica intrinsecamente malvagia – si sarebbe già conclusa e l’impianto in utero non farebbe parte di questa pratica, bensì sarebbe solo un’azione terapeutica – quindi lecita - volta alla salvezza del figlio per il tramite di una gestazione, quella della madre, anch’essa eticamente accettabile. In buona sostanza si tratterebbe di riportare nell’alveo naturale degli eventi ciò che la fecondazione artificiale aveva distratto dal suo corso.

Di contro c’è chi rifiuta questa ipotesi perché non solo non è lecito iniziare la pratica della fecondazione artificiale, ma anche portarla a termine. L’atto di impiantare l’embrione nell’utero della donna – anche della donna che è madre degli embrioni – è azione che termina la pratica della Fivet e quindi fase conclusiva di un’azione che rimane malvagia. Ergo non si potrebbe che lasciare gli embrioni nell’azoto liquido perché non esisterebbe un atto moralmente valido per porre rimedio ad un’ingiustizia di fatto. Il Magistero parrebbe favorire questa ultima ipotesi. Infatti la Dignitas Personae così stabilisce: «occorre costatare, in definitiva, che le migliaia di embrioni in stato di abbandono determinano una situazione di ingiustizia di fatto irreparabile» (corsivo nel testo). E, citando Giovanni Paolo II, il documento così conclude: «non si intravede una via d’uscita moralmente lecita per il destino umano delle migliaia e migliaia di embrioni “congelati”».

L’unica strada percorribile sarebbe quindi quella dell’astensione da qualsiasi atto che non potrebbe che essere in sé malvagio. Non è una resa della dottrina morale su un caso troppo difficile da risolvere, ma la costatazione realista che in certi frangenti il male commesso non è più cancellabile. Pensiamo al caso di Tizio assassinato da Caio. La morte di Tizio è «una situazione di ingiustizia di fatto irreparabile». Non c’è modo alcuno per porre rimedio morale a questo stato di cose ormai avvenuto. E dunque il peccato originale della crioconservazione degli embrioni non sta nelle decisione di uno dei due genitori di non volere il figlio prodotto in provetta, ma sta nella provetta stessa. Sta nella fecondazione artificiale. Una volta che la valanga si è innescata è impossibile fermarla.