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IL CASO

Legittima difesa, serve un'altra legge (modello Usa)

Dopo il caso di Francesco Sicignano, il pensionato che, impaurito da un ladro, ha esploso un solo colpo mortale (ed è per questo indagato per omicidio volontario), si sta discutendo di modificare la legge della legittima difesa. Sarà allora utile confrontare la nostra normativa con altri leggi, come quelle americane.

Cronaca 22_10_2015
Francesco Sicignano, accusato di omicidio volontario

Mai come in questi giorni si sta parlando della questione della legittima difesa. Dai grandi giornali al dibattito politico, molta attenzione è focalizzata su un tema che, fino a qualche mese fa, era relegato fra le pieghe della cronaca locale, dietro a immigrazione e crisi economica. Come mai questo cambio di interesse? Da una parte c’è sicuramente la grande attenzione mediatica che hanno polarizzato attorno a sé alcuni casi: da quello del benzinaio Graziano Stacchio a quello di Ermes Mattielli, fino all’ultimo, destinato a far discutere, di Francesco Sicignano che, impaurito da un ladro, ha esploso un solo colpo mortale (più altri due in aria) ed è per questo indagato per omicidio volontario. 

Si tratta, ovviamente, di casi molto diversi: se Stacchio ha sparato alla gamba di un rapinatore armato di Ak-47, un fucile d’assalto usato in guerra, Mattielli ha svuotato un intero caricatore addosso a due ladri che in mano avevano solo una spranga. Il caso del pensionato di Vaprio d’Adda è invece ancora da verificare anche se, da quanto emerso finora, sembra quantomeno bizzarro pensare possa essere accusato di omicidio volontario, lo stesso reato di cui è accusato – per intenderci – Massimo Bossetti, il presunto killer di Yara Gambirasio. Al di là del clamore dei singoli casi, a sostenere il dibattito sulla legittima difesa c’è però anche una diffusa percezione d’insicurezza da parte dei cittadini. Basta guardare i servizi giornalistici fatti a seguito di fatti del genere in cui, puntualmente, gli intervistati rispondono in coro che chi ha sparato ha fatto solo bene. Ci sono due modi per valutare queste risposte: il primo è derubricarle a semplice ignoranza, cavalcata da politici demagoghi; il secondo, obiettivamente più razionale, è che si tratti di voci che, nel bene e nel male, rispondono a un sentire comune. Se è opinione diffusa che la polizia non faccia abbastanza, vuoi perché ha pochi mezzi vuoi perché ha le mani legate, e che i criminali la facciano sempre franca dopo pochi mesi di galera, una parte di verità ci deve pur essere.

In ogni caso, certe vicende dovrebbero farci riflettere sulla maniera in cui è regolata in Italia la legittima difesa. L’articolo 52 del codice penale precisa che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa». In concreto, si può teoricamente sparare per difendere «la propria o la altrui incolumità», ma anche «i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione», sia all’interno della propria abitazione che in un’attività commerciale. Il problema sta tutto nel principio di proporzionalità, che può essere opinabile: per fare un esempio, nella vicenda Stacchio, che a prima vista sembrerebbe un palese caso di legittima difesa, i magistrati obiettano che il benzinaio avrebbe sparato a dei rapinatori che, essendo in fuga, non avrebbero costituito alcun motivo di pericolo imminente.

È interessante confrontare la nostra normativa con quella statunitense che, al contrario di quanto pensa qualcuno, non giustifica esecuzioni da Far West. La legge federale stabilisce infatti che «una persona è autorizzata a usare la forza quando gli appare ragionevolmente necessaria a difendere se stesso da un’apparente minaccia o da una violenza illegale e incombente da parte di un altro». La prima differenza, sostanziale, che si può notare è che nella legislazione americana è l’individuo che si difende a essere messo al centro dell’attenzione: l’insistenza sui termini “appare” e “apparente” serve proprio a riconoscere come, in certe situazioni, sia obiettivamente valutare la realtà in maniera fredda, distaccata e razionale, come al contrario impone la legge italiana.  

Un’altra differenza sta nell’assenza, in alcuni Stati, del cosiddetto duty to retreat, secondo cui è chi si difende a dover dimostrare di essersi difeso in modo legittimo. In questi casi è piuttosto l’accusa o gli avvocati della famiglia del criminale a dover dimostrare che chi ha sparato l’abbia fatto eccedendo il proprio legittimo diritto a difendersi. La domanda da porsi è molto semplice: davvero queste norme rendono la difesa tanto libera da essere abusata? Assolutamente no. Per capirlo basta scorrere i dati ufficiali dell’Fbi sugli omicidi per legittima difesa (clicca qui) che nel 2010 sono stati appena 278: un’inezia rispetto agli omicidi totali che, sempre nel 2010, hanno segnato quota 14.722 e, a maggior ragione, rispetto a una popolazione di oltre 315 milioni di abitanti.

Nulla che faccia pensare a un Paese in cui il postino che sbaglia indirizzo rischi di essere crivellato di colpi. Eppure sono in tanti che, per ignoranza o propaganda, vogliono far credere che gli Stati Uniti siano un posto in cui la legittima difesa è spinta oltre i limiti della ragionevolezza. Al contrario è semmai l’Italia a essere troppo restrittiva. Basti considerare che lo stesso viceministro Enrico Costa (Ncd), che non è mai stato un difensore delle armi libere, sta seriamente pensando di modificare la legge sulla legittima difesa: «Se si spara in casa», ha dichiarato in un’intervista a La Stampa (clicca qui), «perché si teme per la propria incolumità o libertà, ci si può pensare (a una una scriminante sull’uso delle armi, che non faccia neppure iniziare il processo ndr). Ahimè non è più il tempo in cui bastava accendere la luce per far scappare il ladro». Vedendo i casi di cronaca, in effetti, ci sarebbe proprio da pensarci.