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EDITORIALE

Legge 40, come si fa una guerra

Per la terza volta in un mese un tribunale rimanda alla Corte Costituzionale l'articolo 4 della Legge 40 che vieta l'eterologa. Un copione già scritto ma che rivela una strategia: i radicali mettono in conto di perdere molte battaglie per riuscire a vincere quella definitiva.

Editoriali 26_04_2013
Filomena Gallo

La legge 40 che disciplina l’accesso alla fecondazione artificiale è finita sul banco degli imputati dei tribunali di tutta Italia più di una ventina di volte in meno di nove anni. Solo nell’ultimo mese sono stati tre i ricorsi alla Corte Costituzionale e tutti concernenti l’articolo 4 che vieta la fecondazione eterologa. L’ultimo ricorso è stato presentato dal Tribunale di Firenze all’inizio di questa settimana. I motivi sono i soliti: il divieto relativo all’eterologa discriminerebbe quelle coppie che non possono avere un figlio senza ricorrere al gamete di un terzo soggetto esterno alla coppia.

Questo ennesimo ricorso suggerisce alcune riflessioni che non riguardano solo la legge 40 ma l’intera battaglia che si sta sferrando ai principi non negoziabili. In primo luogo pare proprio che gli articoli della Costituzione assomiglino sempre più alle profezie di Nostradamus: ognuno li interpreta come vuole. E così l’art. 3, richiamato anche in questi ultimi ricorsi, il quale sancisce che casi uguali devono essere trattati in modo uguale e casi diversi in modo diverso, viene stravolto nel suo significato equiparando l’eterologa con l’omologa dato che sono semplicemente due modalità differenti per dare i figli a coppie sterili, le quali – queste sì – sono tutte uguali di fronte alla legge. Oppure l’art. 3 viene citato sovente nelle aule di tribunale per tentare di far riconoscere le “nozze” gay, dato che gli omosessuali sono uguali agli eterosessuali. L’art. 2 poi che tratta delle “formazioni sociali”, cioè le associazioni, le società, le fondazioni, i partiti politici, i sindacati, etc. viene usato in modo pretestuoso per affermare che in queste formazioni sociali devono essere ricomprese anche le convivenze. L’art. 29 il quale riguarda la famiglia naturale è infine evocato per sostenere che in quell’articolo implicitamente si legittima anche la “famiglia” omosessuale.

Seconda riflessione: i giudici, e in specie quelli della Corte Costituzionale, pare siano diventati organi ultimativi e perfettivi dell’iter legislativo. In buona sostanza sembra che non sia più sufficiente la firma del Presidente della Repubblica e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale perché una legge del Parlamento diventi legge dello Stato italiano. L’ultimo vaglio indispensabile per la promulgazione vera e propria è in mano alle toghe: sta a loro apporre il sigillo di legittimità sulle norme varate dal Parlamento.

Senza poi tener conto che la sovranità nazionale appare essere sempre più scolorita: infatti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è diventata, nei fatti, il quarto grado di giudizio per quelle coppie che, insoddisfatte delle pronunce della Consulta che più volte ha rigettato i loro ricorsi sulla Fivet, si sono poi rivolte in Europa per avere giustizia.

Un altro dato: quest’ultimo ricorso è stato promosso dal solito pool di avvocati, che fa riferimento all’Associazione radicale Luca Coscioni, con a capo la solita Filomena Gallo. Si tratta di una vera e propria agenzia per la distruzione dei principi non negoziabili che, ormai acquisita una propria fisionomia e autonomia professionale, mira alla legittimazione della fecondazione eterologa, dell’eutanasia e degli stupefacenti. L’agenzia ha con evidenza una rete di contatti ormai consolidata: infatti le cliniche per la fecondazione in vitro interessate da queste vicende giudiziarie più o meno sono sempre le stesse. E curiosamente anche i tribunali – Catania, Milano, Firenze – sono sempre gli stessi.

Il cannoneggiamento serrato contro la legge 40 sferrato dall’equipe della Gallo ci consolida nell’idea che il fronte pro-choice fa almeno due cose che non fa il fronte pro-life. Innanzitutto prende spunto da situazioni personali per ingaggiare battaglie giuridiche-politiche. Perché il fronte pro-life ad esempio non mette sul banco degli imputati la legge 194 o i medici per tutte le sindromi post-abortive che ha provocato e in merito alle quali i medici, secondo disciplina del consenso informato, avrebbero dovuto informare la donna? O la stessa legge 40 e le strutture che praticano la Fivet per le patologie riscontrate nei bambini nati con questa tecnica e nelle stesse donne (sia di ordine fisiologico che psicologico)?

In secondo luogo il fronte radicale non si arrende di fronte alle sconfitte giuridiche e politiche. La Consulta – interpellata in 9 anni 6 volte - ad oggi ha sempre rigettato i ricorsi sull’eterologa, ma i nemici della vita si scordano e fanno scordare facilmente gli insuccessi, sicuri che basterà una vittoria per vincere la guerra cioè per chiudere la partita per sempre. Così Beppino Englaro – appoggiato anche lui dai radicali - incontrò, in 9 anni di battaglie, 7 giudici civili che non gli permisero di staccare la spina alla figlia Eluana, ma non si arrese, certo che alla lunga l’avrebbe avuto vinta. E così è stato. Insomma le battaglia perse sono un prezzo inevitabile da pagare per vincere la guerra. In casa cattolica invece non ci si muove se non si ha certezza della vittoria al primo tentativo, altrimenti - così si dice - “sarà la conferma che la legge, i giudici i cittadini vogliono l’aborto, la Fivet etc. E poi se perdiamo questa battaglia per modificare in meglio la legge 194 o la legge 40 ci avranno tagliato le gambe per sempre e non potremo più risollevarci”.

Infine per il fronte pro-choice le sue vittorie segnano sempre un punto di non ritorno: mai si sono approntate normative più severe su aborto, divorzio e Fivet, una volta incassati questi risultati, ma all’opposto si marcia a passo sostenuto verso una loro liberalizzazione sempre maggiore (vedi pillole abortive, divorzio breve, Fivet eterologa).