Lega e M5S ostaggi di promesse inesigibili
La Lega ha battuto tutti i record di consensi con lo slogan "via la riforma Fornero" sulle pensioni. Mentre il M5S è diventato il primo partito promettendo il reddito di cittadinanza. Entrambe le proposte sono inattuabili, quando non sono superflue.
L’abolizione della Riforma delle pensioni che porta il nome di Elsa Fornero e l’introduzione di un reddito garantito per tutti coloro che non raggiungono i 780 euro mensili. Queste le due promesse elettorali che hanno contributo, almeno in parte, al successo della Lega di Matteo Salvini da una parte e di Luigi Di Maio dall’altra. Due promesse che tornano di attualità ora che Lega e 5 Stelle hanno la possibilità di sostenere un governo di radicale svolta rispetto al passato.
Sarebbe allora il caso di scoprire le carte di andare a vedere la reale portata delle due riforme così appassionatamente sostenute. Si potrebbe scoprire così che l’abolizione della “Fornero” è in parte impossibile, in parte inutile, in parte creerebbe problemi, non solo di gestione, particolarmente complessi. Non va dimenticato la questa riforma è solo l’ultima di una lunga catena di interventi, compiuti da Governi sia di destra che di sinistra, che hanno cercato negli ultimi decenni di mantenere in equilibrio un sistema previdenziale alle prese con un progressivo aumento della durata della vita media e di una flessione significativa dei redditi nelle nuove leve che entrano nel mercato del lavoro. Tra queste riforme vi è quella che creò un aggancio automatico tra l’età pensionabile e l’aspettativa di vita, aggancio che ha suscitato molte critiche e opposizioni quando lo scorso anno si trattò di passare dalle ipotesi ai fatti. Ebbene va forse ricordato che questo aggancio è stato semplicemente confermato dalla riforma Fornero, ma in realtà è stato introdotto nel 2010 nella riforma varata dall’allora ministro Maurizio Sacconi in un Governo di centro-destra sostenuto anche dalla Lega.
Un altro punto d’attacco verso la riforma Fornero è quello dei cosiddetti “esodati”, cioè quelle migliaia di persone che si sono trovate senza lavoro, che avevano già deciso di lasciare, e senza la pensione che speravano di ottenere dopo l’innalzamento dell’età pensionabile varato appunto dal decreto Fornero. Ma il problema degli esodati è stato già affrontato e risolto sia dagli ultimi Governi che hanno varato ben sette provvedimenti di salvaguardia, sia dal fattore tempo perché per una semplice considerazione matematica dopo sette anni non ci possono essere più persone colpite all’improvviso da un innalzamento dell’età pensionabile che non poteva superare i cinque anni.
Anche sul fronte del calcolo contributivo la riforma Fornero non ha fatto altro che accelerare l’estensione di questa misura che già era prevista fin dal 1995 nella riforma Dini. Mentre si può ricordare che il più forte innalzamento dell’età pensionabile è stato quello previsto dalla Riforma Maroni del 2004 in un altro Governo di centro-destra, con il famoso “scalone”, riforma poi in parte smontata dai successivi governi di centro sinistra quasi con lo stesso impeto che ora contraddistingue la contestazione di Salvini alla legge Fornero. Ma se si è sbagliato, e fortemente, quando il Governo Prodi rivide la riforma precedente per mantenere l’appoggio di Rifondazione comunista, così si sbaglierebbe oggi a vedere nella riforma di sette anni fa, che pur aveva a suo tempo molti punti deboli, uno dei problemi della politica e della società italiana. Sarebbe molto meglio, anche in questa occasione, guardare avanti più che avventurarsi nella missione impossibile di riscrivere il passato.
Allo stesso modo appare complessa l’introduzione del reddito di cittadinanza così come proposto dai 5 Stelle con una promessa che è stata certamente uno dei fattori che ha maggiormente contribuito al consenso per il movimento fondato da Beppe Grillo. Mentre appare giusta e meritoria la preoccupazione di dare un reddito e una dignità alle persone e alle famiglie in difficoltà, non bisogna dimenticare che già ora vi sono molti tipi di interventi in questa direzione: si va dall’indennità di disoccupazione alla cassa integrazione, dalle pensioni sociali a quelle di invalidità, dall’assegno di accompagnamento alle agevolazioni per la cura delle malattie croniche, dal reddito di inserimento all’anticipo pensionistico, dai sussidi erogati dai Comuni agli interventi delle associazioni di solidarietà. Il reddito di cittadinanza dovrebbe in gran parte non aggiungersi, ma sostituire queste misure. Non ci vuole molta fantasia per immaginare la complessità burocratica nello smontare tutti questi elementi di sicurezza sociale per far posto ad una misura del tutto nuova, al di là dei costi finanziari ed operativi.
Sarà quindi interessante vedere come le promesse lanciate per sollecitare il consenso potranno trasformarsi in provvedimenti concreti.