Lega e 5 Stelle avversari, ma non sarà uno scontro
Attesa per l’esito dei ballottaggi di domani, che chiuderanno un semestre di appuntamenti elettorali. Lega e 5 Stelle si presentano divisi. Difficilmente però, l’esito delle urne avrà effetti sulla tenuta dell’esecutivo. Sono talmente in crisi i partiti di opposizione, che anche un eventuale calo pentastellato non inciderebbe sui rapporti di forza tra i due alleati di governo.
C’è una discreta attesa per l’esito dei ballottaggi di domani, che chiuderanno un semestre di appuntamenti elettorali. Dopo le politiche del 4 marzo e il primo turno di domenica 10 giugno, domani verranno decise alcune sfide molto importanti per il governo dei territori. Oltre 2 milioni e mezzo di elettori sono chiamati alle urne. Sono stati pochi i capoluoghi di provincia, dei 20 in cui si votava, in cui non è stato necessario ricorrere al ballottaggio. Nel primo turno di due domeniche fa, due capoluoghi sono andati al centrosinistra: Brescia con Emilio del Bono e Trapani con Giacolo Tranchidia. Al centrodestra sono invece andati Catania, Barletta, Vicenza e Treviso. Sono 14 i capoluoghi chiamati di nuovo al voto domani, mentre sono 75 in tutto i comuni sopra i 15mila abitanti che andranno alle urne.
Prima di entrare nel merito di alcuni testa a testa, qualche considerazione generale. Lega e Cinque Stelle si presentano ovunque divisi e non hanno stretto alcuna intesa ufficiale per il secondo turno. Facile immaginare che molti elettori leghisti e pentastellati si sentano in qualche modo vincolati dall’attuale patto nazionale, ma difficile fare una stima di quanto questo condizionamento possa incidere sull’esito dei ballottaggi.
Negli ultimi giorni sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio hanno alzato i toni, anche per galvanizzare i rispettivi elettorati. Il Ministro dell’Interno ha tenuto duro sui migranti e ha sparato a zero contro molti suoi bersagli, perfino lo scrittore Roberto Saviano, mettendo in discussione la necessità della sua scorta. Il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha invece rilanciato le battaglie care al Movimento Cinque Stelle, dai vitalizi al reddito di cittadinanza, fino ad arrivare alla Rai e alla proposta di un “censimento dei raccomandati”.
Evidente anche il disegno dei due alleati di governo di oscurare l’attuale premier e di concentrare la dialettica sui loro due partiti. Toni da campagna elettorale, quindi, che hanno finito per oscurare ancora di più le altre forze politiche, sempre più in agonia. Pd e Forza Italia sembrano scomparsi dai radar della politica e vivono un periodo di faticoso travaglio interno. A tremare in vista del voto di domani sono soprattutto i dem, che rischiano di perdere la guida di molti comuni e di alcune città capoluogo.
A Siena, ad esempio, si andrà al ballottaggio tra il candidato di centrosinistra Bruno Valentini (27,4 per cento al primo turno) e Luigi De Mossi, (24,2 per cento), candidato del centrodestra. Nella città del Palio, il centrosinistra appare avvantaggiato dopo aver stretto un’alleanza formale con l’ex sindaco Pierluigi Piccini, che si era candidato con la lista civica Per Siena con la quale aveva ottenuto il 21,27%. A Pisa il candidato leghista Michele Conti si presenterà al ballottaggio in vantaggio dopo aver conquistato il 33,36 per cento e dovrà affrontare il candidato del centrosinistra Andrea Serfogli, al 32,3 per cento. Il primo ha già ricevuto l’appoggio della lista civica del candidato Latrofa, mentre il secondo ha annunciato un apparentamento con le tre liste civiche che al primo turno hanno sostenuto i candidati Veronese e Zippel. Ma sull’esito elettorale, l’ago della bilancia potrebbe essere il Movimento 5 Stelle che con il 9,9% ottenuto dal candidato Gabriele Amore potrebbe risulterebbe decisivo. A Massa si terrà la sfida fra il candidato del centrosinistra Alessandro Volpi (33,9 per cento) e Francesco Persiani del centrodestra (28,2 per cento).
Imola avrà il suo primo sindaco donna, ma non sappiamo ancora se sarà M5S Manuela Sangiorgi, dei Cinque Stelle (29,3 per cento) o Carmen Cappello, sostenuta dal Pd e dagli alleati (42 per cento).
Anche ad Ancona si andrà al ballottaggio: la sfida sarà tra il candidato sindaco di centrodestra Stefano Tombolini (28,4 per cento) e il sindaco uscente, Valeria Mancinelli, che ha superato il 48 per cento delle preferenze al primo turno. A Ragusa, amministrata per cinque anni dal Movimento Cinque Stelle, il ballottaggio è tra l’esponente pentastellato Antonio Tringali (22,67 per cento) e Giuseppe Cassì, appoggiato da Fratelli d’Italia e tre liste civiche (20,8 per cento). Fuori Antonio Calabrese, sostenuto dal Pd, e Maurizio Tumino indicato da Forza Italia.
A Messina andrà al ballottaggio Dino Bramanti, candidato del centrodestra, che ha ottenuto il 33,73 per cento al primo turno. A sfidarlo sarà Cateno De Luca, candidato di una lista civica e non il candidato del centrosinistra Antonio Saitta, fermo al 21,8 per cento dei consensi al primo turno. A Sondrio il candidato del centrodestra Marco Scaramellini (46,8 per cento) sfiderà Nicola Giugni del centrosinistra, che al primo turno aveva ottenuto il 36,1 per cento delle preferenze.
Interessante sfida nel capoluogo provinciale umbro, Terni, dove a contendersi la guida della città saranno il candidato leghista Leonardo Latini, che il 10 giugno aveva ottenuto il 49,2 per cento dei consensi e il candidato del Movimento Cinque Stelle, Thomas De Luca, con il 25 per cento dei consensi.
Ad Avellino si sfideranno Nello Pizza del centrosinistra (42,9 per cento), in netto vantaggio su Vincenzo Ciampi del Movimento Cinque Stelle con il 20,2 per cento.
A Imperia si gioca una partita davvero incerta. Il candidato della lista civica l’ex Ministro Claudio Scajola, 35,3 per cento al primo turno, sfida il candidato del centrodestra e suo ex delfino Luca Lanteri (28,7 per cento). Anche qui il Pd ha lasciato libertà di voto ai propri elettori.
Fin da ora, però, si può dire che ben difficilmente l’esito delle urne avrà effetti sulla tenuta dell’esecutivo. Sono talmente in crisi i partiti di opposizione, che anche un eventuale calo dei Cinque Stelle non inciderebbe sui rapporti di forza tra i due alleati di governo.