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MAGISTERO

L'educazione per far fronte alla crisi

Nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace il Papa sottolinea che l'educazione è l'unica proposta seria per un futuro possibile.

Attualità 20_12_2011
Papa

 

Se si eccettua una stucchevole ripresa della polemica contro le scuole cattoliche da parte de la Repubblica, ha suscitato poche reazioni sulla stampa italiana il Messaggio per la  XLV Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il 1 gennaio 2012, formalmente datato 8 dicembre 2011 e reso pubblico da Benedetto XVI nello scorso weekend.

È un peccato, perché si tratta di un piccolo grande trattato su un tema che sta molto a cuore al Santo Padre, quello dell'educazione, e perché ogni anno con questi messaggi il Papa indica una priorità del suo Magistero. Per il 2011 si trattava della libertà dei cristiani perseguitati in tante parti del mondo. Per il 2012 Benedetto XVI si ripromette di tornare sull'educazione, che è la prima emergenza in un'epoca di crisi e per cui, afferma, esistono un interesse e una domanda dei giovani, com'è stato confermato dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid.

Il Messaggio, che ha per titolo «Educare i giovani alla giustizia e alla pace», esordisce con alcune considerazioni generali. Indica poi cinque soggetti dell'educazione e quattro contenuti fondamentali del percorso educativo.

Il tempo di Avvento, e le riflessioni da poco concluse sui Salmi nella «scuola della preghiera» che il Pontefice propone ogni mercoledì, sono occasione per partire da una citazione del Salmo 130, dove il Salmista afferma che l’uomo di fede attende il Signore «più che le sentinelle l’aurora» (v. 6). «Tale attesa - commenta il Papa - nasce dall’esperienza del popolo eletto, il quale riconosce di essere educato da Dio a guardare il mondo nella sua verità e a non lasciarsi abbattere dalle tribolazioni».
Le tribolazioni, in effetti, non mancano. Come tutti sanno, «nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno». Eppure «in questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani».

Certo, anche i giovani sono colpiti dalla crisi globale. «Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l’effettiva capacità di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia». Ma nel tempo di crisi, come in ogni tempo, l'unica risposta adeguata alle domande dei giovani è l'educazione.

«L’educazione - scrive il Papa - è l’avventura più affascinante e difficile della vita. Educare – dal latino "educere" – significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso». Ma non chiunque si presenti come educatore lo è davvero. Servono educatori che siano «autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone».

Il Pontefice elenca quindi cinque soggetti dell'educazione. Al primo posto rimane «la famiglia, poiché i genitori sono i primi educatori. La famiglia è cellula originaria della società». È importante riaffermarlo, perché c'è chi lo nega. «Viviamo in un mondo in cui la famiglia, e anche la vita stessa, sono costantemente minacciate e, non di rado, frammentate. Condizioni di lavoro spesso poco armonizzabili con le responsabilità familiari, preoccupazioni per il futuro, ritmi di vita frenetici, migrazioni in cerca di un adeguato sostentamento, se non della semplice sopravvivenza, finiscono per rendere difficile la possibilità di assicurare ai figli uno dei beni più preziosi: la presenza dei genitori; presenza che permetta una sempre più profonda condivisione del cammino, per poter trasmettere quell’esperienza e quelle certezze acquisite con gli anni, che solo con il tempo trascorso insieme si possono comunicare». Rimettere la famiglia al primo posto è dunque il primo compito dell'educazione intesa in senso lato.

Dopo la famiglia viene la scuola, l'ampio mondo «delle istituzioni che hanno compiti educativi: veglino con grande senso di responsabilità affinché la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni circostanza. Abbiano cura che ogni giovane possa scoprire la propria vocazione, accompagnandolo nel far fruttificare i doni che il Signore gli ha accordato. Assicurino alle famiglie che i loro figli possano avere un cammino formativo non in contrasto con la loro coscienza e i loro principi religiosi», il che - ancora - non avviene sempre, come dimostrano i problemi nella Spagna di Zapatero a suo tempo denunciati dallo stesso Pontefice.

Al terzo posto, dopo famiglia e scuola, viene la politica. Il Papa si rivolge con vigore «ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro diritto-dovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato supporto alla maternità e alla paternità. Facciano in modo che a nessuno sia negato l’accesso all’istruzione e che le famiglie possano scegliere liberamente le strutture educative ritenute più idonee per il bene dei propri figli. Si impegnino a favorire il ricongiungimento di quelle famiglie che sono divise dalla necessità di trovare mezzi di sussistenza. Offrano ai giovani un’immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti».

Per il bene e purtroppo spesso anche per il male, quarto soggetto dell'educazione è «il mondo dei media». «Nell’odierna società, i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo particolare: non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole all’educazione dei giovani. È importante tenere presente che il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo: l’educazione avviene infatti per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona».
Infine, il quinto soggetto dell'educazione sono i giovani stessi, che non subiscono passivamente l'educazione ma con il loro comportamento la influenzano. «Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano. È una grande responsabilità quella che li riguarda: abbiano la forza di fare un uso buono e consapevole della libertà».

Quanto ai contenuti di una vera e integrale educazione, Benedetto XVI li riassume in quattro parole: verità, libertà, giustizia e pace, enumerate in quest'ordine che non è casuale. La verità è al primo posto. «Sant’Agostino [354-430] si domandava: "Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem? – Che cosa desidera l’uomo più fortemente della verità?"». Non è detto che le istituzioni educative di oggi siano d'accordo. Eppure, «il volto umano di una società dipende molto dal contributo dell’educazione a mantenere viva tale insopprimibile domanda». Ma «per educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura». E alla fine una è «la domanda fondamentale da porsi: chi è l’uomo? L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio».  Per quanto esista pure una dignità naturale della persona che anche i non credenti possono apprezzare, in realtà «la prima educazione consiste nell’imparare a riconoscere nell’uomo l’immagine del Creatore», fondamento di ogni verità.
Quello che rileva per la verità vale anche per il secondo fondamentale contenuto dell'educazione, la libertà. «Solo nella relazione con Dio l’uomo comprende anche il significato della propria libertà. Ed è compito dell’educazione quello di formare all’autentica libertà». La vera libertà «non è l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l’assolutismo dell’io. L’uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua libertà. L’uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio. L’autentica libertà non può mai essere raggiunta nell’allontanamento da Lui».

Nell'attuale epoca di crisi ci rendiamo conto che «la libertà è un valore prezioso, ma delicato; può essere fraintesa e usata male». E «oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”».  Nel mondo dominato da un «orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune».
Dunque, «per esercitare la sua libertà, l’uomo deve superare l’orizzonte relativistico e conoscere la verità su se stesso e la verità circa il bene e il male». Educare alla libertà significa far riscoprire una nozione che è stata al centro del viaggio del Papa in Germania, quella della legge naturale. «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso. Per questo, l’esercizio della libertà è intimamente connesso alla legge morale naturale, che ha carattere universale, esprime la dignità di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in ultima analisi, della convivenza giusta e pacifica fra le persone».

La giustizia e la pace sono contenuti essenziali dell'educazione, ma vengono dopo la verità e la libertà. «Il retto uso della libertà è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere. Da tale atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pace e giustizia rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reciproca, la capacità di tessere un dialogo costruttivo, la possibilità del perdono, che tante volte si vorrebbe ottenere ma che si fa fatica a concedere, la carità reciproca, la compassione nei confronti dei più deboli, come pure la disponibilità al sacrificio».
E anche la giustizia perde significato se non la si riferisce ultimamente a Dio. «Nel nostro mondo, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità, del profitto e dell’avere, è importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti». Riassumendo i temi centrali del suo discorso al Parlamento Federale tedesco, il Bundestag, dello scorso 22 settembre, il Papa ha ribadito che «la giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano. È la visione integrale dell’uomo che permette di non cadere in una concezione contrattualistica della giustizia e di aprire anche per essa l’orizzonte della solidarietà e dell’amore».

Come aveva fatto al Bundestag, il Papa ha invitato a diffidare di «certe correnti della cultura moderna, sostenute da principi economici razionalistici e individualisti, [che] hanno alienato il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti, separandolo dalla carità e dalla solidarietà». Il Signore afferma:

«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). «Saranno saziati - commenta il Papa - perché hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con l’intero creato».

Il Messaggio è per la Giornata Mondiale della Pace, e la pace è il quarto dei contenuti fondamentali dell'educazione. Ma anche la parola «pace» si presta oggi a equivoci. La pace «non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza». La pace non può essere perseguita da sola. «La pace è frutto della giustizia ed effetto della carità». Inoltre, «la pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore».

Naturalmente, «la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire». Un'opera - tutto il Messaggio ritorna costantemente su questo punto - cui certamente anche i non credenti possono collaborare, ma che nell'odierna situazione di grave crisi rischia di rivelarsi impossibile se ci si preclude lo sguardo verso Dio. Il Pontefice alla fine del Messaggio, come aveva fatto all'inizio, richiama un Salmo:  «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?» (Sal 121,1). E riafferma «con forza» che «non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?».