L'economia italiana? Non mancano i soldi, ma la fiducia
È giusto sostenere che i trattati europei debbano essere cambiati, ma la situazione di crisi dell'Italia non dipende da questo. Pensare che tutto si risolva con l'immissione di denaro è una forma di idolatria. Quello che manca all'Italia è la fiducia, la speranza, la volontà di rischiare. Oltre a un’amministrazione chiara ed efficiente, un sistema educativo in grado di allineare l’istruzione con le esigenze delle imprese, un fisco capace di stimolare l’innovazione e favorire lo sviluppo.
Una risposta alle critiche per l'articolo sulla "illusione monetaria".
Caro direttore,
il mio ultimo articolo “L’illusione monetaria” (clicca qui) ha suscitato commenti (e proteste) da parte di molti lettori. La maggior parte difende l’ipotesi di pagare i debiti commerciali dello Stato attraverso l’emissione di una moneta parallela (i mini-BoT) con due argomentazioni essenziali. La prima: lo Stato deve riprendere piena sovranità monetaria. La seconda: se si mettono più soldi nel sistema si aiuta a rimettere in moto un’economia in difficoltà come quella italiana.
Due posizioni indubbiamente legittime, ma che rischiano di creare più problemi di quanti ne risolvano.
In primo luogo l’Europa non ci ha tolto nessuna sovranità: l’Italia ha deciso liberamente di partecipare al sistema della moneta unica, sistema che prevede la partecipazione di tutti i componenti, una partecipazione che proprio per il nostro paese è stata al massimo livello con la presidenza della Bce da parte di Mario Draghi. Il sistema della moneta unica è stato peraltro fondamentale, grazie alla riduzione dei tassi di interesse, per rendere sostenibile l’alto debito pubblico italiano. È stato poi importante per ridurre, quasi annullare, i costi per le operazioni commerciali all’interno dell’area con grandi vantaggi per le industrie di esportazione che infatti hanno ottenuto risultati molto lusinghieri negli ultimi anni.
Certamente i trattati europei possono, anzi, devono, essere cambiati. La situazione economica è diversa da quella della fine del secolo scorso. I parametri di Maastricht, che peraltro prevedono già ora una certa flessibilità, possono essere allargati. Ma queste riforme andrebbero compiute di comune accordo perché rispondono ad interessi comuni. Violare le intese sottoscritte, come avverrebbe se l’Italia mettesse in circolazione una moneta parallela, non è il modo migliore per avviare una trattativa. Sarebbe mettersi subito dalla parte del torto.
In secondo luogo non è vero che l’economia italiana è ferma per mancanza di soldi. Se mi permetti una metafora, la macchina non riparte perché è il motore che non gira, non perché il serbatoio è vuoto. Ho scritto e ripeto: quello che manca è la fiducia, la speranza, la volontà di rischiare. Così come mancano un’amministrazione chiara ed efficiente, un sistema educativo in grado di allineare l’istruzione con le esigenze delle imprese, un fisco capace di stimolare l’innovazione e favorire lo sviluppo.
Per stare ai dati economici, ci sono oltre quattromila miliardi di euro di risparmi degli italiani. Un grande patrimonio che potrebbe essere mobilitato per consumi e investimenti se ci fosse maggiore fiducia. Certo, questi capitali non sono equamente divisi, c’è un’ampia povertà che va combattuta, ci sono disuguaglianze che andrebbero superate.
Questi sono i dati economici. Ma al di là di questi continua a sorprendermi come resti forte quell’idolatria del denaro che rende la moneta non uno strumento che aiuta scambi e relazioni (che quindi ha bisogno di chiarezza e di fiducia), ma un idolo capace di determinare l’economia e la società. È questo il nuovo paganesimo a cui accennavo nel mio commento.
Date a Cesare quel che è di Cesare, potremmo dire con il Vangelo. E allora non dobbiamo correre il rischio di far diventare un idolo anche lo Stato.
Già, i gentili interlocutori sottolineano a parole l’esigenza di mettere la persona al centro dell’economia, ma poi non sono conseguenti e chiedono, per esempio, di mettere sotto controllo del Governo, e quindi della maggioranza politica, il denaro e la politica della Banca centrale. Il rischio non è solo quello che il Governo usi la possibilità di stampare moneta per comprare il consenso, i rischi maggiori sono quelli di diventare sudditi e non più cittadini, di annullare ogni principio di sussidiarietà, di passare dalla partecipazione ad una pericolosa dittatura della maggioranza.
La moneta e lo Stato sono troppo importanti per non difenderne le funzioni e le articolazioni. Garantendo anche quel giusto equilibrio tra i poteri che è fondamentale per la democrazia. Con il corretto spazio per le autorità indipendenti di controllo. Le Banche centrali non sono per nulla banche private, ma nei paesi democratici sono autorità indipendenti con statuti che ne garantiscono l’autonomia pur con un forte controllo pubblico sulla loro gestione e sulla nomina dei più alti dirigenti. È un equilibrio difficile e delicato, ma indispensabile.
Se poi vogliamo andare sul concreto sui mini-BoT possiamo ricordare l’esperienza dell’Argentina. Nel 2001 per non rinunciare al cambio fisso tra peso e dollaro, e quindi per evitare una nuova ondata inflazionistica, il Governo di Buenos Aires decise di pagare pensioni e stipendi pubblici con una nuova moneta che venne chiamata Patacon, probabilmente su suggerimento di qualche emigrato di lingua italiana che aveva capito subito si trattava di una vera e propria patacca. Infatti il Governo aveva promesso di riscattarli, ma lo fece dopo qualche anno con i nuovi pesos che valevano molto di meno. E l’economia argentina non ne ha certo avuto beneficio, anzi è entrata ancora più in crisi.
Quindi, per concludere, bisogna tornare a distinguere il valore dai prezzi, la realtà dai desideri, le riforme necessarie da quelle velleitarie. L’unità europea ci ha dato più ricchezza e più dignità. In un mondo sempre più globale l’Italia da sola sarebbe molto meno libera e forte.