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ABORTO

Le vittorie pro-life negli Usa e la resa italiana

Negli Usa settimana scorsa è stata approvata dalla Camera una legge che mira a limitare l'aborto entro la 20° settimana. Il promotore è il repubblicano Trent Franks, che ha evidenziato il fatto che il feto abortito percepisce dolore.

Vita e bioetica 25_06_2013
neonati

Buone nuove dagli USA. Settimana scorsa è stata approvata dalla Camera una proposta di legge che mira a limitare l’aborto entro la 20° settimana. Il titolo della proposta è “Legge per la protezione del bambino non nato in grado di sentire dolore”. Il promotore del testo è il repubblicano Trent Franks, il quale ha giocato la sua partita nell’aula parlamentare facendo perno su un dato scientifico: il feto abortito percepisce il dolore. Nelle audizioni alla Camera tra gli altri esperti ha preso la parola anche la prof.ssa Maureen Condic, neurobiologa dell’università dello Utah, la quale ha spiegato che già all’ottava settimana il feto può sentire dolore. La proposta altresì prevede che il medico abbia l’obbligo di informare la madre che il figlio soffrirà durante l’operazione. Negli States il termine temporale per abortire varia da stato per stato. Si va dalla sesta settimana alla 24°. La maggior parte degli stati permette l’aborto entro la dodicesima settimana. Il limite massimo è stato stabilito dalla sentenza Roe vs Wade e attiene alla viabilità del feto, cioè alla possibilità che il nascituro possa vivere autonomamente al di fuori del corpo della madre.

Il testo dell’onorevole Franks è passato alla Camera perché a maggioranza repubblicana, ma verrà di certo bocciato al Senato perché  presidiato dai democratici e perché la Casa Bianca ha già minacciato di porre il veto. Una sconfitta dunque? Marjorie Dannenfelser presidente dell’associazione pro-life “Susan B. Anthony List” non la pensa così e ci tiene a far sapere che questa mezza vittoria “è un evento storico che spiana la strada alla revisione dell’intera legge”.  Dello stesso avviso è lo speaker repubblicano alla Camera John Bohener il quale, rifacendosi alla recente condanna del medico abortista Kermit Gosnell a Philadelphia, così commenta: “Dopo ciò che è successo a Philadelphia la stragrande maggioranza degli americani crede in questa legge”.

Se alla Camera del parlamento nazionale i pro-life hanno potuto solo registrare una vittoria parziale, è stata vittoria piena invece in 14 stati dove in un solo anno ci sono state 32 restrizioni legislative all’accesso alle pratiche abortive. Insomma – come ha sottolineato lo stesso Washington Post – il vento sta cambiando in tema di aborto. Come è stato possibile ottenere simili risultati così importanti? Al di là di motivazioni di carattere politico, giuridico e sociale sicuramente determinanti, forse esiste un’altra motivazione di natura meramente psicologica. I politici pro-life hanno creduto alla possibilità di cambiare le cose.

E da noi? Ammettiamolo, da noi sarebbe impensabile non solo trovare qualche politico che abbia il coraggio di mettere mano alla 194, ma addirittura trovare qualcuno che nel segreto della sua coscienza pensi che sia possibile cambiare la legge sull’aborto. Qui non mancano solo le iniziative politiche pro-life (anzi: non di rado se ne registrano di segno opposto proprio da chi si dichiara cattolico), ma manca addirittura l’intenzione di fare qualcosa di concreto, ad esempio proporre l’abrogazione dell’art. 6 della 194 che permette di abortire dopo il 90° giorno. Già avevamo evidenziato da queste colonne come il politico pro-life soffra della sindrome del “perdente in partenza” (si veda l’articolo “Legge 40, come si fa una guerra”). Ora invece, prendendo spunto da ciò che è successo e sta accadendo in USA, ci pare che accanto a questa sindrome sia spuntata ormai da tempo un'altra patologia che ammorba alcune aree culturali cattoliche. Una patologia che sfianca la determinazione dell’(ex) militante per la vita e che lo porta ad uno stato apatico e rinunciatario. Le disfatte plurime su aborto, divorzio, fecondazione artificiale non solo hanno condotto parlamentari cattolici ed anche alcuni uomini di Chiesa a tirare i remi in barca perché ormai arresi all’idea che “indietro non si torna”, ma addirittura li hanno plagiati nelle coscienze convincendoli che il rifugio contro i pro-choice fossero proprio le leggi su aborto, divorzio e fecondazione artificiale che avrebbero dovuto invece osteggiare. Queste leggi sono quindi diventate una sorta di fortino da presidiare e difendere ad ogni costo per evitare future derive peggiorative dello stato attuale. Una perversione dei fini che ha del paradossale.

E’ dal 1981, anno del referendum sull’aborto, che nessuna azione positiva di carattere legislativo nazionale è stata posta in essere per mutare in modo significativo l’assetto delle cose vigenti (il referendum sulla legge 40 ha “solo” impedito un peggioramento della legge). Va da sé che se sei inerte e ti chiudi nel tuo fortino, gli altri non staranno con le mani in mano e tenteranno di metterti sotto assedio, tagliandoti i viveri, tentando sortite notturne, comprando qualche scontento che non vede l’ora di uscire da quell’assedio e soprattutto martellando senza tregua con l’ariete la porta principale. E così in questi anni abbiamo avuto l’aborto chimico, l’innalzamento del numero di divorzi, l’espansione delle pratiche di fecondazione artificiale e il massacro giurisprudenziale della legge 40. Per tacere delle dense nubi che all’orizzonte avvolgono l’istituto del matrimonio e il fine vita. Se giochi sempre in difesa prima o poi un gol lo subisci.

Paul Cayard, skipper del Moro di Venezia nel ‘92, ad un giornalista che gli chiedeva cosa provasse ad essere secondo nell’America’s Cup e non primo come suo solito, rispose: “Ad essere secondi si rischia di vincere”. Cayard perse, ma almeno ci provò. Ecco, è questo che manca ai politici nostrani rispetto a quelli di oltre Oceano: crederci. Credere che sia possibile portare a casa un buon risultato. D’altronde non si è mai visto un pessimista vincere.