TOPONOMASTICA
Le vie dell'ideologia dividono le città
Un tempo la gente dava i nomi alle strade. Poi dal Risorgimento fino ai comunisti una sfilza di scelte ideologiche. E ancora oggi si litiga.
Attualità
05_08_2011
Leggo su Repubblica del 3 agosto 2011 un bell’articolo sulla toponomastica, stimolato dalla notizia che il municipio di Aberdeen, stato americano di Washington, ha respinto la proposta di intitolare un ponte a Kurt Cobain, il musicista della band dei Nirvana che ha onorato la «maledizione del 27» suicidandosi a 27 anni come altri grandi nomi del rock. I quali sono diventati «icone» proprio per l’epilogo (ultima, Amy Winehouse). Il municipio ha ritenuto, saggiamente, che un tossicodipendente non è l’esempio che si vuole dare ai giovani. In effetti, un bambino che leggesse la targa «Ponte K. Cobain» potrebbe chiedere al papà: chi era? E il papà dovrebbe rispondere, imbarazzato: be’, non era proprio Biancaneve…
Ma non è una novità che la toponomastica sia fonte di litigio. Forse fanno bene i newyorkesi, che hanno le strade solo numerate: Quinta Strada, Quattordicesima, etc. O gli abitanti di Tokio, che non so come facciano a non perdersi senza piantina. L’articolo di Rosalba Castelletti ricorda giustamente che fu la Rivoluzione francese a inventare questa storia di battezzare ex novo strade e piazze. I giacobini rinominarono perfino il calendario e, se la ghigliottina non si fosse rivoltata loro contro, chissà quali altre follie avrebbero escogitato. Non a caso la Rivoluzione francese fu la prima e la madre di tutte le rivoluzioni ideologiche, ognuna delle quali, nella sua foga di creare l’homo novus, si ingegnò di immortalare i propri campioni nel bronzo e nel marmo, onde la memoria delle nuove generazioni fosse ipotecata per sempre. Per sempre? No, in verità fino alla rivoluzione successiva, che si incarica di fare tabula rasa di tutto quanto l’abbia preceduta.
E’ vero, oggi siamo nel post-ideologico e c’è chi ha eretto statue a Manuela Arcuri e anche, in Germania, chi ha intitolato vie a Bud Spencer (il nostro Pederzoli). Ma l’ideologia (anzi, le ideologie) hanno già scombiccherato il panorama fino e ben oltre il ridicolo. Pensiamo alla parigina Place de la Concorde, che ha cambiato nome quattro o cinque volte. O alla via e alla scuola elementare italiane (toscane per l’esattezza) intitolate ad Anton Semenovic Makarenko, pedagogista bolscevico (dei tempi in cui il codice penale russo aveva esteso la pena di morte ai dodicenni). Io ho avuto la ventura di abitare in due città «storiche», Agrigento e Pisa, che il Risorgimento (e il Fascismo) ha riempito di Corsi Vittorio Emanuele e Vie Crispi, Piazze Cavour e Garibaldi. Ma è un mal comune. Chi non ha una Via Mazzini nella sua città? E meno male che, in tempi recenti, qualcuno ha capito che, i turisti, erano intrigati più da una Via Imera o Via Persefone (Agrigento), Via Delle Belle Donne o Via Delle Case Dipinte (Pisa).
Sì, perché un tempo era la gente a dare i nomi alle strade della propria città. E, quando i nomi nascono dal basso, sono sempre azzeccati e davvero istruttivi. Immaginate la scena. Scusi, dove sta il fabbro? Vede quella casa rossa? Tre passi più avanti. O magari si faceva prima a chiedere del Vicolo degli Scudai o della Piazza delle Erbe (indovinate come si faceva a riconoscerla). Da noi è stato il Risorgimento a inaugurare la toponomastica di regime, che stese sulle nostre antiche città d’arte un plumbeo sudario «piemontese», subito rincalzato dall’Era Fascista e immediatamente scalpellato via, quest’ultimo, perfino dai tombini.
Nell’Italia repubblicana i più agguerriti furono, al solito, i comunisti, che fecero intitolare a Togliatti, Lenin, Gramsci anche le gallerie (a proposito, che fare di Corso Unione Sovietica?). Oggi ci si azzuffa per dare anche ad Almirante e Bottai qualche viuzza, e pure i nostalgici di Craxi vorrebbero vedere immortalato su qualche targa il loro beniamino. Mah.
Agogno l’avvento di un tempo in cui le strade e le piazze italiane possano riacquistare gli antichi nomi pre-ideologici, che sono i più democratici di tutti perché nati nel popolo e per il popolo. In attesa di un'alba che forse non vedrò, mi accontenterei di almeno una Via dai Piedi, dedicata ai nipotini di Robespierre.