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FOSCOLO. ASSOLUTO E ILLUSIONI/10

Le tombe, il sacro e il ricordo divino di chi non c'è più

Da quando esiste la civiltà, l’uomo ha sempre riservato un culto particolare alle tombe. La prima parte de I sepolcri vuole comunicare il valore profondamente umano delle tombe. Quella «corrispondenza di amorosi sensi» che si crea tra i vivi e i defunti e attraverso il ricordo, che è dote divina.

Cultura 19_04_2015
Ugo Foscolo

Da quando esiste la civiltà, l’uomo ha sempre riservato un culto particolare alle tombe. Deorum manium iura sancta sunto. Questa frase incipitaria dei Sepolcri, indicata come appartenente al Codice delle XII tavole, in realtà è un antico precetto ricordato da Cicerone nel De legibus. Il richiamo alle prime leggi scritte di Roma, pur se erroneo, ha un valore assai significativo, perché documenta per Foscolo la salvaguardia delle tombe all’interno della legislazione in qualsiasi epoca.

La prima parte de I sepolcri (vv. 1-50) vuole comunicare il valore profondamente umano delle tombe, capaci di conservare il legame tra il vivo e l’estinto. I primi versi del carme si aprono con una domanda retorica che sembra ricalcare la dimostrazione per assurdo di cui ci si avvale nelle discipline scientifiche: «All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne/ Confortate di pianto è forse il sonno/ Della morte men duro? Ove più il Sole/ Per me alla terra non fecondi questa/ Bella d’erbe famiglia e d’animali,/ E quando vaghe di lusinghe innanzi/ A me non danzeran l’ore future,/ […] Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso/ Che distingua le mie dalle infinite/ Ossa che in terra e in mar semina morte?». A che serve un sasso che distingua la mia tomba dalle altre? Nella posizione materialistica che Foscolo sembra sposare in questo carme l’oblio trionfa annullando ogni aspetto della realtà con la sua notte. 

Foscolo si chiede, però, perché l’uomo si debba privare della speranza di vivere nelle tombe attraverso la «corrispondenza di amorosi sensi» che si crea tra i vivi e i defunti e attraverso il ricordo, che è dote divina. Il legame con i cari estinti è pietoso, ovvero improntato alla pietas, cioè a quel rapporto di riverenza che ci unisce a chi percepiamo come superiore a noi, le divinità, i genitori, il nostro dux (comandante). «Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha nell’urna» scrive Foscolo, soltanto chi è morto senza lasciare alcun rapporto affettivo non desidera una tomba e non trova in essa consolazione. Mordace è qui l’accusa a chi pretende di collocare le tombe lontano dagli sguardi pietosi dei cari. Foscolo è in aperta polemica con Napoleone che ha preteso prima di emanare l’Editto di Saint Cloud e poi di estenderlo anche all’Italia. 

In secundis le tombe hanno una funzione anche civile ed educativa. Sono un monumento perenne della grandezza di quei personaggi che hanno compiuto gesta meritorie nei confronti della patria e della civiltà. La vista delle tombe dei grandi sprona tutti noi all’emulazione nel tentativo di lasciare un’impronta imperitura sul suolo umano: «A egregie cose il forte animo accendono/ L'urne de' forti, o Pindemonte, e bella/ E santa fanno al peregrin la terra/ Che le ricetta». In terzo luogo le tombe rivestono una funzione simile a quella dell’arte, una funzione eternatrice, quella di procrastinare il ricordo e la fama del personaggio nel tempo: «E me che i tempi ed il desio d’onore/ Fan per diversa gente ir fuggitivo,/ Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse/ Del mortale pensiero animatrici./ Siedon custodi de’ sepolcri, e quando/ Il tempo con sue fredde ale vi spazza/ Fin le rovine, le Pimplèe fan lieti/ Di lor canto i deserti, e l’armonia/ Vince di mille secoli il silenzio» (vv. 236-245). 

La forza della viva rappresentazione di Foscolo ci permette di immaginare davanti ai nostri occhi l’immagine di un gruppo scultoreo, uno tra quelli che Antonio Canova andava realizzando negli stessi anni: ai piedi delle tombe si trovano le muse (le pimplee) poste a custodia. In una catena di trionfi troviamo dapprima la morte, apparente vincitrice, superata, però, dalla tomba, che a sua volta viene vinta dal tempo. A ottenere il trionfo è, però, l’arte che ha il sopravvento su tutto. L’arte è superiore alle tombe, ma come esse ha la stessa funzione di superare la morte, l’oblio e la dimenticanza. Certo, è qui assente la dimensione cristiana dei cimiteri come dormitori, come ben sottolinea il significato del termine latino coemeterium, ovvero «luogo di riposo» per i corpi in attesa della resurrezione che avverrà dopo il giudizio universale.

Nella digressione collocata in posizione centrale nel carme (vv. 104-150) Foscolo offre un'esemplificazione di diverse tipologie di tombe secondo una prospettiva diacronica e diatopica. I cimiteri nella storia sono disposti a chiasmo: aprono e chiudono la sezione le tombe medioevali e quelle dell’Italia contemporanea a Foscolo, per le quali il poeta esprime un giudizio fortemente negativo, mentre al centro sono collocate come oggetto di meraviglia e di contemplazione le tombe classiche e quelle inglesi, emblema di civiltà vive e che hanno saputo o sanno ancor tributare la giusta importanza al culto dei defunti. 

Nella rappresentazione della tomba medioevale domina il pregiudizio illuministico (che è proprio anche di un Foscolo che si è formato alla scuola del pensiero settecentesco) secondo il quale il Medioevo sia epoca buia, di ignoranza e di superstizione: le tombe per Foscolo sono collocate sempre in chiesa, dove la puzza dei cadaveri si mescola all’incenso delle celebrazioni e le tombe sono collocate come pavimento del luogo di culto. Noi sappiamo bene che nella chiesa medioevale si trovavano talvolta le tombe di quei personaggi che sono stati particolarmente significativi per la storia della città. Vescovi o santi o signori o personaggi particolarmente benemeriti nei confronti della città potevano trovare una collocazione nelle cappelle laterali o nelle tombe collocate nel pavimento della chiesa, non certo perché venissero calpestate, ma perché fossero da esempio per tutti. Foscolo dimostra disprezzo anche per le tombe italiane, sintomo di ostentazione esagerata di ricchezza, laddove le virtù e il desiderio di grandezza sono, invece, tramontati. 

Ben diversa è la considerazione che Foscolo riserva alle tombe classiche, descritte come giardini ornati di cipressi e cedri, impregnati di profumi e allietati dall’ombra, dotati di vasi funebri, disposti per accogliere le «lagrime votive» (come scrive erroneamente Foscolo), e di fontane che riversavano «acque lustrali» per far crescere i fiori. Ben differente è anche il giudizio di Foscolo sui «suburbani avelli» inglesi, più simili a giardini in cui le donne si recano a pregare per la madre morta o a implorare che il prode Orazio Nelson possa ritornare dallo scontro che lo vede contrapposto a Napoleone. Di qualunque tipo sia la tomba, che sia antica o moderna, che appartenga alla tradizione nordica o a quella classico-mediterranea, ha sempre un aspetto sacrale ovvero intoccabile (come documenta il termine latino sacer).