Le stanze di san Giuseppe Calasanzio
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Domani, 25 agosto, ricorre la memoria liturgica del santo spagnolo, fondatore degli Scolopi. Andiamo alla scoperta delle stanze, all’interno del Palazzo De Torres, dove Calasanzio visse per lunghi anni, tra preghiera, apparizioni della Vergine Maria e dedizione a una vera pedagogia.
Il Cinquecento e il Seicento, Roma e i suoi santi: sembrerebbe quasi il titolo perfetto per un libro. Un tema da sviluppare e approfondire: tante immagini, tanti volti, racchiusi in una sola città che nei due secoli citati si estendeva per molti meno chilometri quadrati di oggi. In sintesi: un pullulare di santità racchiusa, in fin dei conti, in uno spazio urbanistico non certo vastissimo. Basterebbe pensare, infatti, a quante figure di santità hanno operato nella Città Eterna, quasi contemporaneamente: san Filippo Neri, san Giuseppe da Copertino, san Camillo de Lellis, san Giovanni Leonardi e tanti, tantissimi altri. E fra questi vi è san Giuseppe Calasanzio (Peralta del Sal, Spagna, 9 agosto 1557 – Roma, 25 agosto 1648), fondatore dei Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie (detti comunemente Scolopi), del quale domani ricorre la memoria liturgica.
Spagnolo d’origine ma romano d’adozione, il Calasanzio. E il suo nome nella città dei pontefici è legato soprattutto a un palazzo: è Palazzo De Torres, situato a pochi metri da una delle più famose e belle piazze romane, Piazza Navona. Nel 1612, dopo aver trasferito per ben tre volte le sue prime Scuole Pie a causa del sempre più crescente numero di studenti, san Giuseppe Calasanzio volle comprare quello che già allora era conosciuto dai romani semplicemente come “Palazzo Torres”. Assieme a questo importante e necessario acquisto ci fu anche la possibilità di utilizzare l’annessa chiesa di San Pantaleo.
All’epoca il palazzo contava, oltre al pianterreno, anche altri due piani. Oggi sono quattro, dopo diversi rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Questo edificio rappresenta di per sé un miracolo del Calasanzio. Perché? Bisogna immaginare che fra le mura del palazzo, durante il soggiorno del santo spagnolo, vi erano alloggiati 1200 alunni. Ma non solo: bisogna aggiungere che molti locali erano adibiti ad aule scolastiche e vi risiedevano circa 60 religiosi. Numeri estremamente elevati per lo spazio a disposizione.
Nel Palazzo Torres vi è un prezioso tesoro, un luogo sacro: la stanza dove morì il santo il 25 agosto 1648. In questo luogo visse 36 anni: dal 1612 al 1648, appunto. Entrare in questa stanza è un’esperienza unica: si avverte, con il cuore e con la mente, la presenza del santo. Sembra quasi vederlo nel redigere il suo fittissimo epistolario di circa cinquemila lettere, prezioso strumento di ricerca per conoscere la sua spiritualità. Colpisce molto il piccolo tavolino in legno con la sua sedia. Sopra la piccola tavola vi sono ancora alcuni timbri che servivano per sigillare le lettere. Se si ascolta col cuore, nel silenzio, si può ancora avvertire il fruscio della penna d’oca vergare il foglio: si può immaginare il santo, chino su quella sedia, intento a leggere, studiare, scrivere parole che segneranno per sempre il grande libro della congregazione da lui fondata. Poi, in un angolo, il suo inginocchiatoio, anch’esso in legno scuro. Anche in questo caso risulta naturale l’immagine: lui, in ginocchio, a pregare il Signore e la Madonna.
È in questa stanza che avvenne una delle più famose apparizioni della Vergine Maria a san Giuseppe Calasanzio. La scena forse più nota e più importante è quella che vede “protagonista” la Madonna dei Monti che gli apparve pochi giorni prima della morte: venne per rassicurare il santo spagnolo, preoccupato per le condizioni in cui versava la congregazione nel suo ultimo tratto di vita terrena. Bisogna ricordare che, secondo molti testimoni al suo processo di canonizzazione, Calasanzio decise di dedicare la propria vita all’educazione dei bambini e dei giovani proprio durante una visita alla Madonna dei Monti, una chiesa romana nell’omonimo rione che sorge a pochi passi dal Colosseo. Entrato in questa chiesa, alla lettura del Salmo 10, «A te il povero è stato commendato, tu sarai l’aiuto dell’orfano», gli nacque nel cuore il desiderio chiaro della propria vocazione pedagogica.
In questa stanza, poi, vi è un particolare: il fregio posto sotto il soffitto che circonda le quattro pareti del locale. Oggi è ben visibile così come era ben evidente quando Calasanzio entrò nella stanza: ma, appena preso dimora presso questa, volle far ricoprire con intonaco bianco il bellissimo e ricchissimo fregio affrescato. La povertà prima di tutto: questo lo spirito francescano del Calasanzio. Solamente in epoca recente si è deciso di riportare alla luce l’affresco. È significativo questo gesto e ci dice molto del santo spagnolo: una stanza spoglia, un luogo che doveva essere ricoperto solamente di studio e preghiera. Non vi era spazio per alcun fregio. E poi, vi è il letto nel quale morì il santo. Piccolo, scarno anch’esso. Una copertina verde scuro lo ricopre: i segni del tempo sono ben evidenti.
La stanza è preceduta da un grande ambiente: una cappella che conserva poco dell’originale in cui san Giuseppe Calasanzio pregava. La cappella è detta “dell’apparizione”: una tradizione non coeva (del 1686) ci dice che la Vergine col Bambino in braccio apparve al santo che stava recitando l’Orazione continua assieme a un gruppo di ragazzi. La Vergine fece il segno di benedizione su tutti: il quadro sopra il piccolo altare immortala la scena. Fu proprio in questa cappella che il 25 marzo 1617 lo stesso Calasanzio consegnò ai primi compagni di viaggio della neonata congregazione l’abito degli Scolopi. Ancora oggi, a distanza di secoli da quei primi 14 religiosi, la congregazione nata per ispirazione del Calasanzio si occupa dell’educazione di tanti bambini e ragazzi: è il loro servizio a Dio, alla Vergine Maria, e ai fratelli.