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Le offese alla dignità del matrimonio - Il testo del video

Adulterio, divorzio, poligamia, incesto e libera unione: sono queste le offese alla dignità del matrimonio. Non c'è alcuna deroga al principio per cui l'atto sessuale può essere consumato solo all'interno del rapporto matrimoniale e al fatto che il matrimonio rato e consumato non si possa mai sciogliere. Cosa significano separazione e privilegio paolino.  

Catechismo 26_02_2023

Oggi concludiamo il capitolo sul Sesto comandamento. Dopo aver parlato delle offese alla castità, del matrimonio e del dono del figlio, il Catechismo ci presenta una quarta sezione, dedicata alle offese alla dignità del matrimonio. Come già visto nei precedenti incontri, il Catechismo adotta una distinzione nei peccati contro il Sesto comandamento, tra quelli più direttamente contro la castità e quelli più direttamente contro il matrimonio. Questo secondo insieme di peccati è trattato nei numeri dal 2380 al 2391.

La prima offesa contro il matrimonio è l’adulterio. Che cos’è un adulterio? L’adulterio è una relazione sessuale tra due persone, di cui almeno una ha un vincolo matrimoniale. Questa è la differenza con la fornicazione, dove entrambe le persone risultano essere libere.

L’adulterio è proibito, come si può leggere al n. 2380, «in modo assoluto». Quindi, non vi è alcun tipo di eccezione ordinabile al bene in questa materia, cioè l’adulterio è un atto intrinsecamente - dal punto di vista morale - cattivo, malvagio. Nel numero successivo del Catechismo viene spiegato altresì che l’adulterio colpisce la stessa virtù della giustizia: è un’ingiustizia. Per quale ragione? Il Catechismo lo spiega dicendo sostanzialmente che si viene meno agli impegni presi. «Chi lo commette viene meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell'Alleanza che è il vincolo matrimoniale, lede il diritto dell'altro coniuge [perché l’adulterio lede il diritto dell’altro coniuge ad avere una relazione intima, quindi una donazione reciproca ed esclusiva con il proprio coniuge] e attenta all'istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell'unione stabile dei genitori» (CCC 2381).

Dunque, l’adulterio è disordinato sotto diversi aspetti e comporta tutta una serie di gravi conseguenze nell’ampio raggio che abbiamo visto. In questo senso, mai l’adulterio può essere accettabile, mai è ordinabile a un bene. Bisogna fare molta attenzione a quello che, da qualche anno a questa parte, è stato in qualche modo sdoganato, almeno “culturalmente” nel mondo cattolico; è quello che io definisco “l’adulterio stabile”. Da più parti si sente dire che quando si è in presenza di una relazione adultera - adultera per sua natura (cioè commessa da due persone di cui almeno una ha un vincolo matrimoniale) - che sia permanente, che abbia dato origine a dei figli, che sia stabile, non si potrebbe più configurare propriamente come adulterio: non è assolutamente così. L’adulterio ha la natura di cui abbiamo detto e la sua stabilità, sotto certi punti di vista, aggrava il problema, anziché risolverlo. Ci sarà un’altra strada da percorrere nel caso dell’adulterio stabile, cioè della convivenza stabile tra divorziati risposati. In questi casi la via potrebbe non essere quella della separazione, soprattutto quando ci sono in mezzo dei figli ancora da accudire, da crescere, ma potrà e dovrà essere quella dell’astinenza dagli atti propri dei coniugi, in quanto queste due persone non sono realmente coniugi, quindi non possono compiere gli atti propri dei coniugi.

Vediamo poi il divorzio, ai nn. 2382 e seguenti. Il divorzio attenta direttamente all’indissolubilità del matrimonio. Dio ha istituito il matrimonio indissolubile. Il divorzio è la contraddizione da parte dell’uomo della volontà divina sul matrimonio. Questo è direttamente il problema del divorzio. Il Catechismo ricorda che «tra i battezzati “il Matrimonio rato e consumato [qui il Catechismo cita il Codice di diritto canonico al n. 1141] non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte”». Solo la morte è in grado di sciogliere il vincolo.

Facciamo attenzione alle parole utilizzate in questo articolo del Catechismo, perché sono molto precise e vanno pesate. A non poter essere sciolto da nessuna autorità umana - compreso il Papa - è il matrimonio rato e consumato, cioè il matrimonio valido, nel s uo consenso, e compiuto, consumato nell’atto coniugale. Perché? Non è un’invenzione della Chiesa, che semplicemente si rifà al noto passo del Vangelo di Matteo, dove Gesù dice letteralmente: «Non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mt 19,6). Cioè, l’uomo non può dividere quello che Dio ha congiunto, ossia i due - uomo e donna – che, uniti in matrimonio, hanno formato una sola carne.

Invece, la Chiesa - il Papa direttamente - ha autorità per sciogliere un matrimonio cosiddetto rato e non consumato, cioè un matrimonio valido nel suo consenso, ma che ancora non è stato sigillato nella carne degli sposi attraverso l’atto coniugale. Chiaramente occorrono delle motivazioni gravi, importanti.

L’origine storica della possibilità del Papa di intervenire sul matrimonio rato e non consumato è molto particolare. In epoca medievale il matrimonio spesso poteva essere contratto dai due coniugi che vivevano ancora a distanza, ciascuno nella casa paterna. Solo in un secondo momento i due andavano a vivere nella stessa casa e quindi potevano consumare il matrimonio. Solo che a volte accadeva che in questo lasso di tempo uno dei due aveva deciso di consacrarsi a Dio nella vita religiosa o nella vita sacerdotale. In questa situazione il Papa interveniva per sciogliere il matrimonio. Questo - si badi bene - non ha nulla a che vedere con la nullità; la nullità significa che il matrimonio non è mai stato celebrato realmente, perché ci sono dei difetti che, nonostante l’apparenza, rendono il matrimonio nullo, mai realmente posto in essere.

Per il matrimonio rato e non consumato, invece, parliamo di un consenso valido, ma in casi speciali - abbiamo visto qual è l’origine storica - è possibile per il Papa intervenire. Da qui sono subentrate anche altre casistiche, in cui appunto nel caso di matrimonio rato e non consumato, per ragioni importanti, gravi, è possibile fare richiesta al Papa, che è l’unico che può sciogliere un matrimonio rato e non consumato. Qual è la ragione di questo? Non è un’eccezione che contraddice il principio, ma la ragione fondamentale sta nel difetto del significato di un matrimonio non consumato. Cosa vuol dire qui “difetto di significato”? Vuol dire che alla parola - che avviene appunto scambiandosi il consenso, le promesse matrimoniali - manca l’aspetto, il segno nella carne, manca l’incarnazione di questo consenso, che avviene appunto nell’atto coniugale. È molto importante questo, perché è un parallelo diretto con l’Incarnazione.

Infatti, l’Incarnazione adempie la promessa che Dio ha fatto nei secoli, adempie la promessa del matrimonio, dello sposalizio del Figlio di Dio con la Sua Chiesa; e l’adempie nella carne. È chiaro che il matrimonio, essendo il segno di questa unione tra Cristo e la Chiesa, conosce l’aspetto del consenso e conosce l’aspetto dell’incarnazione di questo consenso. Nel momento in cui viene meno l’aspetto dell’incarnazione del consenso, cioè nella carne, il vincolo - in casi particolari - può essere sciolto, esclusivamente dall’autorità del pontefice.

Diverso è il concetto del privilegio paolino. Che cos’è? Il privilegio paolino è la possibilità, da parte della Chiesa, di intervenire a sciogliere un matrimonio tra infedeli, non battezzati, e di farlo in favor fidei, cioè in favore della fede del coniuge che sceglie di essere battezzato. L’indissolubilità, nel matrimonio tra non battezzati, esiste ma non è assoluta. Perché no? Perché manca il legame e il riferimento a Cristo, che avviene nel Battesimo, con la nostra incorporazione a Cristo mediante esso. Mancando questo riferimento, è possibile scioglierlo (il matrimonio tra infedeli) per una ragione più forte del legame naturale, dell’indissolubilità naturale. Qual è questa ragione più forte? Appunto la fede. In altre parole, abbiamo una parte che si vuole battezzare; l’altro coniuge, invece, non volendo battezzarsi, non è in grado di garantire il bene della controparte che si battezza e della prole. Se il fatto di non essere battezzato diventa un impedimento affinché l’altro possa vivere la propria fede, allora in questo caso si può dare uno scioglimento, per l’appunto il privilegio paolino. Ovviamente c’è tutto un processo che deve essere fatto, deve essere chiamata la controparte, ecc. Questo per dire che nel privilegio paolino non si tratta della possibilità di sciogliere un matrimonio sacramentale, rato e consumato; il matrimonio rato e consumato, sacramentale, non è scioglibile da nessuna autorità umana.

Poi abbiamo invece il caso della separazione. C’è un diritto e dovere dei coniugi di conservare la convivenza coniugale, di vivere sotto lo stesso tetto e di avere ovviamente rapporti maritali. Questa convivenza può essere sciolta dalla parte che subisce l’adulterio, oppure quando l’altra parte compromette gravemente il bene fisico-spirituale del coniuge o della prole. Allora, in questi casi, la parte lesa può chiedere all’Ordinario di separarsi, cioè di non vivere più sotto lo stesso tetto. O può anche farlo senza chiedere il consenso dell’Ordinario, in caso di pericolo, urgenza (come un’aggressione fisica), purché poi informi il proprio Vescovo, il proprio Ordinario.

Ora, la separazione non è uno scioglimento del vincolo; indica una situazione particolare, per cui i due non possono più vivere sotto lo stesso tetto. Ma chiaramente la separazione, non sciogliendo il vincolo, non dà la possibilità a nessuno dei due coniugi di unirsi in un altro matrimonio, in atti maritali con persone che non siano il proprio coniuge.

Dunque, il divorzio è diverso dalla separazione, cioè il divorzio è una pretesa di sciogliere il patto, il vincolo, ossia di sciogliere quello che si è contratto con il matrimonio. Il divorzio può essere aggravato dal contrarre un nuovo vincolo, come dice il Catechismo al n. 2384, perché in questo caso il coniuge risposato si trova «in una condizione di adulterio pubblico e permanente» (CCC 2384). Il numero successivo, il 2385, elenca i danni, i problemi che nascono dal divorzio; danni che riguardano prima di tutto la famiglia e, poi, la società intera. «Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale» (CCC 2385).

Potremmo dire che non c’è bisogno del Catechismo: basta aprire gli occhi e vediamo il grave danno del coniuge abbandonato, il quale è poi tentato, a sua volta, di commettere adulterio; vediamo il disastro nei figli, i quali vengono contesi tra i genitori e si ritrovano con figure di riferimento che non sono quelle della coppia stabile, del papà e della mamma; e vediamo l’effetto assolutamente contagioso che il divorzio ha nella società civile, complice una legislazione che sostiene e facilita il divorzio, tant’è vero che ormai è più facile divorziare che espellere un inquilino che non paga un affitto da anni… questa è una piaga terribile e nessuna legge può essere ritenuta legittima in questo senso.

Altre offese alla dignità del matrimonio sono la poligamia, l’incesto e la libera unione. La poligamia chiaramente contraddice la comunione dei coniugi, i quali si donano l’uno all’altra in modo unico ed esclusivo. Dunque, non basta donarsi l’uno all’altra, ma questa donazione deve essere esclusiva, cioè: “Io mi dono a te e solo a te, io ricevo te e solo te”. Questo è il punto fondamentale del matrimonio. Quindi è impossibile, in ogni maniera, legittimare la poligamia, sia se è una poligamia simultanea, cioè la poligamia in senso stretto, sia se è una poligamia, per così dire, diacronica, che si ha con l’adulterio, con nuove unioni, eccetera.

Poi c’è l’incesto. Che cos’è? L’incesto è la relazione intima, sessuale, che si ha tra parenti, tra consanguinei o tra affini. In particolare, il Codice di diritto canonico, ai nn. 1091 e 1092, specifica cosa bisogna intendere per consanguinei e affini, con i quali appunto è vietato un rapporto di tipo maritale. In linea retta, ciò è vietato tra tutti gli ascendenti e tutti i discendenti, dunque con genitori, nonni, ecc. (in linea retta ascendente), e con figli, nipoti, ecc. (in linea retta discendente). In linea retta, qualsiasi tipo di rapporto sessuale è assolutamente proibito, è incesto. Invece, in linea collaterale, il rapporto sessuale è proibito sempre tra fratelli e sorelle ed è proibito in generale tra primi cugini; dico in generale perché, a volte, c’è dispensa tra primi cugini (mai tra fratelli e sorelle). Tra gli affini (anche qui con possibile dispensa per ragioni molto gravi) è proibito il rapporto sessuale tra tutti i gradi nella linea diretta; quali sono i gradi diretti tra gli affini? Sostanzialmente, il suocero e la suocera, il genero e la nuora.

Infine, al n. 2390 del Catechismo, è trattata la cosiddetta libera unione, cioè tutte quelle forme che implicano intimità sessuale, relazioni di tipo sessuale, che non hanno una forma giuridica o, se vogliamo, forme di relazione sessuale al di fuori del matrimonio, stabili, cioè appunto che implicano in qualche modo un’unione. Leggiamo il n. 2390 sulla libera unione: «L'espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. Tutte queste situazioni costituiscono un'offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l'idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà». Perché chiaramente queste forme implicano un vivere more uxorio, come se fosse un matrimonio, ma al di fuori del matrimonio, senza un vincolo matrimoniale. E, aggiunge il Catechismo, queste forme «sono contrarie alla legge morale: l'atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale».  La dottrina della Chiesa è molto chiara al riguardo. Tutto questo a motivo del significato proprio dell’atto sessuale, che implica una comunione di vita e una donazione reciproca stabile e, per i battezzati, elevata alla dimensione sacramentale.

Al di fuori di questo contesto, con il significato altresì di apertura alla vita e dunque al diritto del nascituro di nascere all’interno del matrimonio, qualsiasi atto sessuale è sempre un peccato grave. E, aggiunge il Catechismo, «esclude dalla comunione sacramentale». È impossibile, non ci sono eccezioni al riguardo. Questo bisogna sempre tenerlo presente, chiarirlo. Non si tratta di un atto, come si dice oggi, di esclusione, di discriminazione: è invece un atto medicinale, perché, da un lato, ricevere la Comunione eucaristica in stato di peccato grave è, come dice san Paolo, mangiare e bere la propria condanna. Questo vale sempre, per qualsiasi peccato grave.

Ma in più c’è la questione del segno: la Comunione sacramentale è una comunione nuziale con il Corpo di Cristo nella Chiesa; chiunque viva nella propria carne una contraddizione, una relazione sessuale al di fuori del matrimonio, rompe nel segno della propria carne quello che poi pretende di ricevere nella Comunione eucaristica. Quindi, l’ipotesi di eccettuare alcune situazioni, a cascata, chiaramente tirerebbe giù tutto, perché il senso profondo è questo, non è dunque possibile un’eccezione. Bisogna assolutamente che la Chiesa tenga fermo questo principio, non perché non stimi, rifiuti, disprezzi la sessualità umana, ma esattamente per la ragione contraria, perché riconosce il valore della sessualità, integrata nella personalità e vissuta come segno sacramentale dell’unione di Cristo con la Sua Chiesa. La Chiesa non può e non potrà mai derogare a questo.