Le nuove stragi di Israele e il grido dei patriarchi: “Resteremo a Gaza”
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Nuove stragi di civili negli ultimi due giorni ad opera delle forze armate israeliane. Il cardinale Pizzaballa e il greco-ortodosso Teofilo III annunciano che sacerdoti e suore rimarranno a Gaza per aiutare la popolazione. Nuove proteste contro il governo Netanyahu. Incursioni delle Idf anche a Ramallah, sede dell’Anp.
- I cristiani nella “nuova Siria”, di Elisa Gestri

È il solito cliché collaudato, al quale però nessuno più abbocca. Ogni qualvolta l’esercito israeliano compie una strage, il primo ministro Benjamin Netanyahu prima si scusa, precisando che si tratta di un errore umano, uno sbaglio nel programmare il lancio da parte di un soldato; poi, attraverso il portavoce dell’esercito annuncia l’avvio di «un’inchiesta approfondita» per verificare quanto è realmente accaduto. Il solito canovaccio che è andato in scena anche nei mesi scorsi, quando un cecchino delle forze armate israeliane (Idf, nell’acronimo inglese) ha ucciso due donne, madre e figlia, all’interno della parrocchia cattolica della Sacra Famiglia di Gaza; e in un secondo episodio, più recente, quando l’artiglieria ha colpito sempre la chiesa latina della Striscia.
Così è stato anche per la strage compiuta lo scorso lunedì mattina, 25 agosto, quando da un carrarmato, su segnalazione (da parte di un drone) della presenza di una telecamera, è partito uno sparo che ha ucciso un operatore televisivo che stava riprendendo le azioni militari israeliane durante il massacro al Nasser Hospital, uno degli ultimi ospedali ancora funzionanti di Khan Younis. Un secondo colpo ha fatto il resto, ammazzando quanti erano sopraggiunti per prestare soccorso: venti persone le vittime, tra cui cinque giornalisti che si trovavano all’interno del nosocomio. Il tutto sotto l’occhio di una telecamera che ha registrato e immortalato la strage. Un’azione che, tra i militari, è chiamata “doppio colpo”. Prima si centra l’obiettivo, poco dopo si colpisce nuovamente il bersaglio in modo da uccidere più persone. Una tattica che l’esercito israeliano sta applicando nella Striscia in modo da assicurarsi che le vittime non rimangano vive. Una condotta militare giudicata illegale dal codice internazionale, ma, purtroppo, utilizzata sia dagli Stati Uniti che dai russi. Secondo una prima indagine condotta dalle Idf e fatta trapelare ieri nel tardo pomeriggio, sembrerebbe che tra le venti vittime, oltre ai cinque giornalisti, ci fossero anche dei terroristi di Hamas. Tuttavia, il generale Eyal Zamir, capo di Stato Maggiore, non ha rilasciato nessuna dichiarazione.
Nel frattempo, ieri mattina un’altra strage. È stata uccisa un’intera famiglia. L’incursione è avvenuta a Mawasi al-Qarara, a nord di Khan Younis. Cinque le vittime: padre, madre e tre bambini. Anche a Jabalia, nel nord della Striscia, una persona è stata ammazzata e molte altre sono rimaste gravemente ferite. Il ministro della Sanità della Striscia, attraverso il canale Telegram, ha reso noto che sono state oltre settanta le persone uccise e 370 quelle rimaste ferite nelle ultime ventiquattro ore, rispetto al momento in cui scriviamo. Il bilancio include 17 persone assassinate mentre aspettavano gli aiuti umanitari. Dal 7 ottobre 2023 (giorno del massacro ad opera di Hamas), secondo le autorità sanitarie di Gaza, l’esercito israeliano ha ucciso 62.819 palestinesi e provocato il ferimento di altre 158.629 persone.
La situazione in quel lembo di terra sta diventando, di giorno in giorno, sempre più drammatica. Non c’è cibo, né medicinali. La gente muore quotidianamente sotto le bombe, ma anche per fame o per mancanza di cure. Non vi è più un rifugio sicuro. Odio e disperazione dilagano. Anche la piccola comunità cristiana vive alla giornata, ma è determinata a non abbandonare i locali della parrocchia, dove è ospitata da oltre due anni. Ci sono anche anziani, disabili e bambini. Davanti ad una realtà così disumana, la diplomazia non alza la voce. Solo semplici e sterili appelli che rimangono inascoltati.
«Spero che tutta la comunità internazionale, in modo particolare gli Stati Uniti, faccia pressione per ottenere un compromesso. Una pace perfetta non esiste, ma bisogna arrivare a qualcosa di accettabile», ha recentemente dichiarato Pierbattista Pizzaballa, il patriarca di Gerusalemme dei Latini. E lo stesso cardinale, in riferimento alla presenza cristiana a Gaza, in un comunicato congiunto con il patriarca dei greco-ortodossi, Teofilo III, afferma: «I sacerdoti e le suore hanno deciso di rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che sono ospitati nelle strutture ecclesiali». Del resto, lasciare la parrocchia e cercare di fuggire verso sud sarebbe una condanna a morte certa. «Non può esserci futuro – aggiungono i due patriarchi – basato sulla prigionia, sullo sfollamento o sulla vendetta. Non c'è motivo di giustificare l’allontanamento di massa deliberato e forzato di civili». E così concludono: «Non sappiamo esattamente cosa accadrà sul campo, non solo per la nostra comunità, ma per l'intera popolazione. Facciamo nostro quanto affermato qualche giorno fa da Papa Leone XIV: “Tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre; e nessuno può costringerli a un esilio forzato”».
Nel frattempo, in tutto Israele aumenta la protesta contro il governo Netanyahu e a sostegno del rilascio degli ostaggi ancora detenuti nella Striscia. La manifestazione di Tel Aviv ha preso il via alle 6.29 di ieri mattina, ora in cui i terroristi di Hamas sferravano un duro attacco a Israele. Per tutta la giornata le strade di molte città e della capitale sono state invase da migliaia e migliaia di manifestanti che volevano essere presenti alla grande protesta che si è conclusa ieri sera in Piazza degli Ostaggi.
In Cisgiordania il clima è sempre più incandescente. Ieri mattina i soldati israeliani sono entrati a Ramallah, sede dell’Autorità nazionale palestinese, prendendo di mira gli uffici del Governatorato, in particolare l’ufficio cambio-valute, confiscando quanto vi hanno trovato e arrestando diversi dipendenti. Durante l’incursione i militari hanno lanciato anche delle granate fumogene all’interno di alcuni negozi dove si erano rifugiati i civili. Bilancio dell’operazione: oltre venti persone sono rimaste ferite. Distrutta anche l’auto di un giornalista. Durante queste prove di occupazione, alcuni cecchini si sono posizionati anche sui tetti. Secondo alcune fonti palestinesi sembrerebbe che l’esercito, contemporaneamente, abbia preso d'assalto alcune strutture a Hebron, chiudendo l'area intorno all’ospedale nel centro della città.