Le monache di Pienza non ci stanno a passare per disobbedienti
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Ancora un "giallo" che riguarda una comunità benedettina femminile, destinataria prima di una visita apostolica e poi costretta per decreto a cambiare i suoi vertici. Le religiose però replicano al comunicato diocesano e impugnano sul piano canonico le misure vaticane. Obbedienza sì, ma non cieca.
Dopo il caso di Ravello, a Pienza c’è un’altra comunità benedettina femminile nell’occhio del ciclone. Questa volta il braccio di ferro si svolge tra la diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, il monastero “Maria Tempio dello Spirito Santo” e il Dicastero vaticano per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica che ha disposto dall’alto di sostituire i vertici della comunità. Ma le monache non ci stanno a passare per disobbedienti e intendono rispondere non solo sul piano mediatico ma soprattutto su quello canonico.
Ancora una volta conviene ricordare la natura sui iuris dei monasteri contemplativi femminili, che hanno una propria autonomia giuridica (ribadita anche dalle norme più recenti, come l’istruzione Cor orans). La comunità di Pienza è costituita da religiose italiane e straniere, con varie provenienze ecclesiali (per esempio il Cammino neocatecumenale), originariamente presenti nel monastero “Santa Maria delle Rose” di Sant’Angelo in Pontano, nel maceratese. Dopo un’esperienza in Olanda, nel 2017 sono state accolte a Pienza dall’allora vescovo mons. Stefano Manetti. Una comunità giovane in tutti i sensi, anche per l’età media delle componenti decisamente più bassa rispetto ad altre realtà costrette a chiudere dall’anagrafe. La diocesi concede loro i locali del seminario e le sostiene anche economicamente (un monastero di nuova fondazione, non dispone infatti di propri beni). Le monache dal canto loro alla vita di preghiera affiancano anche l’ospitalità e il lavoro, come stabilisce la Regola di San Benedetto.
A partire dall’estate del 2022 si verificano alcuni cambiamenti, non sappiamo se e in che misura collegati tra loro. Dopo la nomina a Fiesole di mons. Manetti, a luglio 2022 la diocesi viene unita in persona episcopi a quella di Siena, guidata dal cardinale Paolo Augusto Lojudice. A novembre il monastero di Pienza riceve una visita apostolica, decisa dal dicastero vaticano mesi prima dell’arrivo di Lojudice – come afferma la diocesi. Passata la visita le monache non ne vengono a sapere gli esiti fino al 13 febbraio 2023 quando vengono notificati loro dei decreti del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che dispone la decapitazione e la sostituizione dei vertici e l'ingresso nella Federazione monastica Picena.
Quale sia la colpa delle monache non è dato saperlo. Il comunicato della diocesi (non firmato) apparso in questi giorni si limita a far riferimento alla visita apostolica di novembre, ma senza specificare quali sarebbero le mancanze riscontrate, e lamentando che dopo sei giorni le religiose ancora non si sono adeguate al cambio coatto della badessa. Alcuni passaggi sembrano alludere a moventi economici («si rende presente che non sono autorizzate in alcun modo raccolte di denaro da inviare a conti del monastero o tantomeno intestati a persone fisiche»). «Cause “efficienti” che nemmeno lo stesso Dicastero ha mai menzionato», replica la comunità monastica, che in un suo comunicato del 20 febbraio lamenta la mancata discrezione del comunicato diocesano, di cui peraltro sono venute a conoscenza indirettamente dal web malgrado riguardasse proprio loro. Un testo, a loro avviso, aggravato «dai toni intimidatori» nonché lesivo «dei diritti propri di questa Istituzione ecclesiastica e di ciascuna di noi come consacrate».
Le monache reclamano chiarezza anche riguardo ai decreti vaticani, che oltre a non specificare esattamente le carenze (e neanche la visita apostolica), «recano, infatti, grossolane anomalie e vistose problematicità giuridiche che, anche grazie al supporto di alcuni canonisti, sono state già rilevate ed eccepite nei modi opportuni previsti dal Diritto canonico presso le sedi competenti». In breve, li stanno impugnando e respingono «ogni accusa, anche solo remota, di disubbidienza e resistenza, ai comandi dei legittimi Superiori quando comandano secondo diritto». Sottolineatura (nostra) di non poco conto, tanto più che le religiose ricordano la natura sui iuris del monastero che in quanto tale «dipende esclusivamente dalla Santa Sede». E «ritenendosi gravate da quanto impropriamente affermato e divulgato, diffidano la Diocesi di Montepulciano- Chiusi-Pienza ad astenersi da posizioni, esternazioni ed azioni che trascendano le materie di propria competenza ed esuberino i margini della propria giurisdizione canonica». Obbedienza sì, ma non cieca.
A complicare la situazione concorrono certe grida mediatiche tali da chiedersi se gli articolisti abbiano mai visto un qualsiasi santuario o monastero. Si leggono allarmi giornalistici sull’attività “alberghiera”, ovvero nient’altro che la possibilità di alloggiare in foresteria, altro aspetto praticamente normale, anzi parte integrante dell’ospitalità benedettina (e in generale religiosa), e non ci sarebbe nulla di male a pagare qualcosa per contribuire alle spese – cosa dovremmo dire allora delle case per ferie, diffusissime specialmente nell’Urbe, gestite da ordini religiosi magari nati con tutt’altri scopi? Si “titoleggia” persino sull’uso del web e dei social da parte delle religiose. Eh sì, le claustrali hanno un sito e pure una pagina Facebook (per il vero, poco aggiornata). Semmai al giorno d’oggi la “stranezza” sarebbe trovare un chiostro che non si affacci sul web. E addirittura se ne servirebbero per fare reclutamento servendosi del mezzo virtuale per parlare della bellezza della propria vocazione e proporre un ritiro alle ragazze potenzialmente interessate. Cioè, un ritiro vocazionale, come si usa pressoché in tutti gli ordini religiosi e nei seminari. E come altrimenti? Preferivate forse che regalassero bambole di pezza raffiguranti la monaca di Monza? Sorvoliamo sul “traffico” di candele, rosari e prodotti alimentari – ribadiamo: come fa qualsiasi monastero – perché se la situazione non fosse seria, questi allarmi sul “business della marmellata” farebbero sbellicare dalle risate.
In mancanza di specifici “capi d’accusa” siamo legittimati ad avanzare qualche ipotesi, a partire da come si presentano queste monache e da ciò che raccontano di se stesse. Sono donne moderne, che usano mezzi moderni, ma che non sposano acriticamente la modernità. Pregano secondo la liturgia post-conciliare, ma forse – avanziamo un’ipotesi – quel look così tradizionale concorre a renderle sospette. Aprendo il loro sito si viene sopraffatti da una “ventata” di gregoriano. Vestono interamente l’abito monastico e vivono integralmente la regola benedettina. Nella compostezza della preghiera e nella gioia della quotidianità si comportano da religiose, anzi da “Spose di Dio”, non da operatrici sociali o da opinioniste. E questo è un punto a sfavore nell’attuale clima ecclesiale.