Le IA saccheggiano la rete e tolgono traffico ai siti informativi
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Con l’uso delle sintesi generate dall’Intelligenza Artificiale non si tratta più soltanto di ordinare o indicizzare contenuti, ma di riscriverli e reinterpretarli, trasformandoli in un prodotto che compete direttamente con le fonti originarie e ne riduce la rilevanza agli occhi degli utenti.
L’espansione delle Intelligenze Artificiali generative (GenAI) all’interno dei motori di ricerca e delle grandi piattaforme digitali sta producendo un mutamento profondo nel modo in cui l’informazione viene creata, distribuita e consumata, con conseguenze sempre più evidenti per l’industria editoriale.
Google, Meta e gli altri colossi della Rete stanno trasformando i contenuti giornalistici in materia prima per sistemi automatici che rielaborano, comprimono e restituiscono risposte sintetiche direttamente nelle pagine dei risultati di ricerca. L’utente, digitando una parola chiave, si trova davanti un riassunto confezionato dall’Intelligenza Artificiale che promette di offrire una visione d’insieme immediata, apparentemente sufficiente a soddisfare il bisogno informativo, e spesso accompagnata da un linguaggio neutro e autorevole che rafforza l’idea di affidabilità.
In questo scenario, il clic sugli articoli originali diventa sempre più raro, la visita ai siti dei giornali sempre meno necessaria, e il legame tra lettore e testata si indebolisce fino quasi a dissolversi. Il problema non è solo tecnologico, ma economico e culturale: il traffico è la linfa vitale del modello editoriale digitale, perché alimenta la raccolta pubblicitaria, sostiene le redazioni e rende possibile la costruzione di un rapporto stabile con il pubblico. Quando l’attenzione viene intercettata e trattenuta dalle piattaforme, gli editori vedono erodersi le proprie entrate, mentre il valore del lavoro giornalistico viene assorbito altrove senza un riconoscimento adeguato.
Le Intelligenze Artificiali non producono informazione originale, ma si nutrono di articoli scritti da redazioni che investono tempo, risorse, competenze e responsabilità professionali, assumendosi anche i rischi legali e deontologici legati alla pubblicazione. Quel lavoro viene scomposto e riassemblato in testi brevi e generici che danno al lettore l’illusione di sapere abbastanza, scoraggiando l’approfondimento e riducendo la complessità dei fatti a formule semplificate.
È un meccanismo che, ripetuto su scala globale, genera un trasferimento sistematico di valore dagli editori alle piattaforme, senza un ritorno proporzionato per chi l’informazione l’ha prodotta e verificata. Questa dinamica è resa ancora più controversa dal fatto che le grandi aziende tecnologiche hanno sempre rivendicato il ruolo di semplici intermediari, negando di svolgere funzioni editoriali, pur avendo negli anni influenzato la visibilità delle notizie attraverso algoritmi, regole interne e scelte di moderazione che incidono direttamente sul dibattito pubblico.
Con l’uso delle sintesi generate dall’Intelligenza Artificiale, però, quel confine diventa sempre più labile: non si tratta più soltanto di ordinare o indicizzare contenuti, ma di riscriverli e reinterpretarli, trasformandoli in un prodotto che compete direttamente con le fonti originarie e ne riduce la rilevanza agli occhi degli utenti. Il rischio è un progressivo svuotamento dell’ecosistema informativo, in cui le testate, private delle risorse necessarie, faticano a sostenere il giornalismo di qualità, mentre il pubblico si abitua a contenuti standardizzati, privi di contesto, di pluralità di voci e di approfondimento critico.
In un’epoca segnata dalla disinformazione e dalla polarizzazione, questa tendenza appare particolarmente pericolosa, perché indebolisce uno degli strumenti fondamentali per la comprensione della realtà e per la formazione di un’opinione consapevole. Le normative sul copyright e sull’equo compenso provano a riequilibrare il rapporto, imponendo alle piattaforme di riconoscere economicamente l’uso dei contenuti editoriali, ma gli interventi finora messi in campo appaiono frammentari e insufficienti rispetto alla forza industriale dei giganti digitali, il cui obiettivo principale resta quello di trattenere l’utente all’interno dei propri ecosistemi e di ridurre al minimo la dipendenza da fonti esterne.
Sempre più osservatori parlano di un vero saccheggio dell’informazione: non un furto esplicito, ma un processo di appropriazione sistematica del lavoro altrui, che impoverisce chi produce contenuti e appiattisce l’esperienza informativa degli utenti, rendendola più veloce ma anche più superficiale. Senza un nuovo patto tra tecnologia e giornalismo, fondato sul riconoscimento del valore del lavoro editoriale, sulla trasparenza degli algoritmi e su una remunerazione equa, il rischio è che le sintesi automatiche diventino la norma, erodendo alla base la sostenibilità dell’informazione professionale e, con essa, uno dei pilastri essenziali delle società democratiche.


