Le elezioni in Sicilia possono anche seppellire Renzi
Le elezioni siciliane appaiono decisive soprattutto per il centrosinistra, che attualmente guida la Regione e che, sondaggi alla mano, rischia di arrivare terzo dopo il centrodestra e i Cinque Stelle.
La Sicilia appare sempre più il crocevia dei futuri equilibri politici nazionali. Quello che sta succedendo nell’Isola apre la strada a una nuova definizione della geografia delle coalizioni, con inevitabili riflessi su Roma e sul prossimo voto politico. L’esito del voto regionale siciliano del 5 novembre avrà effetti nazionali, checchè ne dica Matteo Renzi, ora intenzionato a candidarsi al Senato, dopo aver assicurato agli italiani che avrebbe lasciato la politica se non fosse stata abolita l’assemblea di Palazzo Madama e non fosse passato il suo referendum del 4 dicembre scorso.
Le elezioni siciliane appaiono decisive soprattutto per il centrosinistra, che ha attualmente in mano le redini di Palazzo d’Orleans e che, sondaggi alla mano, rischia di arrivare terzo dopo il centrodestra e i Cinque Stelle.
Attorno al Rettore dell’Università di Palermo, Micari, si è ricostituita la stessa coalizione che regge attualmente le sorti del governo Gentiloni, grazie al patto tra Pd e Alfano. Quest’ultimo, di fronte all’ostracismo di Meloni e Salvini, ha preferito negoziare con Renzi e accordarsi con lui. L’intesa prevederebbe l’appoggio a Micari nella corsa alla presidenza della Regione Sicilia e un’alleanza organica su base nazionale in vista delle prossime politiche, con la conferma dello sbarramento al 3%, che consentirebbe all’attuale Ministro degli esteri di riportare a Roma un manipolo di fedelissimi. Se però Micari dovesse sfigurare e arrivare terzo dopo Musumeci (candidato del centrodestra) e Cancelleri (Cinque Stelle), sia Renzi che Alfano uscirebbero fortemente ridimensionati e indeboliti nello scacchiere politico nazionale.
Per quanto riguarda il leader centrista, si rincorrono le voci di scissioni nel suo partito già nelle prossime settimane, prima che si aprano le urne siciliane. Molti suoi fedelissimi conterranei, che vedono come fumo negli occhi l’accordo col Pd, sarebbero pronti ad aderire all’Udc di Cesa o ad altre formazioni centriste alleate con Berlusconi, Meloni e Salvini. Gli alfaniani lombardi con ogni probabilità aderiranno alla cosiddetta “quarta casa” del centrodestra, rappresentata in primo luogo da Stefano Parisi, con Energie per l’Italia.
Ma chi rischia di uscire con le ossa rotte dal voto siciliano è soprattutto Matteo Renzi, che si sente forte dell’accordo con il governatore uscente Crocetta e con lo stesso Alfano. Tuttavia, i sondaggi vedono Micari assai staccato dagli altri due sfidanti. La ragione è semplice. Il Pd è indebolito e lacerato, anche perché Crocetta ha assai deluso. Inoltre, Art.1 e Mdp avranno un loro candidato, Fava, che toglierà voti a Micari, e utilizzeranno la Sicilia per testare il quarto polo a sinistra e per indebolire ulteriormente Renzi. Se il candidato renziano dovesse arrivare terzo, un minuto dopo l’opposizione Pd porrebbe la questione della premiership. Ne avrebbe tutte le ragioni, visto che l’ex sindaco di Firenze, dopo aver perso sonoramente il referendum costituzionale, ha perso anche le amministrative di giugno, tornando ai livelli del Pd di Bersani. Sarebbe già pronto un fronte pro-Gentiloni. Da apripista ha fatto il governatore pugliese Emiliano, auspicando la permanenza a Palazzo Chigi dell’attuale premier, anche nella prossima legislatura. Si sa già, inoltre, che i ministri Padoan e Calenda vedrebbero di buon occhio un’ipotesi del genere e anche Delrio si adeguerebbe, vista la sua amicizia con Castagnetti e con il gruppo di Mattarella, che apprezza e sostiene Gentiloni fin dal suo insediamento. E poi c’è l’asse Orlando-Franceschini, disponibile a dare credito all’attuale Presidente del Consiglio, pur di impedire a Renzi di tornare a Palazzo Chigi. Senza contare i vari Prodi, Veltroni e Letta, che reputano Gentiloni più adatto a ricoprire quel ruolo e più rassicurante per le cancellerie europee e i mercati finanziari.
Perfino Berlusconi non perde occasione per esprimere apprezzamento verso l’attuale premier, candidandolo alla guida di un governo di larghe intese qualora dalle urne di primavera non uscissero indicazioni chiare e vincitori netti. Dunque l’unica possibilità rimasta a Renzi per prendersi la rivincita e ridiventare Presidente del Consiglio è quella di vincere le elezioni in Sicilia e arrivare primo alle politiche dell’anno prossimo. Solo in quel caso il Quirinale gli affiderebbe l’incarico di formare l’esecutivo post-voto. Più di qualcuno del giglio magico suggerisce al segretario del Pd di giocare d’anticipo rinunciando alla candidatura a premier e investendo fin da ora sulla riconferma di Gentiloni. Probabilmente questo passo diventerà inevitabile per lui in caso di sconfitta in Sicilia. Fino ad allora tenterà di ritornare in auge in prima persona.
Nel centrodestra Berlusconi spera nella riabilitazione da Strasburgo prima delle prossime politiche e i suoi legali meditano addirittura un colpo a sorpresa: una sua candidatura al Senato con riserva, in attesa del verdetto europeo e della riabilitazione penale che potrebbe arrivare nel 2018 da parte dei giudici italiani. Ma l’eventuale vittoria di Musumeci in Sicilia rafforzerebbe l’asse Meloni-Salvini e autorizzerebbe quest’ultimo a rivendicare la leadership del centrodestra. Dunque, anche in questo schieramento ci sono lavori in corso dagli esiti imprevedibili.