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IL CASO

Le bugie sulle unioni gay hanno le gambe di Repubbica

Se qualcuno ancora si domandava quale fosse l’organo ufficiale del Partito Democratico da ieri ha una certezza: si tratta de la Repubblica. E se qualcuno si domandava se mai Matteo Renzi avesse un superiore diretto, e chi fosse costui, a questo punto non può più avere dubbi: si tratta del direttore Mario Calabresi.

Editoriali 19_02_2016
La prima pagina di Repubblica

Se qualcuno ancora si domandava quale fosse l’organo ufficiale del Partito Democratico da ieri ha una certezza: si tratta de la Repubblica. E se qualcuno si domandava se mai Matteo Renzi avesse un superiore diretto, e chi fosse costui, a questo punto non può più avere dubbi: si tratta di Mario Calabresi. Vedere per credere l’editoriale di ieri del direttore de la Repubblica che con queste parole quasi pontificali concludeva il suo commento sul rinvio del voto sul ddl Cirinnà: «Ora non resta che fare con serietà e chiarezza ciò che andava fatto molto tempo fa: un confronto serrato all’interno del Pd e della maggioranza per decidere una linea (…) e per portarla avanti e fino in fondo con coraggio. Mettendoci la faccia». Verrebbe da aggiungere un amen se la cosa non fosse evidentemente inopportuna.

L’editoriale si apriva con la rievocazione di un triste episodio che sarà anche vero, ma al quale veniva dato un valore generale e simbolico tutto da dimostrare. Nel 2011 a Rossana Podestà, «compagna di vita da oltre trent’anni di Walter Bonatti», sarebbe stato impedito «di entrare nel reparto di rianimazione dell’ospedale romano dove il grande alpinista stava morendo». Per quale motivo? «Perché non erano sposati». Se è vero, ed è vero fino a prova contraria, si trattò di un abuso. Tale diritto è già riconosciuto ai conviventi. Non c’è bisogno per questo della legge Cirinnà.  Calabresi prosegue invece lamentando l’occasione, che il Senato ha sin qui perduto, di «approvare una legge che dovrebbe finalmente mettere l’amore di una coppia al riparo dalla cecità delle burocrazie e dalle discriminazioni» e via di questo passo. 

Continua spezzando una lancia per l’unione civile secondo Monica Cirinnà, che in effetti è un matrimonio mascherato, come non tarda a capire chiunque legga il Capo I del suo disegno di legge. Non sono tanto gli interessi sociali e patrimoniali di queste coppie che il nuovo provvedimento vuole tutelare. Non ce n’è bisogno dal momento che sono già quasi tutti tutelati da norme già vigenti, delle quali si potrebbero in altro modo colmare le lacune. Ciò che interessa è disarticolare la famiglia, così come viene riconosciuta nella Costituzione all’art. 29, facendo un sol fascio di essa e di altri due istituti pseudo-familiari, il matrimonio omossessuale e l’unione more uxorio, oggetto del Capo II del ddl; di quest’ultima non si parla mai, ma che è forse qualcosa di ancor più distruttivo. 

In un Paese infatti come il nostro, dove vigono sia il matrimonio civile sia il divorzio, l’unione more uxorio è un scelta culturale. É la scelta di intendere la convivenza coniugale come un fatto esclusivamente privato rifiutando ogni responsabilità civile e sociale che ne derivi; rifiutando ogni dovere che ne possa conseguire al di fuori e al di là del rapporto di coppia. Si può fare, ma poi si dovrebbe anche il buon gusto di tirarne tutte le conseguenze. Uno può scegliere di essere anarchico, ma poi non può pretendere di farsi dare dal prefetto un certificato di anarchia e grazie a esso di acquistare esplosivi con lo sconto.

Rifacendosi invece a luoghi comuni e a salti logici che hanno solo la forza che viene loro dal far parte della vulgata della vera “razza padrona” del nostro Paese -- di cui la Repubblica è la principale ribalta e il più qualificato vivaio -- il direttore dell’influente quotidiano canta le lodi di un ddl che se infine diventasse legge dovrebbe servire a sanare «ritardi storici e a rispondere a cambiamenti profondi delle nostre società». E dimostrando di capire ben poco della realtà del nostro Paese deduce la presunta necessità di dare via libera al disegno di legge Cirinnà dalla pacifica accoglienza di cui godono normalmente nel nostro Paese tanto le coppie conviventi more uxorio quanto le coppie omosessuali (le quali ultime, secondo il più recente censimento, sono comunque poco più di 7500 contro i 14 milioni e mezzo di famiglie secondo natura). 

È vero e ci fa onore, ma che cosa c’entra la pretesa di dare a queste coppie un status matrimoniale? É questo che, senza inveire contro nessuno, hanno affermato le centinaia di migliaia di persone convenute a Roma lo scorso 30 gennaio al Circo Massimo per una manifestazione che era sostanzialmente un gigantesco, pacifico e allegro sit-in. Sarebbe ora di tenerne conto.