TRA LE RIGHE
Le avventure pastorali di Dafni e Cloe
Da un libro che raccoglie tutti i romanzi dell'antichità greca e latina, un racconto che regala deliziose ore si svago fatato.
Tra le righe
05_03_2011
Questo volume che riunisce tutti i romanzi antichi ci fa capire che la narrativa classica non è affatto ammuffita. I Greci non avevano un termine equivalente a “romanzo”, ma le opere dei cosiddetti Big five, i cinque autori giuntici per intero (Caritone di Afrodisia, Senofonte Efesio, Achille Tazio, Longo Sofista, Eliodoro), sono qualificabili come tali, “narrativa di consumo” di livello medio-alto, d’età ellenistico-imperiale, epoca che ha ancora molto da dire, perché l’Ellenismo è categoria storica e più ancora dello spirito. Argomento dei Big five è l’amore, sempre idealizzato e coronato dal lieto fine.
I romanzi greci erano colto intrattenimento di un’era in cui la religione tradizionale era in crisi, il Cristianesimo non si era ancora affermato univocamente, e vigeva l’idea che solo la Sorte dominasse il mondo: in essi, infatti, la Sorte scombina le carte, ma alla fine, con evidente compensazione dell’incertezza e, spesso, della durezza e ingiustizia della vita reale, i protagonisti si trovano riuniti e felici. La zuccherosità di certi passaggi, che fece in altri tempi parlare di “stucchevoli pastorellerie”(!), come l’ambientazione naturale dei racconti e la semplicità dei protagonisti, è pensata per lettori cittadini e sofisticati; e la pretesa ingenuità di questi racconti s’alterna a sapienti malizie, come in ogni storia d’amore che si rispetti.
È assodato che l’origine del romanzo sia poligenetica, irriducibile cioè a un solo nucleo, né alla cultura retorico-scolastica della Seconda Sofistica (Rhode), né alla ritualità misterico-esoterica (Merkelbach); su tutto prevale il piacere affabulatorio della mescolanza di spunti narrativi: il romanzo, come oggi, era già allora una forma aperta che consentiva dotte allusioni. Il mondo latino, da parte sua, non era da meno: ma la narrativa erotico-avventurosa diffusa a Roma con la fabula Milesia aveva in sé anche i germi della ghost-story, come testimoniano le novelle del Satyricon popolate di licantropi e streghe.
Sicuramente il romanzo latino tocca vertici di complessità letteraria sconosciuti a quello greco; ma quanto a moralità dei temi, siamo molto lontani dalle tenui trame intrise di virtù e buoni sentimenti che impregneranno i successivi narratori greci. I romanzi latini grondano di risvolti misterici ed esoterici, come il culto di Iside in Apuleio, o sono testimoni inquietanti non tanto di immoralità, quanto di amoralità totale, come lo sfuggente Petronio; e, in generale, la tematica erotica viene nelle opere latine esplorata senza che l’autore censuri alcun particolare scabroso.
Invece, nel romanzo greco, le trame amorose sono all’insegna di vicissitudini che non spengono gli affetti, che premiano la virtù, in cui la castità viene sempre conservata in funzione del lieto fine immancabile, coronato dal matrimonio dei due innamorati, nonostante non manchino, nel corso del racconto, sequenze di turbamento amoroso, come in ogni romanzo rosa di tutti i tempi, del resto.
Un esempio sono Le avventure pastorali di Dafni e Cloe, di Longo Sofista (III sec. d. C), garbato, fine, gentile racconto ambientato a Lesbo, qui nella fresca traduzione di Maria Pia Pattoni, grecista di rara finezza (pp. 660-720). Il racconto dimostra un sicuro mestiere e tratteggia un paesaggio e un gruppo di personaggi a loro modo perfetti e destinati a ispirare la narrativa e la poesia arcadica europea, da Sannazaro a Cervantes sino a Lope De Vega, Rousseau e Bernardin de Saint-Pierre (autore, a fine XVIII secolo, del fortunatissimo Paul et Virginie, detto “il Dafni e Cloe francese”).
Il romanzo di Longo inizia come descrizione d’una magnifica pittura ammirata dal narratore. Protagonisti sono due pastorelli, trovatelli che, fra il verde smagliante dei prati, i boschetti popolati da Ninfe e allietati da musica e canto (elementi-cardine di questa pacifica Arcadia di maniera) crescono sereni scoprendo lentamente il reciproco amore, nella modestia della loro condizione, nella mancanza di invidia contro i ricchi e i potenti, e nell’ignoranza del mondo e dei sentimenti degli adulti (“Tali pene soffriva Cloe, tali parole diceva, cercando il nome di amore”, p. 665); il tutto in un contesto dominato da esempi di probità di schietto stampo romano trapiantato nel mondo greco, come dimostra l’esempio di Fileta, che, da tradizionale innamorato di Amarillide, è ora con lei sposato ed è diventato un patriarca assennato e serio.
Molti sono i pericoli affrontati dai giovani: i pirati portano devastazione e saccheggio, un bovaro rapisce Cloe per abusarne, Dafni stesso viene aggredito e, in un’occasione, il suo autocontrollo messo a dura prova. Ma tutto si risolve per il meglio, sempre la virtù trionfa, riconosciuta nel suo giusto valore, e la castità vince, sino a che, riconosciuti come giovani di nascita libera e ricca famiglia, i due si possono legittimamente sposare. Insomma, un racconto di buoni sentimenti, con qualche sottinteso ammiccante (“Longo è un Ovidio maliziosamente integrato in una società di benpensanti”, secondo R. Di Virgilio), ma che ancora oggi, dopo oltre diciassette secoli, regala deliziose ore di svago fatato.
Giuseppe Zanetto (a cura di)
Il Romanzo antico
Bur Rizzoli, pagine 943, euro 14,50.