Lazzaro e la Luce della vita che vince la morte
La risurrezione di Lazzaro di Caravaggio. Gesù in piedi sovrasta tutti gli astanti disposti fotograficamente in orizzontale e con il braccio destro steso in avanti, l’indice puntato verso Lazzaro, resuscita l’amico. Morte e Vita, come sulla croce di Cristo qui evocata dalla postura del rigido corpo di Lazzaro che, ancora in bilico tra l’una e l’altra, stira gli arti rispondendo con la mano destra al comando di Gesù.
Michelangelo Merisi, La Resurrezione di Lazzaro, Messina – Museo Regionale
«Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo» Gv 11,11
Ancora in fuga. Da Malta, questa volta, dove Michelangelo, pur insignito del titolo di cavaliere di grazia, era stato arrestato in seguito all’ennesimo violento diverbio. La Sicilia lo accolse e la sua fama, come sempre, lo precedette procurandogli diverse commissioni tra cui, nel 1608, quella del ricco mercante genovese Giovanni Battista de' Lazzari che richiese al pittore la pala per la cappella maggiore della chiesa dei Padri Crociferi, detti anche Ministri degli Infermi.
Cominciando da quello relativo al soggetto, che in origine doveva essere una Madonna tra Santi trasformata, poi, in una Resurrezione di Lazzaro per dare lustro al casato del committente o per richiamare, forse, la missione dell’ordine religioso titolare della chiesa, numerosi sono gli aneddoti riguardanti il dipinto caravaggesco. La sua difficile lettura, la dominante scura, la tecnica essenziale, cui si aggiunsero le molteplici ridipinture, in passato ne hanno anche messo in discussione la reale autografia che recenti indagini diagnostiche, invece, confermano inserendo, a pieno titolo, la grande tela tra i capolavori del Merisi.
Oltre tutte queste interessanti diatribe, preme a noi, in questa sede, ammirare la potenza dell’iconografia che Caravaggio adotta per rappresentare uno dei più celebri miracoli evangelici.
L’ambientazione, per cominciare. Discostandosi dal testo sacro, il pittore immagina un luogo chiuso, una catacomba terrosa, i cui unici elementi architettonici sono un pilastro, che corre per tutta l’altezza del dipinto a definire lo spazio, e la pietra tombale, sollevata dal necroforo. Un luogo di morte, dunque, cui rimandano le ossa e il teschio sparsi sul pavimento, in cui, però, entra imperiosa la Vita grazie al gesto autoritario di Cristo.
La Vita, appunto. Gesù in piedi sovrasta tutti gli astanti disposti fotograficamente in orizzontale e con il braccio destro steso in avanti, l’indice puntato verso Lazzaro, resuscita l’amico. Su di lui si china Maria, sua sorella, che a fior di labbra bacia l’amato volto, esprimendo al contempo tutta la tenerezza del suo affetto fraterno mista al comprensibile tremore che il miracolo compiuto sotto i suoi occhi inevitabilmente le suscita.
Morte e Vita, come sulla croce di Cristo qui evocata dalla postura del rigido corpo di Lazzaro che, ancora in bilico tra l’una e l’altra, stira gli arti rispondendo con la mano destra al comando di Gesù. La sua figura è investita da un raggio luminoso che, salvifico, irrompe da sinistra e, scivolando lungo il braccio del Redentore, arriva fino a lui.
E’ in quella direzione che si girano tre dei personaggi qui rappresentati, tra cui riconosciamo il pittore stesso che si ritrae a mani congiunte. Si volgono stupefatti verso la fonte di luce che coglie di sorpresa anche loro, distraendoli dal prodigio cui stanno assistendo e richiamandoli all’origine di tutto, la vera luce del mondo che qui Cristo, l’amico di Lazzaro Marta e Maria, incarna.