L’azione dei demoni (II parte) – Il testo del video
Che cos’è la tentazione? E come si distingue? Il demonio tenta sempre per nuocere: tentare in questo modo è una sua prerogativa. Invece, l’uomo tenta in bene o in male; e Dio tenta, cioè mette alla prova, solo per un maggior bene.
Proseguiamo la nostra riflessione sull’azione dei demoni. La scorsa volta abbiamo visto, dedicandoci alla quæstio 114 della prima parte della Summa Theologiæ, come san Tommaso d’Aquino cerchi di spiegare il problema dell’azione dei demoni sugli uomini, come parallelo negativo dell’azione invece benevola, della custodia e dell’ispirazione degli angeli buoni su di noi. La scorsa volta ci siamo soffermati sull’articolo 1, un articolo importantissimo perché, soprattutto impattando con il nostro contesto culturale, scuote una certa nostra visione delle cose e ci porta con estrema decisione dentro un contesto agonistico: l’uomo, in questa vita, non è stato posto per una piacevole passeggiata o, come dire, una lunga vacanza, ma è stato posto in un contesto di lotta. Nell’uomo, internamente, dopo il peccato originale c’è un disordine molto forte: lo vedremo tra poco quando, commentando sempre l’articolo del Credo “Creatore di tutte le cose visibili e invisibili” e parlando delle creature visibili, parleremo dell’uomo.
Noi, invece, in questo momento ci soffermiamo su quella battaglia di cui parla san Paolo, che non è contro le potenze di questo mondo, ma contro le potenze e gli spiriti dell’aria. Abbiamo visto tutta la questione del combattimento spirituale, contro i demoni.
Oggi ci focalizziamo sull’articolo successivo, il 2, che si intitola: “Se tentare sia proprio del diavolo”. San Tommaso, come d’abitudine, pone come titolo l’argomento dell’articolo usando un condizionale: ai nostri occhi sembrerebbe anche banale “se tentare sia proprio del diavolo”; uno potrebbe dire “assolutamente no”, un altro “è scontato, sì”. San Tommaso dà la sua spiegazione, cercando di far capire che cos’è la tentazione, perché solo se capiamo che cos’è la tentazione possiamo capire se il demonio tenti o no, se sia solo lui a tentare.
Vediamo prima il contesto di questo testo, cioè: che cos’è la tentazione secondo san Tommaso? Che cos’è in generale la tentazione? Intorno a questo sostantivo e al suo corrispondente verbo, “tentare”, si è scatenata una certa polemica per la questione del cambiamento del Padre Nostro, perché alcuni ritenevano che la precedente traduzione non andasse bene, perché “Dio non può tentare, Dio non ci induce nella tentazione”; e così è stato messo “non ci abbandonare”, che in realtà non è congruente né con il calco latino dal greco né col testo greco. Comunque, la cosa importante è capire cosa voglia dire “tentare”. E quindi chiedersi: chi è che tenta?
San Tommaso ci dice molto apertamente che “tentare” vuol dire sperimentare, mettere alla prova per conoscere qualcosa. Lo usiamo anche nel linguaggio comune, no? “Faccio un tentativo”, quindi “tentare” come “fare un tentativo”. Perché si fa un tentativo? Perché si vuole conoscere una certa cosa. Si vuole vedere se una certa cosa funziona, se una certa strada percorsa va bene o no. Quindi, tentare vuol dire principalmente sperimentare qualcosa per avere una conoscenza, per venire a sapere qualche cosa. E dunque, in questo senso, è sinonimo, oltre che di “fare un tentativo”, anche di “provare, mettere alla prova”. Provo un paio di scarpe per sapere se mi vanno bene, se la calzatura è troppo stretta, troppo larga, troppo morbida o rigida. Quindi, in fondo, è un mettere alla prova, provare. Oppure, si può mettere alla prova qualcuno: un esame scolastico, universitario, consiste nel mettere alla prova qualcuno per sapere se una persona è preparata.
Da questa idea generale della tentazione, cioè di sperimentare per conoscere, provare per conoscere, mettere alla prova per conoscere, da questa idea su questo punto possiamo valutare le diverse tentazioni e soprattutto i diversi tentatori. San Tommaso, nel corpo dell’articolo 2, ci dice: «Prendiamo l’uomo: si dice che egli tenta talvolta con l’unico scopo di sapere; ed è per questo che si dice che è un peccato il tentare Dio perché allora l’uomo, come dubitandone, presume di mettere alla prova la potenza di Dio» (I, q. 114, a. 2). Se “tentare” vuol dire mettere alla prova per sapere qualcosa, è chiaro che quando l’uomo mette alla prova Dio, sfida Dio in qualche modo, commette sempre un peccato. Perché? Perché vuole in qualche modo venire a sapere qualche cosa che in realtà già deve conoscere per fede: è quindi un peccato contro Dio perché in fondo è un peccato contro la fede. “Vediamo se Dio è in grado di fare questo, vediamo se Dio può fare quest’altra cosa”: è una tentazione, uno dei grandi peccati di quei capi dei Giudei che erano sotto la Croce, “vediamo se Dio interviene per salvarlo”. Il tentare Dio, il voler mettere alla prova Dio per vedere se veramente è così buono, così sapiente, così onnipotente, così onnisciente, è sempre – ci dice san Tommaso – un peccato. Perché, che Dio sia questo [buono, sapiente, onnipotente, onnisciente], al di là di quello che noi possiamo comprendere di quello che accade, è una verità di fede a cui aderire. E quando il dubbio entra nella fede, entra nel cuore della fede (checché se ne dica oggi con il grande elogio del dubbio), erode la fede; e la fede così non è più tale. La fede è certa precisamente perché non è la conclusione di grandi menti umane, ma è la stessa verità di Dio che ci viene partecipata. Dunque, è più certa di qualunque altra certezza umana, inclusa l’esistenza dell’aria, dell’acqua, del fuoco e della terra.
Sempre relativamente alla tentazione dal versante dell’uomo, cioè l’uomo che tenta, così prosegue san Tommaso: «Altre volte invece l’uomo tenta con lo scopo o di giovare o di nuocere» (ibidem). Quindi, in base al suo scopo, questo suo tentare può essere buono o malvagio. L’uomo che mette alla prova uno sconosciuto, che gli viene a vendere qualche cosa, si chiama prudente, cioè mette alla prova perché vuole capire se quello sconosciuto lo sta fregando o no. Come dicevamo prima, il docente che esamina l’alunno lo mette alla prova per conoscere se sono state acquisite certe competenze, se è stato seguito un certo iter e quindi è un mettere alla prova buono. Ma c’è anche un’altra possibilità, cioè l’uomo può tentare qualcuno, studiare qualcuno, metterlo alla prova per poter carpire un’informazione, una conoscenza su questa persona e poi metterla in difficoltà nella vita, farle accadere qualcosa di negativo, eccetera.
Riassumendo: l’uomo, se mette alla prova Dio, pecca sempre; se mette alla prova un altro uomo, dipende dallo scopo con cui pone questa prova di fronte al proprio fratello.
Invece, san Tommaso ci dice che «il diavolo tenta sempre per nuocere, trascinando al peccato. Ed è appunto tentare in questo modo che è ufficio proprio del diavolo: poiché sebbene talvolta tenti così anche l’uomo, in tal caso quest’ultimo agisce come ministro del diavolo» (ibidem). Cioè, in sostanza, quando parliamo di “tentazione”, in senso più generale, ci riferiamo sempre alla tentazione del diavolo, il quale, in quanto tenta, mette alla prova per conoscere qualcosa. Ma con quale scopo? Con lo scopo di perdere l’anima, con lo scopo di farla cadere nel peccato, con lo scopo di allontanarla da Dio, con lo scopo di far sì che quest’anima possa nuocere a sé stessa e agli altri.
Dunque, la tentazione del demonio è sempre cattiva, malvagia. E san Tommaso, che è molto realistico, ci dice che qualche volta questa tentazione può venire dal demonio direttamente – tramite i pensieri che ci induce –, ma può essere anche mediata da una figura visibile, umana, cioè da un uomo, il quale a sua volta ci tenta per indurci al male. In quest’ultimo caso, ci dice san Tommaso, quest’uomo «agisce come ministro del diavolo», che lo sappia o non lo sappia. Ogni volta che ciascuno di noi tenta il proprio fratello per trascinarlo, magari con sé, a un’azione malvagia o per allontanarlo dal cammino della santità, ecco che agisce, consapevolmente o no, da ministro del demonio, il quale ha sempre un unico scopo quando tenta: farci perdere.
Terza possibilità. «Dio invece tenta per conoscere, ma nel senso in cui si dice che viene a conoscere colui che produce in altri la conoscenza. Così infatti si legge nel Deuteronomio: “Il Signore vostro Dio vi mette alla prova perché sia manifesto se lo amate o no”» (ibidem). Questa frase può sembrare un po’ difficile.
In che senso Dio tenta per conoscere? Nel senso che «produce in altri la conoscenza». In pratica: Dio tenta, nel senso che abbiamo detto prima, Dio mette alla prova. Dunque, chi afferma che Dio non tenta è nell’errore. Bisogna capirsi: Dio non tenta mai, evidentemente, per indurci al male, così come sicuramente il demonio non tenta mai per un bene. E tuttavia, ci dice san Tommaso, Dio tenta «per conoscere». In che senso? Non perché Lui possa conoscere: è chiaro che Dio è onnisciente, non ha bisogno di sperimentare qualcosa per venirne a conoscenza, ma per permettere a colui che viene tentato di venire a conoscenza di qualcosa. E di che cosa viene a conoscenza colui che è sottoposto alla prova, colui che è tentato? È piuttosto chiaro. Prima di tutto, della propria fragilità. Nessuno di noi, prima di essere passato in mezzo alla prova, non alla prova in generale ma la prova di ogni virtù, può dire di avere una virtù o di avanzare in una virtù; e anche dopo deve stare attento per non cadere. Per cui, nella prova tu sperimenti quanto sei fragile. Pensavi di avere delle virtù, pensavi di avere la fortezza, pensavi di essere potente, pensavi di essere temperante, eccetera, e invece ti rendi conto di quanto tu sia fragile. E ancora, nella prova, si sperimenta l’aiuto di Dio. Cioè, l’uomo, nella prova, quando invoca Dio, sperimenta la vicinanza di Dio, sperimenta il supporto, il sostegno di Dio, la Sua premura nel rispondere a modo e tempo debito. Quindi, vediamo che Dio tenta l’uomo per raggiungere questo importantissimo e altissimo scopo.
Nella risposta alla seconda e terza obiezione dell’articolo 2 della quæstio 114, san Tommaso ci spiega che cosa sia in sostanza la tentazione del diavolo verso di noi. Ecco la risposta alla seconda obiezione: «I demoni conoscono ciò che accade esteriormente agli uomini, ma l’intimo stato dell’uomo, per cui alcuni sono più inclini a un vizio che a un altro, lo conosce solo Dio (…). Per questo motivo il diavolo tenta, cercando di esplorare l’intimo stato dell’uomo, per poterlo poi spingere a quel vizio verso cui è più inclinato» (ibidem).
Allora, la tentazione ha tre fasi: la suggestione, la dilettazione e il consenso. Ma c’è una fase previa, che è importantissima ed è quella più aderente al senso letterale del tentare, del mettere alla prova: è la fase di studio. Il demonio studia le sue prede, le loro abitudini. Un po’ come fa ‒ è un parallelo un po’ poliziesco, ma per capirci ‒ un sicario che deve uccidere, per mandato di qualcuno. Che cosa fa il sicario? Si apposta per un po’ di tempo a studiare la sua preda: a che ora esce, a che ora entra, che strada fa, con quale mezzo va, tutta una serie di cose che gli permettono di mettere a punto il suo piano omicida. Il demonio fa qualcosa di analogo, ci studia: studia le nostre abitudini, dove siamo più inclinati, qual è il nostro lato forte e quale il nostro lato debole. Come qualsiasi esercito, che deve confrontarsi e scontrarsi con un altro esercito, non lo va a colpire nel suo lato forte, lo va a colpire nel suo lato più debole. Dunque, bisogna fare molta attenzione, perché molte volte viviamo nella beata illusione che siccome siamo forti su un certo aspetto, siccome siamo preparati su un certo aspetto, allora siamo sicuri: ma il demonio proverà a prenderci da un’altra parte, che è quella verso cui siamo più inclinati.
Nella risposta alla terza obiezione, san Tommaso dice: «Sebbene il demonio non possa esercitare un influsso diretto sulla volontà, (…), può tuttavia esercitarlo sulle potenze inferiori dell’uomo, dalle quali la volontà, pur restando libera, viene però inclinata» (ibidem). Ne abbiamo già parlato: il demonio non può agire direttamente sulla volontà; solo Dio può agire direttamente sulla volontà, pur mantenendola libera. Quello che però il demonio può fare, come ci dice san Tommaso, è agire «sulle potenze inferiori», dalle quali la volontà è condizionata e viene inclinata, viene “strattonata”. Cosa sono queste potenze inferiori? Le passioni sregolate, i sette vizi capitali, con tutte le loro ulteriori suddivisioni. Ognuno di noi ha una o più passioni sregolate che fanno inclinare la volontà da una certa parte, dove il demonio interverrà, soffiando lì.
È interessante vedere ora un po’ cosa accade nelle varie fasi della tentazione, come la suggestione e il consenso. Che cosa accade? Il demonio è capace di agire in qualche modo su due aspetti: 1) la passione; quindi segue questa inclinazione “naturale”, ma che in realtà è innaturale perché quando la passione è sregolata, anche se noi diciamo “è normale, è naturale”, non è naturale, è nella natura decaduta, quindi non è naturale. Per l’uomo è naturale vivere secondo le virtù, sebbene ci appare come uno sforzo tale che ci sembra innaturale, ma perché noi partiamo da una prospettiva rovesciata, che è quella della caduta; 2) il demonio è capace anche di condizionare psicologicamente l’uomo tramite l’immaginazione. Dunque, lavora sulla nostra fantasia e lo fa molto bene, presentando non delle complete falsità, ma delle storpiature: ci mostra una cosa piccola come grande, una cosa grande come piccola; di una cosa cattiva ci mostra l’aspetto buono e noi lo guardiamo senza voler verificare cosa c’è dietro, perché ci va bene così, perché corrisponde alla nostra inclinazione viziosa. Quindi, pensiamo, “perché andare a rovinarci la vita? Perché dietro una cosa che è così bella, piacevole, dilettevole, magari c’è una fregatura?”. Ci va bene così: questo è un po’, in soldoni, quello che noi facciamo tutti i giorni, più volte al giorno, per cose piccole e cose grosse.
A volte, quando la tentazione si fa forte, può esserci un vero e proprio assedio; il demonio riesce a colpire l’immaginazione dell’uomo e lo assedia mettendogli davanti qualche cosa, per esempio facendogli vedere qualche cosa che magari è un problema, ma presentandolo in maniera tale che l’uomo viene poi travolto: ad esempio, viene travolto dalla passione della tristezza, della paura. È come se il demonio dicesse: “Tu sei sensibile su questa cosa, io ora te la ingrandisco così tanto che ti faccio cadere, evidentemente seguendo quella che io ho già studiato come una tua inclinazione”. Per esempio, un temperamento melanconico e nervoso più facilmente verrà spinto verso la paura, l’ansia; mentre l’allegro o il sanguigno più facilmente lo si sposta sulla superficialità, del tipo “lascia perdere, che vuoi che sia”; oppure il collerico, non c’è bisogno neanche di dirlo verso dove viene spinto; il flemmatico viene spinto verso il disinteresse, verso il non prendersi mai le sue responsabilità.
Vediamo dunque come il demonio conosce molto bene i quattro temperamenti classici, mentre noi ci crediamo molto meno; e invece esistono e funzionano; il demonio li studia, per poi mettere a punto la sua azione strategica di tentatore.
In questa logica di mostrare che il bene è male e il male è bene, c’è un testo molto bello di san Gregorio Magno, tratto da una delle sue opere più belle e che ha avuto più fortuna nel Medioevo, cioè il Commento a Giobbe. Citiamo il capitolo 32, al punto 45; dice in premessa san Gregorio Magno: «Ci sono certi vizi che mostrano in sé un’apparenza di virtù, ma in realtà provengono da una fragile malvagità. Infatti la malizia del nostro nemico si maschera così abilmente che spesso agli occhi dell’anima ingannata fa sembrare virtù le colpe, sicché uno quasi si attende premi mentre merita castighi eterni» (Commento a Giobbe, 32). Il vizio mascherato da virtù, il male mascherato da bene. E san Gregorio fa tantissimi esempi; ne vediamo alcuni, che riguardano un eccesso o un difetto. «Spesso, nel punire le colpe si agisce con crudeltà e la si ritiene giustizia. E si attribuisce valore di giusto zelo all’ira eccessiva». Come vediamo, si tratta di correzione, giustizia, cose buone: ma c’è un eccesso che fa diventare crudeltà la correzione; si dice “ma questa è giustizia”, no, è crudeltà. Oppure, «spesso la debolezza permissiva è presa per mansuetudine e pietà. E mentre quaggiù si perdona troppo facilmente i colpevoli, questi vengono crudelmente destinati ai supplizi eterni». Quindi, anche il lasciar correre, quando il colpevole non si è neanche pentito, può sembrare pietà e mansuetudine, e invece no, è un vizio. Oppure, «talvolta la prodigalità è ritenuta misericordia e, se è una colpa conservare ingiustamente le cose, è peggio quando non si teme di sperperare ciò che si è ricevuto» (ibidem). Cioè, la beneficenza è una cosa buona, ma se io sperpero delle cose non è più una cosa buona, anche se poi ai miei occhi mi giustifico dicendo “guarda come sono generoso”. Continua san Gregorio: «Talvolta si ritiene parsimonia l’avarizia. E se è grave colpa non elargire ai bisognosi si crede che sia virtù conservare i beni ricevuti» (ibidem). Dall’altra parte, come vediamo, c’è quello con il “braccino”, che dice “ma io non sono avaro, sono parsimonioso”, e invece è avaro; questa è l’arte del demonio e ce ne sono veramente tanti di esempi in questo bellissimo testo.
Pensiamo a quest’altra accoppiata: «Spesso la pigrizia è ritenuta un modo di custodire la quiete. E mentre è grave colpa non impegnarsi a fare ciò che è giusto, c’è chi pensa di compiere un’azione altamente meritoria per il solo fatto che si astiene dall’azione cattiva» (ibidem); ovvero “io non faccio nulla di male”. Quindi, la pigrizia scambiata per quiete. Però, attenzione, perché c’è anche l’altro versante. Dice san Gregorio Magno: «Spesso l’inquietudine di spirito viene chiamata vigile sollecitudine. E chi non sa stare tranquillo, facendo quel che gli piace crede di aver compiuto una doverosa azione virtuosa» (ibidem). Cioè, da un lato c’è l’essere pigro e dall’altro versante – entrambe queste cose sono esaminate dai Padri dentro l’accidia – c’è la continua inquietudine di spirito, il dover fare, brigare, non aver mai un attimo di quiete, cioè di dedizione a Dio, di contemplazione delle cose, il riposo; e questa viene chiamata «vigile sollecitudine». Ma san Gregorio è come se ci dicesse altro che vigile sollecitudine! Tu fai quello verso cui sei inclinato e dici che sei sollecito, invece no, sei inquieto di spirito.
Il demonio, dopo averci studiato, muove un secondo passo, che è la suggestione. La suggestione è, secondo i Padri antichi, soprattutto Evagrio Pontico, il pensiero che entra. Ma non dobbiamo pensarlo solamente come un pensiero meramente teorico, è un pensiero carico già di un elemento di passione, di inclinazione quasi della volontà. Non è un puro pensiero, ha una sua carica, ma è ancora a livello di suggestione. Ora, questo pensiero che entra può diventare più o meno carico di un aspetto passionale, che poi diventa inclinazione dell’anima, a seconda che si presti o non si presti la dilettazione, la quale non è ancora il consenso, non è ancora “faccio quella cosa”, ma è “com’è bella e interessante questa cosa”. Il diletto è proprio la volontà che dice “questo è interessante, mi piace, lo prendo in considerazione”. Il che è un po’ l’errore di Eva. La suggestione: “Dio vi ha detto che… ma non è vero”. E lei, anziché tagliare subito, e quindi lasciare che la suggestione rimanga tale, apre ad una sorta di diletto, una curiosità non buona, ma morbosa, che fa entrare in qualche modo questa suggestione e la fa già inabitare nella sfera della sua inclinazione affettiva, nel diletto, nel “mi piace, mi interessa”. Finché passa poi al terzo stadio, che è lo scopo della tentazione, ossia il consenso: non solo mi coccolo questa suggestione, ma vi acconsento; la mia volontà dà la sua adesione, che può essere, come ci ha insegnato il Signore, un consenso anche non fattivo ma un consenso di pensiero a qualche cosa. Per ipotesi, prendiamo l’uccisione di un innocente: non ne sono stato neanche il complice, ma l’approvo; qui c’è già il consenso del pensiero.
Quindi, vediamo quanto è ampio e interessante tutto l’ambito della tentazione.
La prossima volta concludiamo questo aspetto innanzitutto per capire come il demonio ottimizzi le tentazioni. Poi andremo avanti con gli articoli 3 e 4 della quæstio 114 e vedremo le altre azioni del demonio diverse dalla tentazione.
L’azione dei demoni – Il testo del video
Alla custodia da parte degli angeli buoni fa da contraltare l’azione degli angeli malvagi: i demoni. La vita dell’uomo in terra è quindi una battaglia. Ma essa avviene dentro un ordine stabilito da Dio, che ci aiuta con la Sua grazia.
La custodia degli angeli – Il testo del video
Ogni uomo, spiega san Tommaso, ha il suo angelo custode dalla nascita. Ma che dire di Cristo: anche Lui ne ha avuto uno? E Adamo nello stato di innocenza? E gli infedeli, compreso l’Anticristo? Vediamo le risposte, con l’Aquinate.
Il ministero degli angeli – Il testo del video
Gli angeli svolgono un ministero, per mandato di Dio. Tutti gli angeli hanno una missione interna, l’illuminazione. Invece alle missioni esterne, tra cui la custodia degli uomini, sono inviati gli ultimi cinque cori.