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REDEMPTORIS MISSIO

L'avventura di scrivere l'enciclica missionaria

La Redemptoris Missio riporta la missione al suo valore primario, annunziare la salvezza in Cristo a tutti i popoli, con tutte le conseguenze positive per l’uomo e la storia umana che ne discendono. "La missione alle genti è ancora agli inizi".

Ecclesia 18_05_2014
San Giovanni Paolo II

Nel settembre 1989, mentre ero a Mondo e Missione a Milano, squilla il telefono: «Sono il segretario del Papa. Guardi la sua agenda: lei è libero il 3 ottobre prossimo?». «Sì, sono libero, perchè?». «Il Papa la invita a un incontro con lui e a pranzo, per discutere della nuova enciclica missionaria che ha programmato».

Così è nata la mia collaborazione alla Redemptoris Missio. Abitavo nella casa generalizia degli Oblati di Maria Immacolata (OMI) col superiore generale padre Marcello Zago. Avevo diversi schemi dell’enciclica e le note preparate da una commissione che aveva interrogato Conferenze episcopali, facoltà teologiche, istituti missionari, altri enti interessati; e alcune pagine di Giovanni Paolo II su cosa intendeva dire.

Così, dal 3 ottobre al 7 dicembre 1989 ho lavorato 12-13-14 ore al giorno alla macchina da scrivere, senza leggere giornali o vedere la Tv. Un lavoro faticoso ma appassionante, una corsa contro il tempo interrotta solo dalla preghiera e da una passeggiata alla sera dopo cena nel parco con padre Zago. Quando finivo di scrivere un capitolo, Zago lo portava in Segreteria di Stato e al Papa; alcuni giorni dopo ricevevo le osservazioni del Papa, scritte a matita o con la biro.

Ci mettevo tanta passione e impegno che il lavoro non mi pesava affatto, anzi quel servizio diretto al Papa e alla missione alle genti mi esaltava: non sono mai riuscito ad andare in missione per fare il giornalista e finalmente il Signore  mi ricompensava. Abbiamo poi convocato padre Domenico Colombo del Pime, specialista di teologia missionaria ed esperto di ecumenismo e di dialogo con le religioni non cristiane: ha dato un contributo notevole.

Consegnata al Papa la prima stesura dell'enciclica il 7 dicembre 1989, sono stato richiamato a Roma un mese per la seconda stesura (marzo 1990) e una ventina di giorni per la terza (luglio 1990): il primo e il secondo testo mandati alle persone ed enti consultati, che mandavano le loro osservazioni, il Papa poi dava direttive per procedere alla seconda e terza stesura del documento. La Redemptoris Missio porta la data del 7 dicembre 1990, XXV dell’ Ad Gentes, ma presentata il 22 gennaio 1991, per dare tempo alle traduzioni e stampa in varie lingue.

Il mio lavoro è stato molto modesto: trascrivere i concetti e le indicazioni del Papa in uno stile facile, immediato e, come mi ha detto Giovanni Paolo II, «giornalistico». Sono rimasti alcuni slogan spesso citati: «La fede si rafforza donandola» (n. 2); «La missione è un problema di fede» (n. 11); «Dio sta preparando una nuova primavera del Vangelo» (n. 86); «Il vero missionario è il santo» (n. 90).

Qualcuno mi ha chiesto: scrivendo l'enciclica, non ci hai messo dentro qualcosa che volevi metterci? Assolutamente no, l'enciclica è di Giovanni e di nessun altro; ma Marcello Zago, Domenico Colombo e io, un certo influsso l'abbiamo avuto, specie nel modo di impostare i problemi e le soluzioni (il Papa aveva un approccio più dottrinale, noi più pragmatico); e qualche volta anche nel proporre di introdurre temi che gli schemi precedenti avevano trattato in tono minore o sottinteso, e il Papa poi conveniva. Ad esempio, nel Capitolo VI su «I responsabili e gli operatori della pastorale missionaria», i numeri 65 e 66 su «Missionari e Istituti Ad Gentes» sono stati proposti da noi e accettati dal Papa. Nello schema precedente i missionari ad gentes erano inglobati fra i religiosi o fra il clero diocesano in missione. Ho ricordato che la Commissione missionaria al Vaticano II ha distinto bene la ventina di Istituti non religiosi e senza altro scopo che le missioni ai non cristiani. Il Capitolo IV dell'Ad Gentes («I missionari») riafferma la «vocazione speciale» alle missioni estere, mettendo in risalto la specificità degli istituti esclusivamente missionari, che era contestata dai religiosi.

Questa esperienza di impegno con la Santa Sede mi ha lasciato ammirato del lavoro che si svolge per anni attorno ad un'enciclica. Poi il documento è opera del Papa perchè decide lui quel che lui vuol dire e come lo vuol dire. Però con la mediazione e il consiglio di molti. È un fatto notevole, di cui credo pochi hanno notizia. Il che indica che l'organizzazione creata per le encicliche, attraverso la Segreteria di Stato e le Nunziature, è incredibilmente attenta e precisa.

     “La missione alle genti è ancora agli inizi” (R.M. 30)     

La Redemptoris Missio è stata giudicata l'enciclica più rappresentativa del pontificato di Giovanni Paolo II,  che con i suoi viaggi, fino agli estremi confini del mondo, dava plasticamente l’idea di essere il Pontefice della Chiesa cattolica, cioè universale, missionaria. Diversi ne hanno lodato lo stile semplice e immediato. Il card.  Godfried Daneels di Bruxelles ha scritto che è «il programma di lavoro per il prossimo millennio». Il cardinal Joseph Tomko, prefetto di Propaganda Fide, aveva ottenuto un'enciclica per il XXV dell'Ad Gentes, l’unico fra i 16 documenti del Vaticano II aggiornato con un'enciclica. L'idea ricorrente a quel tempo era che un'enciclica per le missioni era troppo: non è più il momento di porre in risalto il valore specifico della missione alle genti, poichè tutta la Chiesa è missionaria e tutti i popoli hanno bisogno di missione.

Anche nell’opinione pubblica occidentale (e cattolica) l’enciclica ha avuto uno scarso impatto. Giovanni Paolo II l’ha firmata il 7 dicembre 1990, ma l’enciclica è stata presentata alla stampa il 22 gennaio 1991, quando infuriava la prima “Guerra del Golfo” fra Stati Uniti e Iraq, il conflitto occupava le prime pagine dei giornali e delle Tv. Secondo i primi affrettati commenti, non diceva nulla di nuovo rispetto all’Ad Gentes. Ricordo che anche parecchio tempo dopo, riviste teologiche cattoliche scrivevano che era una rilettura del Decreto conciliare.

E non è vero. Il card. Joseph Tomko, in una cena con me e padre Colombo, diceva che Giovanni Paolo II aveva scelto di scrivere l’enciclica “per chiarire la confusione teologica sorta intorno alla missione alle genti, al dialogo con le religioni non cristiane e al rapporto fra l’annunzio di Cristo e lo sviluppo dell’uomo e dei popoli”. Infatti la Redemptoris Missio sviluppa questi e altri punti, riportando la missione al suo valore primario, annunziare la salvezza in Cristo a tutti i popoli, con tutte le conseguenze positive per l’uomo e la storia umana che ne discendono. Impossibile sintetizzare l’enciclica, un libretto di 82 pagine, in poche battute.

Invito a rileggerla per capire come il Papa polacco andava contro corrente lanciando un messaggio rivoluzionario per le antiche Chiese d’Europa e del Nord America, valido anche oggi. Il fatto che il Papa abbia voluto un'enciclica specifica sul primo annunzio del Vangelo ai non cristiani, è un segno di come aveva a cuore il tema missionario. Nell'enciclica dice: «Proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo, mi ha convinto ancor più dell'urgenza di tale attività (missionaria)» (n. 1); e aggiunge diverse volte con varie espressioni questi concetti: «Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutte le genti costituisce la missione essenziale della Chiesa» (n. 14); «La missione ad gentes... (è) un'attività primaria della Chiesa, essenziale e mai conclusa» (n. 31); «L'attività missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la Chiesa... La missione alle genti è ancora agli inizi» (n. 40).

     Quali le novità della Redemptoris Missio

Ecco alcune novità della R.M. rispetto all’Ad Gentes e alla Evangelii Nuntiandi:

1) Gesù Cristo unico Salvatore. Risponde a quei teologi che in vari modi esprimono l’idea che Gesù è una delle vie che conduce a Dio. La missione comunica alle genti la salvezza in Cristo, la fede e l’amore a Cristo, unico Salvatore dell’uomo, perché “Cristo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini… Gli uomini quindi non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito” (R.M. 5). L’enciclica riafferma la centralità di Cristo nella missione alle genti, non esistono altre vie per andare a Dio, secondo la concezione indù, che paragona le religioni a fiumi che confluiscono tutti nel mare dell’Assoluto, teoria assunta in qualche modo anche da una tendenza teologica  del nostro tempo.

2)  Il Regno di Dio. Gesù è venuto ad annunziare il Regno di Dio, che dà il senso messianico del cristianesimo, si realizzerà nella vita eterna del Paradiso. È un Regno escatologico, che “esiste già e non ancora”. La missione della Chiesa annunzia il Regno di Dio e lavora per la sua progressiva realizzazione nella vita dei popoli. Questo dice il Concilio e la R. M. nota l’errore di separare il Regno da Cristo e dalla Chiesa. I “valori del Regno” (amore, giustizia, pace, fraternità) sono accettati da tutti, ma Cristo fa problema, è la “pietra d’inciampo” che fa difficoltà. L’enciclica dice: “Se si distacca il Regno da Gesù, non si ha più il Regno di Dio da lui rivelato, ma si finisce per distorcere il senso del Regno che rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano e ideologico” (RM 17). I contenuti del Regno sono la fede, la vita nuova in Cristo, l’amore, il perdono, ecc.; che, con la grazia di Dio, trasformano la società: sono la rivoluzione portata da Cristo, basata sull’amore. Nel tempo della R.M., la “Teologia della liberazione” vedeva la liberazione dei popoli in una dimensione sostanzialmente politico-sociale-economica, sposando la teoria marxista del sottosviluppo e dello sviluppo. Non pochi teologi della liberazione e “comunità di base” erano impegnati in campo politico, appoggiavano la Cuba di Fidel Castro e i regimi del “socialismo reale”, le “guerriglie di liberazione”, ecc.

3) Lo Spirito Santo protagonista della missione. Se è lo Spirito che fa la missione, il missionario deve pregare molto per essere obbediente alla voce dello Spirito Santo. La missione non è del missionario, ma dello Spirito che guida e illumina la Chiesa. Bisogna obbedire alla Chiesa, non costruire comunità e gruppi paralleli. Inoltre, lo Spirito Santo dà una dimensione di ottimismo e di speranza. Il missionario non deve mai scoraggiarsi quando non vede i frutti del suo lavoro. Se semina bene, lo Spirito porterà a compimento la sua opera e farà fruttificare i suoi sacrifici, il suo martirio.

4)  Dov’è la missione alle genti? E’ anche qui in Italia? Tre criteri per giudicare:  
      a) Criterio territoriale-geografico, cioè i paesi e i popoli non cristiani, che “anche se non molto preciso e sempre provvisorio, vale sempre” (n. 37). Soprattutto il Papa mette tre volte l’accento sulla missione ad Gentes in Asia, dove i cristiani, tutti assieme, raggiungono a male pena il 3% degli asiatici (il 62% dell’umanità!).
      b) Fenomeni sociali nuovi da evangelizzare: le metropoli “Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città” (n. 37/b), gli emigrati, i rifugiati politici, gli extra-comunitari, i giovani che sono la maggioranza della popolazione nei paesi poveri.
      c) Gli “aeropaghi” moderni, mass media, cultura e scienza, enti ed organismi internazionali (Onu), pace e sviluppo, diritti dell’uomo e della donna, giustizia sociale, i giovani, la cultura moderna creata dalla comunicazione, nuove tecniche e nuovi modi di comunicare un messaggio, ecc. Campi immensi!

5) Per la prima volta la R. M. parla in modo articolato del dialogo con le altre religioni, mentre l’Ad Gentes vi accenna in modo generico e la Evangelii Nuntiandi non lo nomina nemmeno; d’altra parte, come dimenticare gli incontri con le altre religioni a partire da quello di Assisi nel 1986? E come dimenticare quando nel febbraio 1986, visitando l’India, si inginocchiò dinanzi alla tomba e mausoleo di Gandhi e vi rimase per 4-5 minuti e poi affermò: “Gandhi mi ha insegnato molto”? L’enciclica destina tre paragrafi a questo tema (nn. 55-57) e altri tre alle culture dei popoli e a come incarnare il Vangelo in esse (52-54).

6)  La R.M. è l’enciclica che ha gestito il passaggio "dalle missioni estere alla Chiesa locale", valorizzando le forze locali anche per la missione alle genti. La Chiesa universale, senza che ce ne accorgiamo, sta cambiando proprio per influsso delle giovani Chiese. Fra i giovani battezzati, l'entusiasmo della fede è il motore della vita cristiana che sta maturando. Il Papa è stato geniale quando ha scritto (R.M. 2) che vuole impegnare "le Chiese particolari, specie quelle giovani, a mandare e ricevere missionari"; e ha dato piena fiducia alle giovani Chiese stimolandole con queste parole: "Siete voi oggi la speranza di questa nostra Chiesa che ha duemila anni; essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani e irradiare entusiasmo e coraggio, in generosa dedizione a Dio e al prossimo... e sarete anche fermento di spirito missionario per le Chiese più antiche" (R.M., 91).

7) La R.M. lega strettamente l’annunzio di Cristo all’umanizzazione. Nei numeri 58 e 59 Giovanni Paolo II sviluppa questo concetto: con la missione alle genti la Chiesa aiuta i popoli a svilupparsi, certo anche con gli aiuti economici e materiali, con le opere sanitarie e di educazione, ma soprattutto annunziando Cristo, perché “lo sviluppo dell’uomo viene da Dio e dal modello di Gesù uomo-Dio e deve portare a Dio. Ecco perché tra missione evangelica e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione” (n. 59). E aggiunge che “il contributo della Chiesa e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli riguarda non soltanto il Sud del mondo, per combatterli la miseria materiale e il sottosviluppo, ma anche il Nord, che è esposto alla miseria morale e spirituale causata dal super-sviluppo”.

Questo messaggio è fondamentale per capire i meccanismi dello sviluppo di un popolo (n. 58): ”Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi”. Queste parole sono rivoluzionarie per capire lo sviluppo e il sottosviluppo dei popoli, che non è solo o quasi solo di soldi, di macchine, di tecniche, di commerci, ma di formazione col Vangelo, che rende l’uomo più uomo e lo sviluppa in tutti i sensi.