Latinoamerica, le urne e il caos contro i partiti al potere
Altro che rinascita della sinistra, quello in Latinoamerica è un voto di castigo contro i partiti al potere. Ne è convinto il politilogo argentino Daniel Zovatto. Che individua un unico comune denominatore degli ultimi risultati elettorali in Argentina, Bolivia, Colombia e Uruguay: tutti - seppur in forme diverse - contro il partito al potere. Ma questo fa aumenbtare il caos.
-ARGENTINA, PRO LIFE IN SALITA di Germàn Masserdotti
Quattro elezioni hanno riscaldato lo scenario politico in America Latina lo scorso ottobre. I risultati delle presidenziali in Bolivia, Argentina e Uruguay e delle regionali in Colombia hanno subito creato l’illusione di una svolta del continente verso sinistra. Tanti analisti europei hanno proclamato persino la morte del neoliberalismo nella regione.
Altro che rinascita della sinistra, “è un voto di castigo contro i partiti al potere”, ha affermato il politologo argentino Daniel Zovatto durante un’intervista concessa alla testata “Confidencial”, sottolineando che non esiste un voto di tipo ideologico verso il centro, la destra o la sinistra. Secondo il direttore regionale di IDEA Internazionale, questi risultati confermano invece una “fatica democratica” in mezzo a una crescita economica “anemica” che ha portato “deficit economico-sociale” e “crisi di rappresentanza”.
“Abbiamo tenuto quindici elezioni negli ultimi tre anni, in cui nella stragrande maggioranza ha perso il partito al potere, sia di destra che di sinistra, e dove non ha perso ci sono stati imbrogli, come in Bolivia”, ha spiegato l’analista. Una tendenza che aveva messo già in evidenza sul suo sito, prima delle elezioni di ottobre.
Infatti, domenica 27 ottobre la profezia si è avverata: “In Argentina ha chiaramente perso il partito al potere. In Uruguay, sebbene abbia vinto il Frente Amplio (centro-sinistra), che è il partito al potere, lo ha fatto ben al di sotto del modo in cui era abituato a vincere e, se riuscirà a vincere al ballottaggio, non avrà più la maggioranza al Congresso. Nel caso della Colombia, sebbene si tratti di elezioni locali e non presidenziali, abbiamo assistito a un voto di punizione contro il partito al potere. Questa è la tendenza!”, ha ribadito. Ma ogni Paese è una realtà diversa che va analizzata separatamente.
In Argentina, Maurizio Macri ha perso le elezioni nel bel mezzo di una profonda crisi economica che ha portato il Paese alla polarizzazione politica: Il peronista Alberto Fernandez, in coalizione con l’ex presidentessa Cristina Kirchner (2007-2015), dovrà governare con il 48% dei voti, mentre Macri è riuscito a raggiungere il 40%. Il miracolo Macri, che nel 2015 sembrava aver decretato la fine dei governi peronisti dopo 12 anni di potere, è stato invece punito per la sua incapacità di risolvere i problemi ereditati: non ha potuto risanare i conti del Paese, diminuire la povertà e ridurre l’inflazione, dunque non ha mantenuto quelle che erano state le sue promesse durante la campagna elettorale.
Ora gli argentini si trovano con una nazione divisa e sotto la veste del kirchnerismo (ramo argentino del Socialismo del XXI Secolo venezuelano), con Cristina Kirchner sotto processo a causa di circa una decina di scandali legati alla corruzione. Il futuro della nazione appare buio: Il risultato elettorale ha aumentato la fuga di capitali e ha fatto crollare il peso argentino, e di conseguenza è aumentata l'inflazione e si è acuita la crisi sociale. Inoltre, con l’arrivo di Fernandez, c’è chi avverte la fine della democrazia argentina e l’inizio di un percorso autocratico in stile venezuelano. Ne deriva una domanda: chi governerà? Fernandez o Kirchner?
L'Uruguay si prepara al ballottaggio del prossimo 24 novembre. Dopo 15 anni al potere, il “Frente Amplio” potrebbe passare all’opposizione per lasciare il governo in mano al Partito Nazionale (centro-destra), guidato da Luis Lacalle Pou. In più, si rischia di avere il Parlamento più frammentato della storia e di conseguenza una possibile crisi di governabilità.
E l’Uribismo è stato punito in Colombia, il movimento che sostiene il presidente Iván Duque. A Medellín ha perso l'Uribista Alfredo Ramos (partito Centro Democratico) di fronte a Daniel Quintero (movimento indipendente), che con il 38,49% dei voti sarà il nuovo sindaco del bastione di Álvaro Uribe. Questa sconfitta si unisce alla perdita del dipartimento di Antioquia e lo stesso accaduto in altre città in cui si attendeva la vittoria, come Santa Marta o Cúcuta.
Al contrario, la Bolivia va guardata separatamente perché si tratta di un sistema politico autoritario guidato da Evo Morales che, nonostante il divieto della Costituzione, tenta la sua rielezione per un quarto mandato. Dopo essere andato alle urne, il Paese è nel caos, nel mezzo di denunce da parte dell'opposizione che segnala frodi elettorali e chiede il ballottaggio, l'annullamento delle elezioni o le dimissioni del Presidente. Le proteste sono iniziate il 21 ottobre, il giorno dopo le elezioni, quando è stato bloccato il sistema di trasmissione dei risultati elettorali preliminari (TREP) del Tribunale Supremo Elettorale (TSE). Successivamente, il 25 ottobre, il TSE ha formalizzato la vittoria del socialista Morales con il 47,08% dei voti. Intanto, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) porta avanti il riconteggio dei voti, mentre i boliviani sono intrappolati nella deriva dittatoriale.
In definitiva, con un governo di destra o di sinistra, il popolo latino-americano è insoddisfatto. “In questo contesto di estrema polarizzazione, di grande volatilità, di stanchezza democratica, di malessere generale contro la politica, esiste una grande necessità di alternative che possano finalmente connettersi con i cittadini”, ha concluso Zovatto.