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BELLE ARTI

L'arte contemporanea non è solo blasfemia

In questi ultimi tempi, a fianco di un'arte violenta e contro la religione, ci sono notevoli esempi di artisti – anche lontani dalla Chiesa – che vivono il proprio operare come seria ricerca della verità. Uno di questi è il coreano Lee Jung, con le sue fotografie Aporia.

Cultura 18_06_2013
Aporia di Lee Jung

L'arte contemporanea è spesso un argomento tabù. l'oscurità alla quale spesso è accostata la allontana da una visione obiettiva, rendendola spesso oggetto di scherno e di pregiudizio dai più. Eppure, molti artisti – di fianco a quelli che fanno della vis polemica  e dell'attacco ingiustificato e bilioso un atto pubblicitario e di puro marketing – hanno a cuore, nei loro lavori, una ricerca di senso e di bellezza che commuove e tocca le giuste corde del cuore degli spettatori.

Un esempio, tra gli altri, è l'opera di Lee Jung, un quarantenne fotografo coreano di stanza a Seul. La sua opera principale, ospitata permanentemente presso la One and J. Gallery di Seul, si intitola Aporia, e raccoglie alcuni scatti tra il 2005 e il 2011 stampati su sostegni 136x170 cm. Il termine "Aporia", letteralmente "strada senza uscita", è traslato nel significato comune di "contraddizione", "insolubilità", "antinomia". Su lande desolate, grigi paesaggi inondati di neve, compare una frase illuminata da fasci di neon colorato. Poche parole: un'insipida dichiarazione d'amore che strania dal contesto, frasi ad effetto, tediose ripetizioni di luoghi comuni mediatici che hanno impoverito la sostanza del lessico amoroso.

Lo stesso Lee Jung ha dato una chiave per interpretare il suo lavoro: «Dichiarazioni banali di amore all'amore, blande e prive di poesia, dichiarazioni d'amore che si ripetono mille volte al giorno, o estrapolate da canzoni pop o dai messaggi dei cioccolatini che lasciano soltanto un leggero retrogusto amaro, sono prese dal loro ambiente naturale e gettato in qualche deserto brullo, freddo e solitario, in un neon accecante». È una comunicazione senza contenuto, quindi una non-comunicazione.

Il lavoro riprende direttamente da uno dei testi principali di un grande semiologo francese, Roland Barthes, padre del decostruttivismo e attento osservatore dell'uso del linguaggio. Nella sua opera Frammenti di un linguaggio amoroso, il linguista parte proprio da quest'assunto: «La necessità di questo libro sta nella seguente considerazione: il discorso amoroso è oggi di un’estrema solitudine. Questo discorso è forse parlato da migliaia di individui, ma non è sostenuto da nessuno; esso si trova ad essere completamente abbandonato dai discorsi vicini: oppure è da questi ignorato, svalutato, schernito, tagliato fuori non solo dal potere, ma anche dai suoi meccanismi». 

Ed ecco che il testo, capace di contenere riflessioni ultra-linguistiche in merito al Mistero dell'amore e della sua passione ( come «L’Assenza è la figura della privazione; io desidero e ho bisogno simultaneamente. Il desiderio si spegne sul bisogno: questo è il fatto ossessionante del sentimento amoroso”. Oppure: «Cuore: questa parola serve per moti e desideri d'ogni genere, ma ciò che è costante è che il cuore - negato o rifiutato che sia - vuole essere un oggetto di dono. »), trova una sua versione iconica nelle fotografie di Lee Jung, che nell'accostamento della frase a un paesaggio brullo ricrea lo stesso straniamento, narrato da Barthes, dovuto allo svuotamento di significato del discorso amoroso, rendendo l'intera atmosfera gravosa di solitudine.