L'Arabia Saudita adotterà il nostro calendario gregoriano
Fa effetto vedere l’Arabia Saudita, il centro politico-ideologico più influente dell’islam, abbandonare il calendario islamico e adottare il nostro, introdotto da papa Gregorio XIII nel 1582. La scelta è solo di natura economica, per cercare di sanare una crisi petrolifera che Riad si è auto-inflitta.
Alla fine Gesù ha scalzato Maometto anche in Arabia Saudita. Non dal punto di vista teologico e religioso, ma da quello della datazione. Riad infatti a partire dal primo ottobre ha imposto il calendario gregoriano in tutti gli uffici pubblici, mandando in soffitta quello islamico. Più che la religione, è il caso di dirlo, poté il denaro. Così infatti il periodo lavorativo dei funzionari aumenterà di 11 giorni, senza che lo Stato debba spendere un solo riyal in più.
Il calendario islamico ha scandito la vita dei sauditi fin dalla fondazione del paese, nel 1932. Calendario lunare formato da 12 mesi e da anni di 354 o 355 giorni, è usato soprattutto per stabilire le principali celebrazioni islamiche. Ma nel Regno viene utilizzato anche negli uffici pubblici. Parte dal 622 dopo Cristo, anno in cui è cominciata l’egira, cioè l’abbandono della Mecca da parte del profeta Maometto, che fu cacciato a Medina. L’anno islamico corrente sarebbe il 1438 che, trasportato nel calendario gregoriano, va dal 3 ottobre 2016 al 21 settembre 2017.
La decisione saudita ha origini prettamente economiche e la misura fa parte di un piano di revisione dei conti dello Stato. Il piano prevede anche il taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici, cioè due terzi dei sauditi che lavorano: i salari sono stati ridotti del 20%, mentre le agevolazioni per casa e automobile decurtate del 15%. Sono stati bloccati anche gli aumenti di stipendio degli impiegati a inizio carriera, mentre le ferie sono ormai limitate a 30 giorni. Le misure fanno parte della riforma dell’economia annunciata a fine aprile. Il piano di sviluppo intitolato Saudi Vision 2030 ha come obiettivo quello di sganciare la prosperità saudita dalle esportazioni petrolifere, che oggi rappresentano oggi il 46% del Pil nazionale, l’84% delle esportazioni e l’87% delle entrate fiscali. Il piano mira poi ad aumentare le esportazioni non petrolifere dall’attuale 16 al 50% e l’incidenza del settore privato sul Pil dall’attuale 40 al 65% entro il 2030.
L’anno scorso la monarchia islamica ultraconservatrice ha registrato un deficit record di 98 miliardi e quest’anno potrebbe andare anche peggio. Ma i sauditi, che godono di riserve petrolifere vastissime, non hanno che da rimproverare se stessi per questo disastro. Il buco, infatti, è stato causato soprattutto dal crollo del prezzo del petrolio, che a partire dal 2014 è passato da circa 100 dollari al barile ai 40 attuali. Peccato che siano stati proprio gli sceicchi a volere l’abbassamento dei prezzi nel tentativo di distruggere economie fortemente dipendenti dall’oro nero come gli arcinemici sciiti dell’Iran e la Russia. La strategia però non ha funzionato, l’Iran è ancora in piedi e continua a contendere ai sauditi il dominio dell’islam e del Medio Oriente. Gli sceicchi, dunque, sono dovuti correre ai ripari.
Per quanto la motivazione sia di natura economica, fa effetto vedere l’Arabia Saudita, il centro politico-ideologico più influente dell’islam, il paese che ospita i due grandi templi, la Grande moschea della Mecca e quella di Medina, il luogo dove non si possono costruire chiese perché tutta la terra è sacra e considerata «una grande moschea», abbandonare il calendario islamico per uno istituito 434 anni fa tramite bolla papale. Con la Inter Gravissimus, promulgata nel 1582, Gregorio XIII sostituì il calendario giuliano con uno più rispettoso delle più recenti osservazioni astronomiche. L’Arabia Saudita è l’ultimo paese ad essersi convertito alla datazione del tempo che indica come spartiacque della storia la nascita di Gesù Cristo. Ora si aspetta solo il cambiamento della Corea del Nord, che data gli anni del calendario a partire dalla nascita del primo dittatore e padre della patria Kim Il-sung. Attualmente, a Pyongyang, non è il 2016 ma il Juche 105.