Lampedusa, strage (annunciata) di immigrati Si temono oltre 300 morti
Un centinaio di corpi recuperati, circa 250 dispersi per un barcone con 500 persone a bordo andato a fuoco nei pressi di Lampedusa. Si tratta di una tragedia gravissima, ma purtroppo annunciata. Nelle ultime settimane c’è stata un’impennata di arrivi di migranti sulle coste italiane, e già il 30 settembre erano morte 13 persone sulla costa siciliana. Una situazione figlia dell'astratto umanitarismo dell'accoglienza senza se e senza ma.
Un centinaio di corpi recuperati, almeno 250 i dispersi. Sono le prime, agghiaccianti cifre della tragedia consumatasi vicino a Lampedusa, a largo dell’isola dei Conigli, dove è bruciato un barcone con centinaia di migranti: 141 sono stati tratti in salvo, e dalle loro testimonianze si sa che a bordo c’erano circa 500 persone, in maggioranza eritrei (così almeno dalle prime ricostruzioni). Tra i cadaveri ci sono almeno due bambini e una donna incinta. L’incendio sarebbe stato provocato da una coperta, a cui alcuni migranti hanno dato fuoco per segnalare la loro presenza.
Secondo quanto riferito dalla guardia costiera, intorno alle 7.20 di questa mattina sono arrivate due segnalazioni alla capitaneria di porto da parte di altrettanti pescherecci. In entrambe si riferiva di migranti in acqua a circa mezzo miglio dall’Isola dei Conigli. Da Lampedusa si sono dirette sul posto due motovedette della guardia costiera e una della guardia di finanza, contestualmente a un elicottero della guardia costiera che si è alzato da Catania e ad uno di base sulla Nave Vega della marina militare.
Si tratta di una tragedia gravissima, ma purtroppo annunciata. Nelle ultime settimane c’è stata un’impennata di arrivi di migranti sulle coste italiane e già il 30 settembre erano morte 13 persone a pochi metri dalla spiaggia di Sampieri e Scicli, in provincia di Ragusa. Erano su un barcone con altri 200 migranti di diversa nazionalità. E ieri notte, poco prima della tragedia, erano stati tratti in salvo altri 463 migranti arrivati con un altro barcone. Nei primi nove mesi del 2013 sono state oltre 30mila le persone sbarcate, con un preoccupante picco nelle ultime settimane. E’ chiaro allora che a questo ritmo una tragedia del genere era nell’aria.
Come ci ha richiamato il Papa nella sua recente visita a Lampedusa, è un orrore che non ci può lasciare indifferenti, o provocare una reazione emotiva che poi si spegne giusto il tempo di scaricare la responsabilità su qualcuno. Ma proprio per questo è importante smetterla con l’ingenuo umanitarismo dell’accoglienza senza se e senza ma.
E’ chiaro che bisogna farsi carico di coloro che, comunque, si avvicinano alle nostre coste, ma è altrettanto chiaro che queste tragedie si consumano non per mancanza di nostra accoglienza, ma perché da qualche parte questi barconi partono e affrontano il grosso pericolo di una traversata su scafi inadeguati guidati da criminali senza scrupoli. La politica delle porte aperte a chiunque non fa altro che incentivare questo traffico criminale e relative tragedie.
Qui non si tratta di una emergenza temporanea causata da una guerra (vedi ciò che accade con i profughi siriani che fuggono nei paesi vicini); si tratta invece di una emergenza ordinaria che va affrontata con scelte politiche che, senza dimenticare il dramma immediato di coloro che sbarcano sulle coste italiane, si facciano carico dei problemi che sono all’origine di questo flusso di disperati.
Invece si è smantellata la cosiddetta “politica dei respingimenti” varata dal governo Berlusconi, per sostituirla con il nulla, con le lacrimucce sparse a ogni tragedia e ai soliti astratti discorsi sull’accoglienza senza peraltro mai precisare chi esattamente dovrebbe accogliere e come.
Bisognerebbe almeno riflettere sul fatto che nel periodo dei “respingimenti” (che consisteva anzitutto in un controllo alla fonte attraverso un accordo fra governi) c’è stata una diminuzione rilevante dei viaggi e quindi degli incidenti.
Il che non vuol dire che i “respingimenti” da soli siano la soluzione, altrimenti avrebbe il senso di spostare geograficamente le tragedie quel tanto che basta per toglierle dai nostri occhi e non inquietarci la coscienza. Ma sono un primo passo per riconoscere che quello del viaggio in mare è solo l’ultima tappa di una lunga odissea che può durare anche anni, e che va dunque affrontata alla radice, cominciando dai paesi di provenienza di questi sventurati. La politica estera e la politica di cooperazione allo sviluppo sono dunque gli ambiti principali entro cui tale problema va affrontato, se davvero si vogliono evitare queste tragedie.