L'altra sponda del Mar Rosso: Somalia ed Etiopia sul piede di guerra
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L'Etiopia affitta un pezzo di costa del Somaliland, ma senza chiedere il permesso al governo somalo. La Somalia si prepara alla guerra e ottiene un forte appoggio internazionale.
L’attenzione di tutto il mondo è rivolta con giustificata apprensione al Medio Oriente, al Mar Rosso, al Golfo di Aden, alla complessa, gravissima crisi in atto, ai suoi protagonisti: Israele sotto attacco, e l’Occidente, il mondo libero con lui, e i due islam, sunnita e sciita, nemici da 15 secoli, che lì ancora una volta si scontrano. Ma c’è un’altra crisi che ha come scenari il Mar Rosso e il Golfo di Aden, quasi del tutto inavvertita eppure anch’essa suscettibile di infliggere danni immani e coinvolgere un numero crescente di paesi, se mai degenerasse in guerra.
Tutto è incominciato quando lo scorso ottobre il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed Ali ha dichiarato che il suo paese ha diritto a un accesso al mare di cui è priva dal 1991, l’anno in cui, al termine di una guerra durata 30 anni, l’Eritrea è diventata uno Stato indipendente sottraendo ad Addis Abeba il porto di Assab del quale fino ad allora si era servita. «Il Mar Rosso è il confine naturale dell’Etiopia – Abiy ha detto il 13 ottobre – e con il Nilo può essere la base per lo sviluppo dell’Etiopia o la sua fine». La mancanza di porti, ha proseguito, «impedisce all’Etiopia di avere il posto che le spetterebbe. 150 milioni di persone non possono risiedere in una prigione geografica. Che piaccia o no, la prigione esploderà. Non è corretto né giusto che l’Etiopia non abbia accesso al mare; se non lo avrà, è questione di tempo, ma lotteremo».
Suonava come una dichiarazione di guerra. Eritrea, Gibuti e Somalia, i tre paesi vicini che si affacciano sul Mar Rosso, hanno reagito. La Somalia in particolare ha dichiarato che la sua integrità territoriale era “sacrosanta e inviolabile”. Invece è stata proprio la sua sacrosanta integrità territoriale a essere violata. Abiy lo ha fatto non invadendo con le sue truppe il paese, ma stipulando un contratto, con il Somaliland. Il 1° gennaio lui e il presidente del Somaliland, Musa Bihi Abdi, hanno firmato un accordo preliminare con cui Abdi affitta alla marina etiope quasi 20 chilometri di accesso al mare per la durata di 50 anni ottenendo in cambio quote della Ethiopian Airlines, la più grande compagnia aerea africana.
Un contratto di affitto sembrerebbe un modo ragionevole e civile di ottenere qualcosa, se non fosse che del Somaliland nessuno riconosce l’esistenza. Il Somaliland è un piccolo territorio della Somalia nord occidentale che si è dichiarato indipendente nel 1991, anno in cui una coalizione di clan ha sconfitto il dittatore Siad Barre dando inizio a una feroce guerra per la supremazia. Ha un sistema politico multipartitico composto da tre rami indipendenti – legislativo, esecutivo e giudiziario – tiene regolarmente elezioni parlamentari e presidenziali, ha una forza di polizia, una propria valuta e una bandiera. È considerato quasi una sorta di oasi di pace, rispetto alle violenze che affliggono il resto della Somalia. Tuttavia nessuno lo riconosce come Stato indipendente, né le Nazioni Unite né l’Unione Africana né singoli stati. Quindi Abiy intende affittare un pezzo di territorio che ufficialmente appartiene alla Somalia. Non solo, sembra che abbia intenzione di sostenere gli sforzi del Somaliland per ottenere il riconoscimento internazionale.
La reazione immediata del governo somalo è stata abbastanza prevedibile. Il 2 gennaio il governo ha tenuto una riunione di emergenza. Subito dopo il primo ministro Hamza Abdi Barre ha convocato una conferenza stampa durante la quale ha definito l’accordo “nullo” e ha chiesto sia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che all’Unione africana di convocare riunioni per discutere la questione. Poi si è rivolto alla nazione invitando la popolazione a mantenere la calma. «La Somalia appartiene ai somali» ha dichiarato il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud in un appassionato discorso pronunciato in Parlamento quello stesso giorno. Poi ha definito l’accordo un atto di aggressione, «un’aperta interferenza con la sovranità della Somalia» e ha aggiunto: «proteggeremo ogni centimetro della nostra terra sacra e non tollereremo i tentativi di cederne alcuna parte».
In realtà il governo somalo dipende tuttora per la sua sicurezza e per la sua stessa esistenza dai finanziamenti e dagli aiuti militari stranieri, senza i quali sarebbe sopraffatto dal gruppo jihadista al Shabaab, anche così a stento contenuto nelle vaste regioni meridionali del paese conquistate nel 2006 e capace di continui attentati nella capitale Mogadiscio. Quindi anche per difendere il "sacro suolo" ha bisogno del sostegno internazionale, e finora almeno a parole lo ha avuto.
L’Unione Africana e l’Unione Europea per prime hanno esortato al rispetto della sovranità, unità e integrità territoriale della Somalia. Anche l’Organizzazione della cooperazione islamica e la Lega Araba hanno preso le difese della Somalia. Quanto ai paesi, gli Stati Uniti sono stati tra i primi a schierarsi con la Somalia contro l’Etiopia. Lo hanno fatto dicendosi molto preoccupati e sollecitando il ricorso a canali diplomatici per evitare un'escalation della tensione nella regione. La Turchia, un paese che svolge un importante ruolo economico e militare in Somalia, si è spinta oltre promettendo «il suo impegno per l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale della Somalia». Finora la reazione più risoluta è arrivata dall’Egitto. Dopo aver assicurato per telefono al presidente Mohamud la ferma posizione del suo paese a fianco della Somalia, il presidente egiziano Abdul Fattah al-Sisi lo ha poi incontrato e in quell’occasione ha dichiarato: «L'Egitto non permetterà a nessuno di minacciare la Somalia o di comprometterne la sicurezza. Non tentate l'Egitto, né tentate di minacciare i suoi fratelli soprattutto se gli chiedono di intervenire». Mancano ancora, fondamentali per l’evolversi della situazione, la posizione dell’Eritrea e del vicino Kenya, che per ora ha mantenuto un basso profilo evitando, così come l’Uganda, commenti ufficiali. Al momento gli unici ad approvare la decisione dell’Etiopia sono stati gli Emirati Arabi Uniti, forti alleati di Abiy.
Consapevole dell’importanza di mostrarsi determinato e forte agli occhi dei propri connazionali e, soprattutto, rassicurato dalle reazioni internazionali, il presidente Mohammud ha richiamato il proprio ambasciatore ad Addis Abeba e ha alzato i toni. Ha descritto l’Etiopia come “il nemico del suo Paese” e ha invitato i giovani somali “a prepararsi per la difesa del nostro Paese”. Decine di migliaia di persone hanno risposto unendosi alle proteste contro l'accordo tenutesi nella capitale Mogadiscio. «Difenderemo il nostro Paese – ha detto il 12 gennaio – lo difenderemo con tutti i mezzi e cercheremo il sostegno di ogni alleato disposto a difenderci. Abbiamo già resistito alla loro invasione in passato. Li abbiamo sconfitti in passato e lo faremo ancora».
La verità è che l’Etiopia non può permettersi di fare un passo indietro e rinunciare al suo accesso al mare. La Somalia non può permettersi di accettare l’accordo tra Etiopia e Somaliland. Ci sono tutte le premesse per una nuova crisi regionale, forse una guerra. Ciò che accadrà nelle prossime settimane nel Corno d’Africa avrà ripercussioni a livello internazionale. Un conflitto destabilizzerebbe ulteriormente i paesi dell’Africa orientale, già quasi tutti alle prese con serie difficoltà economiche e politiche, coinvolgerebbe, direttamente o indirettamente, i loro alleati e sostenitori – Unione Europea, Stati Uniti, Russia, Cina… – precipiterebbe decine di milioni di persone in una nuova crisi umanitaria insostenibile, tutto questo in un’area strategica, il Mar Rosso, già al centro di altri conflitti.