L’agonia dei grillini rischia di far cadere Draghi
Nell’immediato la domanda è: quanti parlamentari, soprattutto senatori, andranno con Conte e quanti con Di Maio? Quanti, cioè, continueranno ad appoggiare il governo Draghi e quanti gli negheranno il voto? Da questo dipenderà la stabilità di governo e il futuro dell’attuale legislatura.
La parabola dei movimenti di protesta segue sempre le stesse dinamiche: euforia iniziale, assestamento, occupazione capillare del potere, declino e deflagrazione. Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle, l’ultima fase è già entrata nel vivo e ci si interroga da tempo su chi erediterà le spoglie di una forza politica che ha tradito tutti i suoi ideali originari e si è immiserita nelle logiche del potere esattamente come tutti gli altri partiti.
Il duello tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio ha del farsesco. Il primo, quando era premier, è stato super istituzionale, compassato, mai sopra le righe. Ora è diventato il difensore dello spirito “barricadero” del Movimento. Il secondo, che ora da Ministro degli esteri è super istituzionale, atlantista, europeista, è lo stesso che anni fa chiedeva l’impeachment per il Capo dello Stato, Sergio Mattarella e andava a braccetto con i gilet gialli. Miracoli del poltronismo e della brama di potere.
Fatto sta che la prossima settimana il premier Mario Draghi cercherà i voti al Senato per ottenere il via libera a nuove forniture di armi all’Ucraina e rischia di essere impallinato perché i senatori pentastellati vorrebbero opporsi e votare una mozione per chiedere la sospensione di quelle forniture. E Giggino, ovviamente, si oppone, perché il suo ruolo di Ministro degli esteri sarebbe incompatibile con l’adesione a un movimento che apertamente combatte la linea governativa.
Peccato che dietro questa “nobile” contesa sulla politica estera e le scelte geopolitiche del nostro Paese si celino interessi ben più nudi e crudi. Luigi Di Maio sa che, rimanendo nelle fila dei 5 Stelle, non potrebbe ricandidarsi perché il limite dei due mandati non è stato abolito, anzi lo stesso fondatore Beppe Grillo ha difeso questa regola non più tardi di qualche giorno fa. Giuseppe Conte è consapevole che Di Maio lavora contro di lui per sfilargli il Movimento e i suoi gruppi parlamentari e per portare acqua al mulino di Draghi.
Nella riunione del consiglio nazionale di ieri sera, convocata in fretta e furia dallo stesso Conte, si è avuta la conferma che la frattura tra le due fazioni è insanabile e la scissione è solo rinviata di qualche settimana. Tutti i parlamentari pentastellati alla seconda legislatura cercheranno rifugio nella “nuova casa” che Di Maio tenterà di creare in vista del prossimo appuntamento elettorale della primavera 2023. Conte, però, vorrebbe elezioni subito, proprio per non dare il tempo a Di Maio di organizzare le sue truppe e quindi per capitalizzare elettoralmente il sentimento pacifista che è molto diffuso tra i 5 Stelle. Facendo cadere il governo, l’ex premier si assumerebbe una grande responsabilità agli occhi dell’opinione pubblica, ma potrebbe ricompattare la base grillina, sempre più delusa dai voltafaccia di Di Maio e degli altri esponenti di governo, che hanno costruito le loro fortune politiche sull’autonomia dagli Usa e ora sono diventati i più integralisti filo-atlantisti.
Di Maio teme che la mozione che i senatori grillini vogliono presentare martedì a Palazzo Madama possa mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, ma soprattutto teme di perdere la poltrona di Ministro degli esteri perché i pentastellati ne chiederebbero la testa a Draghi, non sentendolo più come un loro uomo. Senza i voti grillini il governo non avrebbe probabilmente i numeri per andare avanti e quindi Giggino potrebbe essere sfiduciato dal suo Movimento ed essere costretto a dimettersi.
A prescindere da come finirà questo teatrino pentastellato, una cosa è certa. I grillini non sono più una forza politica coesa, hanno varie anime destinate a separarsi e a vendersi al miglior offerente. E, soprattutto, hanno rinunciato a tutte le loro battaglie pur di rimanere abbarbicati al potere. Peraltro molti di loro non versano più nelle casse del Movimento la parte di stipendio prevista dallo statuto, forse perché temono di non tornare in Parlamento.
La narrazione perbenista grillina ha esaurito la sua carica e furbescamente Di Maio, avendolo compreso prima degli altri, tenta di sopravvivere e di galleggiare sotto un nuovo ombrello centrista che potrebbe nascere prima delle prossime politiche, pescando un po di qua un po di là. Conte vuole invece conservare uno zoccolo duro del 10%, magari dando un ruolo a Alessandro Di Battista e recuperando i duri e puri che non si ritrovano nella svolta governista del Movimento.
Ma nell’immediato la domanda è: quanti parlamentari, soprattutto senatori, andranno con Conte e quanti con Di Maio? Quanti, cioè, continueranno ad appoggiare il governo Draghi e quanti gli negheranno il voto? Da questo dipenderà la stabilità di governo e il futuro dell’attuale legislatura.