L'agenda Lgbt, un collante ideologico per le élites Ue
I diritti civili e le libertà personali non c'entrano nulla nello scontro Ue-Ungheria. In nessuno stato dell'Unione, infatti, viene impedito ad alcuno di vivere come vuole la propria vita sessuale e affettiva. Quello che la catena di comando Ue difende a spada tratta è invece il potere delle organizzazioni Lgbt di indottrinare la società, che fa il paio con quello di definire “famiglia” qualsiasi aggregazione volontaria di soggetti.
L'attacco sferrato dai vertici dell'Unione europea contro il governo ungherese a causa della legge approvata dal parlamento di quel paese per proteggere i minori dalla pornografia e da contenuti indebitamente sessualizzati rappresenta l'emergere di uno scontro radicale all'interno della compagine comunitaria, destinato ad essere sempre più decisivo in futuro.
Non è un caso infatti che la Commissione e un numero così alto di Stati membri si siano pronunciati in maniera così netta contro il provvedimento, sostenendo che esso è addirittura in contraddizione con i princìpi fondamentali e i trattati dell'Unione, minacciando lo Stato magiaro di ritorsioni se non lo ritirerà, e addirittura ricattandolo sul piano economico con il ventilato blocco dei fondi del Pnrr.
Quello dei “diritti” Lgbt rappresenta infatti, in tutta evidenza, un elemento centrale, in questa fase storica, per le élites dell'Unione, un perno irrinunciabile del loro potere. Chi sostiene che l'Unione europea è un'organizzazione tenuta insieme essenzialmente da interessi economici sbaglia. Se è vero certamente che questi ultimi contano, e che prevalgono in essa quelli dei paesi economicamente e politicamente più forti in una struttura gerarchica, è vero pure però che quello ideologico è un collante irrinunciabile per assicurare la solidità e continuità di questa gerarchia. E l'ideologia oggi assolutamente caratterizzante le élites europee è il relativismo radicale, del quale le dottrine gender Lgbt rappresentano uno tra gli assi portanti.
Si tratta di un collante per loro talmente importante da rendere accettabile un conflitto estremo con Stati membri dell'Unione, che potrebbe portare addirittura, se spinto fino in fondo, ad un allontanamento di essi. Nella politica interna ed estera (almeno in parte, vedremo tra poco in che senso) dell'Ue oggi la promozione dell'agenda Lgbt, e più in generale di un'accezione iper-soggettivista dell'idea di autodeterminazione, è una priorità assoluta, che si va ad affiancare sul piano culturale con gli altri due elementi del relativismo radicale: il multiculturalismo, con tutte le conseguenze connesse al (non) governo dell'immigrazione che ben conosciamo, e la “sostenibilità” ambientale - non a caso al centro di un programma di stimolo economico ideologizzato quanto mai come il Pnrr – che sfocia nell'obiettivo della “transizione ecologica” fondata sulla “neutralità climatica”.
Cosa unisce questi tre punti? L'idea di una “relativizzazione” dell'Europa, della sua trasformazione in un'entità “fluida”, senza un'identità definita, in un mondo non più occidente-centrico. Un'idea pienamente condivisa con il progressismo d'Oltreoceano, e alla base pure della piattaforma politica globale dei Democrats statunitensi, da Obama all'attuale amministrazione Biden/Harris.
Da tale punto di vista l'ideologia gender/Lgbt svolge un ruolo altamente paradigmatico. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato davanti al Parlamento europeo che la normativa recentemente approvata dal governo magiaro contraddice “i valori fondamentali dell'Unione europea: la protezione delle minoranze, la dignità umana, l'uguaglianza e il rispetto dei diritti umani”. I vertici del potere Ue, nell'attuale scontro con l'Ungheria, sostengono dunque di difendere i diritti civili delle persone omosessuali e transessuali. Ma se si guarda alla sostanza del dissidio è evidente che qui i diritti civili e le libertà personali qui non c'entrano nulla. In nessuno stato dell'Unione, infatti, viene impedito ad alcuno di vivere come vuole la propria vita sessuale e affettiva. Quello che la catena di comando Ue difende a spada tratta - e che paesi come l'Ungheria e la Polonia, ma anche altri dell'Europa centro-orientale, cercano di limitare – è invece il potere delle organizzazioni Lgbt di indottrinare la società, e in particolare le generazioni più giovani, all'idea che il “genere” è qualcosa di assolutamente soggettivo, legato esclusivamente ad una scelta personale, e non esiste alcun vincolo naturale all'autodeterminazione in tal senso. Un potere che fa il paio con quello, per loro egualmente essenziale, di definire “famiglia” qualsiasi aggregazione volontaria di soggetti, e di attribuire a tali soggetti la facoltà di “progettare” e adottare figli plasmandoli secondo i loro desideri senza alcun limite.
In altri termini, questa presunta difesa dei “diritti umani” è in realtà una ben precisa strategia che ha come suo obiettivo finale la relativizzazione e distruzione della famiglia naturale e l'abolizione pura e semplice della polarità maschile e femminile, per fare posto ad una società composta da individui totalmente “fluidi”, “ibridi”.
Che il conflitto non verta su alcun “diritto”, inteso nella tradizione del costituzionalismo occidentale, ma sulla attuazione di questo disegno nichilista e destabilizzatore è dimostrato eloquentemente dal fatto che l'Unione si guarda bene dal prendere posizione con altrettanta decisione nei confronti di tanti paesi, con i quali intrattiene consolidati rapporti politici ed economici, nei quali effettivamente, al contrario che in Ungheria e negli altri presunti “cattivi” Ue, le libertà individuali nel campo della vita sessuale e affettiva vengono strutturalmente violate: in particolare i paesi islamici, in cui ancora ovunque l'mosessualità viene considerata reato e viene punita con il carcere, o addirittura in alcuni casi con la condanna a morte. E dove spesso – per non dire quasi sempre – l'”uguaglianza di genere” e le “pari opportunità” per le donne sono un'utopia.
Ma è chiaro che le élites relativiste Ue, e quelle occidentali in generale, non hanno alcun interesse ad uno scontro con quei governi su questi punti. Perché l'islam rientra nel progetto ideologico “multiculturale” e ad esso vengono attribuite in virtù di ciò aree di “immunità” dai “valori” da esse promossi; e ancor più perché dei diritti autentici in realtà a loro importa ben poco. La loro strategia è attualmente innanzitutto quella di diffondere il relativismo radicale in tutte le aree del mondo permeabili al potere economico e politico euro-occidentale: soprattutto Africa, estremo Oriente asiatico, Pacifico, America Latina. Una diffusione che avviene attraverso continui ricatti in tutto e per tutto analoghi a quello oggi agitato nei confronti dell'Ungheria, messi in atto dall'Onu, dal Fondo monetario internazionale, dall'Oms, e ora dalal stessa Amministrazione Usa: finanziamenti in cambio di indottrinamento Lgbt e “riforme” nel senso della destrutturazione familiare (aborto, matrimoni gay).
E' quella che è stata recentemente definita, con riferimento proprio agli Stati Uniti, “diplomazia Lgbt”. E che qualche anno fa papa Francesco chiamò appunto, opportunamente, con il suo nome: colonizzazione ideologica.